‘ Ti sei messo il preservativo? ‘ Chiesi, come sempre faccio ad ogni racconto di avventure sessuali occasionali del mio amico Loris.
‘ Ma che cazzo ne so? Cosa vuoi che mi ricordi? ‘
Una risposta che io, povero idiota, non avrei mai potuto dare. Con la mia paura fottuta delle malattie, se mi capita di andare con una, raccattata da qualche parte, non mi potrei mai scordare di aver usato o non usato l’affare. Anche perché, in caso non lo avessi fatto, di sicuro mi sarei proibito di scopare. Quindi, un bel niente da raccontare. Che poveraccio che sono!
‘ Hey!’ ‘ dissi preoccupatissimo. ” E se ti sei beccato qualcosa? ‘
‘ Certo che me la sono beccata qualcosa!’ ‘ Rispose Loris. ‘ La più fica della disco, mi sono beccato. Mentre uscivo dal locale con una mano sul culo di quella, stavano tutti con la bava alla bocca. Ci volevano provare loro, ci volevano. Mi sa che quella sera mi sono fottuto pure loro insieme a lei! Ah, ah, ah’ ‘ Si sbracò in una risata molto forzata.
‘ Tu sei veramente un pazzo a rischiare così, lo sai, vero? ‘ Replicai. Dentro di me, però, lo invidiai moltissimo.
Non lo accetto proprio questo mio limite. Non ce la faccio, è irrazionale e incontrollabile. Una vera e propria fobia. Cazzo! Per un tipo come me, che progetta decine e decine di situazioni di sesso non convenzionale da poter mettere in pratica al più presto è un problema mica da niente. Altre delle mie paure sono disposto pure ad accettarle, al massimo non prendo l’aereo o non mi siedo su di una tazza del cesso, che non sia quella di casa mia, senza prima averla quasi imballata di carta igienica, ma dover rifiutare una potenziale bella scopata, insperata e non prevista, se non protetta, non lo sopporto! Devo andare’ Ops’ Devo tornare dallo psicanalista, è deciso!
‘ Vabbè dai, se stai così rovinato, fai così: prendi uno stronzissimo preservativo del cazzo, è proprio il caso di dirlo stavolta, e portatelo dietro dappertutto, dovunque tu vada. Mi sembra semplice, no? Sai quanti cristiani vanno in giro con un goldone nel portafogli, tra una Visa ed una Mastercard? ‘ Loris pensò di aver fatto una delle sue migliori battute. Ne era orgoglioso, il gran coglione! Eccomi subito pentito di certe mie confidenze passate. Che testa di cazzo! Come se io non ci avessi mai pensato prima ad una soluzione ovvia come quella.
‘ Si, bravo. Ottima idea! Solo che io al massimo trovo spazio tra il biglietto della Metro e la card dei Grandi Magazzini! ‘ Cercai così il modo di non fargli capire, spero, di aver accusato il colpo al suo stupido sfottò.
Esiste sempre qualcosa di assolutamente imprevedibile, anche in tutte quelle ordinate e pianificate vite di gente prevedibile. Bisogna prevederlo! Figuriamoci nella mia, di vita, cosa può imprevedibilmente accadere. Mica vi parlo di una foratura all’anteriore destra della mia automobile. Molto peggio, cari miei.
Giada era davvero una gran fica! Magra in vita con un culo degno delle mie migliori attenzioni e fantasie sodomitiche. Quelli così, io li chiamo ‘culi a vita alta’. Dico così per far intendere che l’attaccatura delle chiappe parte da molto in alto. Esemplare incredibile quanto raro alle nostre latitudini (questo tipo di culo è tipico nelle brasiliane), non sai dove finisce la schiena e dove comincia il culo! Solo chi ha sbavato come me, assistendo a qualche spettacolo di samba, può capire realmente di cosa io stia parlando. Il suo seno era quasi una 3′ misura e tenuto sempre ben sospinto e compresso da uno di quei bei reggiseni ad effetti speciali. Le scollature dei suoi vestitini, sul davanti, hanno reso più semplice questa descrizione.
L’avevo conosciuta senza merito, presentata da un mio amico. Luca. Era sua cugina. Senza merito perché di solito, per avvicinare una femmina di questo livello ho dovuto sempre sbattermi alla grande. Tipo quando ho dovuto lavorare, per pochi soldi, come animatore turistico nei villaggi vacanze di mezzo mondo. Questa però è un’altra storia che riprenderò un’ altra volta. Adesso torniamo a Giada e a Me. Pensate un po” Proprio a Me.
Se senza merito l’avevo conosciuta, ancor più senza merito mi sembrava di averla con me in macchina una sera.
‘ Ti va poi di fare un giro in macchina? Un caffè da un’altra parte? ‘ Mi affrettai a chiederle senza molta convinzione, nel bel mezzo di una cena organizzata da Carlotta, moglie del mio amico Luca.
‘ Mah!’ Per me va bene. ‘ Rispose Giada sorprendentemente. ‘ Luca, Carlotta’ Voi che decidete? ‘
‘ Noi dopo cena rientriamo. La bimba, a casa, reclama la mamma! ‘ Disse, con un sorriso di circostanza, Carlotta, senza nessuna possibilità di replica del povero Luca. Luca, uomo ormai rassegnato al suo ruolo di marito succube – padre ragazzino, mangiava quel che c’era nel piatto, senza quasi mai alzare gli occhi e quasi non ascoltava nemmeno. Forse adesso stava pensando alla spesa del sabato ai Grandi Magazzini. Alla scala mobile che dopo lo riporta al parcheggio. Al carrello mai completamente pieno davanti.
E’ sempre troppo grande il carrello dei Grandi Magazzini, lo fanno così apposta. Quando sei alla cassa, tutti vogliono vedere che c’hai messo dentro, quanto l’hai riempito. Non se ne fanno accorgere, ma in fila, tra un occhiata all’orologio e uno sbadiglio, lo fanno. Luca lo sa. Ai Grandi Magazzini c’è pure un box di un’ Agenzia di Viaggi. Prima di arrivare alla cassa, Luca si ferma sempre un po’ li davanti, guarda fisso uno dei depliant. Uno qualsiasi. Carlotta lo richiama più di una volta mentre la bimba gli si appende, una, due, tre volte ad un lembo della giacca.
Visto che quei due sarebbero tornati a casa prima del previsto, mi resi conto che la serata iniziava a girare davvero bene. Non avevo fatto nessun programma, non avevo pensato assolutamente alla possibilità di un dopo cena con Giada. Invece, eccoci qua. Lei seduta accanto a me sul sedile dell’auto mentre io cerco un modo, quanto più disinvolto possibile, per fermarci e parcheggiare in un posto tranquillo. Appartato.
Era ancora inverno. Lei indossava un bel cappotto lungo. Non lo aveva tolto prima di salire in macchina e teneva slacciati, partendo dal bavero, solo il primo, il secondo e l’ultimo bottone. Le sue gambe le vedevo bene però. Affioravano pian pianino dallo spacco, mentre ondeggiava un po’ avanti e un po’ indietro sistemando al meglio la posizione del suo sedile tra il cruscotto e i sedili posteriori. Venivano fuori sempre un po’ di più le sue magnifiche cosce. Frusciava, il nylon nero delle calze che le avvolgeva e le illuminava con lucidi e magici riflessi di luna. Avevano guadagnato la scena, le sue gambe e le sue scarpe con il tacco altissimo. Erano primedonne indiscusse nel teatrino fetish della mia auto e della mia mente.
Era giovanissima Giada. Non più di 22 anni, credo. Aveva atteggiamenti sicuri, spavaldi per la sua età. Non so, magari è anche possibile che a quell’età se ne possa averne. Comunque, non so, a me appariva finta, un personaggetto costruito. Anche il suo modo di vestirsi lo era. Si capiva. Voleva compiacere, provocare, al meglio sedurre. Dove aveva imparato questi trucchetti? Forse aveva visto qualcosa di simile in Tv, su qualche rivista di gossip, su qualche foto a qualche attraente e spregiudicata velina di turno scoperta in qualche locale notturno a Porto Cervo. Veramente stupida, allora. Noi non eravamo su di una barca a Porto cervo, ma solo su una litoranea puzzolente di una, al grosso pubblico, anonima cittadina. Io non ero neanche un produttore o un regista televisivo! Nessuno le avrebbe scattato neanche una foto! Nessuno!’ Non so, magari si sarebbe accontentata di una delle mie polaroid di erotismo amatoriale, se glielo avessi proposto. Ho una scatola piena di queste foto, a casa mia. Non è la TV, ma rappresenta una buona dose di immortalità e successo avere la propria foto la dentro. Ve lo assicuro!
Comunque, eravamo la. Quanto questo potesse avere una spiegazione, oramai non doveva importarmi e tanto meno distogliermi.
‘ Fumi?’ ‘ Mi chiese Giada porgendomi un pacchetto di Marlboro Medium.
‘ Non più. Da parecchio tempo. ‘
‘ Maddai! Davvero?… Cavolo, che volontà che devi avere per esserci riuscito. ‘ Poi prese e portò alle labbra una sigaretta. L’accese irradiando i suoi occhi cerulei, l’abitacolo dell’auto e il mio desiderio di metterle una mano tra le cosce.
‘ Hai delle belle mani. ‘ Mi disse, risistemando su, all’altezza del ginocchio e accarezzando dolcemente una di quelle mie belle mani. Quella che, più impaziente, senza esitazione, ma anche con rispetto, aveva già percorso molta strada.
‘ Sai che mi piace di te? Eh?’ Sai cosa?’ ‘ Continuò Giada, spalancando gli occhi e modulando la voce come se fossi un gatto preso in braccio dalla sua padroncina. Un po’, davvero, mi veniva da miagolare, ma che figura da maschio ci avrei fatto? Hey! Cerchiamo per un attimo di essere seri. Io avrei dovuto rappresentare l’esperienza e la saggezza. La conoscenza delle cose. Il disincanto del già vissuto. Bene come andò, non miagolai e cambiai strategia.
‘ E’ solo perché sono molto più grande di te! ‘ Dissi di botto, inarcando un po’ il sopracciglio sinistro e inspirando rumorosamente. ‘ E’ questo che ti attrae. ‘ Poi sospirai, cercando una degna conclusione a quella mia penosa performance teatrale.
Ai suoi occhi, non fu male come a me sembrava! Mi saltò addosso. Mi si avvinghiò al collo e cominciò a baciare e a succhiare, con le sue, le mie labbra. Mentre faceva questo, mi passava freneticamente una mano sulla nuca, fra i capelli. Poi si fermava, stringeva fra le dita alcune ciocche, fino quasi a farmi male e poi mollava. Poi, via di nuovo.
‘ Hai le labbra carnose e morbide, ‘ mi diceva con voce ansante. ‘ Fattele mangiare. Dai!… Fammi succhiare la lingua. ‘
Le parole che usava erano quelle giuste. Sapeva cosa dire e come mandarmi su di giri.
‘ Dai, vieni qua!… Stai qui. ‘ Mi supplicava quasi, mentre aumentava il ritmo di quelle slinguate profonde e martellanti.
Non doveva stare in pena, non ne aveva nessuna ragione. Non avevo nessuna intenzione di sottrarmi al trattamento che mi stava riservando. Mi sentivo come su un traghetto per la Grecia quando c’è il mare grosso, ma lo gradivo.
Data una succhiata e poi una baciata, si fermava un istante a passarsi la lingua sulle labbra, più volte. Sembrava deliziarsi, come stesse riscoprendo un dolce sapore quasi dimenticato. Insomma, se la godeva da matti!
‘ Dai Giada, levati la gonna. ‘ Dissi mentre con le mani trafficavo dappertutto, cercando di sbottonare ogni cosa che incontrassi abbottonata.
‘ Aspetta, faccio io. ‘ Lei volle aiutarmi nel mio intento e così dovette staccarsi dalle mie labbra. Si distese e si allungò completamente sul sedile reclinato. Prese tutta la luce che entrava dal parabrezza. Era bellissima, era. I capelli castano chiaro, lunghi fino alle spalle. L’ovale del viso quasi perfetto, gli occhi grandi e azzurri, la pelle chiara e compatta, i denti bianchissimi. Le braccia erano magre e toniche. I suoi movimenti erano lenti e fluidi, quasi artistici, mentre s’inarcava sfilandosi i vestiti che le restavano indosso. Non ce la facevo più davvero. Mi spogliai anch’io. Prima posai le mie labbra, poi un lato del mio viso sul suo ventre piatto e rimasi un po’ cosi, come volessi ascoltare chissà cosa. Lei prese ad accarezzarmi, sentivo il calore della sua mano che mi percorreva la schiena. Poi mi afferrò per i capelli con tutte e due le mani e piano, ma senza esitazioni, mi tirò su, sul suo seno giovane e turgido.
Ero li, a dividermi i compiti. Fra destra e sinistra. Era stupendo sentire crescere l’intensità del suo respiro mentre i suoi capezzoli si indurivano e aumentavano di volume fra le mie labbra. Alzare lo sguardo, per un istante e ritrovare i suoi occhi colmi di desiderio, mi dava un brivido. Il mio membro era ormai teso e invadende.
‘ Dai’ Vieni su, ‘ disse Giada, con un filo di voce, ‘ ho voglia di te! ‘
Anch’io avevo una voglia matta di muovermi dentro di lei e forse non avevo mai provato prima una cosa così.
Avevo fretta adesso. Una fottuta fretta. Una stramaledetta fretta! Cercavo qualcosa e lo cercavo nervosamente, frugando nel portaoggetti dell’auto. E’ un preservativo che stavo cercando. Maledizione! Quel dannato affare da cui non mi riesco mai a separare in occasioni del genere. Quel patetico palloncino di lattice che sopisce le mie fobie. Quello sterile, viscido budello che mi rende così ridicolo.
‘ Vaffanculo!’ Eccolo qua! ‘ Esclamai dopo averlo stanato dietro la custodia di una cassetta di Herbie Hancock. Adesso ero risollevato, lo alzavo al cielo come la Coppa dei Campioni e mi sentivo come se avessi segnato il gol decisivo della partita. Era tutto apposto, il goldone non era neanche scaduto. La data, stampigliata diceva:
Da utilizzarsi entro e non oltre GIUGNO/2004
Ci siamo, adesso il mio pisello era pronto per la vestizione. Pochi istanti e sarebbe stato accolto in un mondo migliore. Un mondo senza soprusi e senza ingiustizie dove tutti possono essere felici e possono essere grandi amici. Dove il cibo è buono e la birra scorre a fiumi. Il mondo dove hai sempre sognato di vivere. E’ proprio li che adesso sarebbe andato a stare, statene certi.
‘ Hey! Ma che cosa stai facendo? ‘ Quasi urlò, Giada.
‘ Come che faccio? Mi proteggo! ‘
‘ No. Assolutamente! Io a quei cosi sono allergica. Una volta mi sono ritrovata piena di bolle e macchie rosse. Mi spiace ma non puoi usarlo con me. Fai senza. ‘
Davvero lo aveva detto? Si, lo aveva proprio detto. Ecco perché mi sentii come precipitare nel vuoto per migliaia di metri. Il suolo si faceva sempre più vicino e non sapevo cosa poter fare. L’ imprevedibile ora s’era compiuto ed io non potevo oppormi minimamente agli eventi. Stavo per andare in frantumi e potevo solo compiangermi. Guardavo Giada, nuda e adagiata sul sedile accanto al mio e avevo l’impressione che la sua sagoma si dissolvesse, che perdesse consistenza. Mi sentivo a disagio. Temevo il suo giudizio e ormai non ero in grado di reagire. Non voglio tormentarmi ancora. Non c’è più nulla da aggiungere a questa storia.
Ero in stazione per un viaggio, quasi due mesi fa. Prendevo un caffè al bar prima della partenza. Ho riconosciuto una donna seduta per terra, davanti l’entrata di quel bar. Chiedeva monetine ai passanti. Era irriconoscibile, consumata dallo schifo, che chissà da quanto, si schizzava nelle vene. Forse adesso era malata, messa molto male.
Ne ero certo, era Giada.