Chiudo la porta di fretta, facendola sbattere.
Sono pronta, calzoncini, top cuffiette e scarpe da corsa: è una bella giornata e come ogni giorno esco e corro per kilometri.
Non sono una grande corritrice, lo ammetto, non corro per ore e ore.
Poco prima di uscire da casa saluto mia madre e inizio a correre: lei è visibilmente contenta che esca da casa.
Casa, studio, casa, studio, casa, studio: sembra un mantra, ma in realtà è la mia vita. O forse, sarebbe meglio dire era la mia vita.
Corro da quanto? Settimane? No…direi quasi due mesi.
Arrivo al parco più vicino al mio appartamento e rallento per poter bere ad una fontanella; attendo il mio turno e quando si libera una bocchetta mi disseto.
Sento alla mia destra e alla mia sinistra arrivare altre persone, passarmi accanto, affaticate, stanche e con il fiato corto.
Strano un paio di queste abitano assai più vicine di me a questo parco; mentre bevo devo chinarmi, così da mostrare il cosiddetto lato b ovviamente arrivano subito apprezzamenti e non posso fare a meno di sorridere.
Mi alzo, effettivamente da quando mi stò curando di me stessa questi “apprezzamenti” sono aumentati a dismisura, anzi, sono sbocciati.
Mi stiracchio, poco distante dalla fontanella, inspiro profondamente mettendo in mostra la mia terza di seno.
Oh già ho dimenticato di presentarmi.
Il mio nome è Isabella, ho 24 anni, sono alta un metro e 59, capelli castani mi cadono oltre le spalle.
Corro un’ora e mezza al giorno.
Due mesi fa ero sempre chiusa in casa.
Ora mi sento differente.
Ho incontrato il mio padrone.
Circa tre mesi fa ero intenta come al mio solito a navigare in rete. Pagine personali, aggiornare il proprio stato, gettare un po’ di tempo su qualche giochino in flash… cose del genere, cose adatte a riempire i vuoti colmi di noia delle pause; ma quando la pausa diventa la quotidianità…bhè…diventa solo noia allo stato puro.
Accidenti accidenti accidenti.
Mi ripetevo in continuazione mentre osservavo le pagine personali delle mie ex compagne liceali.
Sempre foto allegre, sorridenti, raggianti ma soprattutto in compagnia, di ragazzi e non.
Non e’ certo difficile da immaginare, ma presa così tanto dal mio noioso stile di vita non davo affatto importanza al mio aspetto fisico, un po’ come quelle persone che lavano di rado la macchina, non è una questione di sottostima dell’aspetto esteriore: prende solo noia lavorarci su e tenere in ordine il tutto.
Eppoi…bhè…
Se dovessi rileggermi, effettivamente lo troverei strano: una ragazza durante il periodo liceale non riceve nessun ammiratore? Nessuna lettera? Nessun messaggino? Ho no… non è plausibile; lo è se si ha un segreto, e questo segreto viene sbugiardato ai quattro venti.
Già…in poco tempo nel mio liceo si venne a sapere che provavo una forte attrazione verso la dominazione: essere in balia di una persona, sentirsi piccola piccola, essere sia la persona meno importante e allo stesso tempo la persona a cui veniva data più importanza era una fantasia stimolante, anzi, di più.
Cercavo l’attenzione di tutte quelle persone attorno a me, ottenendo solo fredda indifferenza.
Non saprei definirla.
Come non saprei definire il sapore del sale.
Così passai in solitudine il mio periodo liceale.
Non brillavo certo nello studio, così una volta preso il diploma liceale decisi di trovarmi un lavoro: ci riuscii dopo alcuni mesi di formazione e venni assunta come tecnica in un negozio di informatica.
Oh, no non fu di certo per il mio aspetto, lavoravo unicamente nel retrobottega.
Ero brava.
Ma sto divagando: ero intenta a navigare su disparati siti, finché notai un messaggio lasciato da una ragazza in una tal bacheca, ora non ricordo il nome preciso del sito ma non ha molta importanza; lessi il messaggio e…cavoli per poco non caddi dalla sedia.
Un sito di incontri, non come gli altri, un sito di incontri per amanti di questo mondo erotico che fa capo alla dominazione.
Leggevo leggevo il messaggio e non potei fare a meno di far crescere dentro di me il fuoco della curiosità.
Entrai nel sito e diedi una rapidissima occhiata a vari messaggi di annunci: cavoli cavoli cavoli! Sembrava essere in un piccolo mondo a parte! Tutti mettevano in mostra quel lato così simile al mio, anzi ostentavano la propria parte più recondita senza il minimo ritegno, senza il minimo dubbio! Che uomini e che donne si presentavano cercando la propria metà, cercando il proprio padrone o schiavo.
Sembrano parole di altri tempi, parole altisonanti parole lontane, eppure ogni volta che le leggevo sentivo dentro di me, nella mia testa, come una scarica elettrica trapassarmi da parte a parte.
Sentivo dentro il mio cranio rimbombare parole come
Padrone
Schiava
Sottomissione
Ricordo ancora, il respiro corto, affannato, emozionato quando anche io mi gettai in quel mare!
Certo, la mia foto era nulla al confronto di quelle statuarie bellezze di prima categoria che viaggiavano leste sul sito.
Quando premetti il tasto “invio” smisi di respirare per alcuni secondi.
Strinsi forte il mouse, più forte che mai quel pezzo di plastica.
Quando vidi il mio annuncio completo sul sito fui letteralmente sconquassata dalla più estrema punta dei capelli fino all’unghia dei piedi.
Spensi il monitor e potei guardarmi riflessa sul monitor.
Avevo un sorriso da ebete stampato sul volto, la punta della lingua sporgeva dalle labbra.
Guardai sulla sedia, tra le mie gambe, misi una mano nei pantaloni e sommessamente, sottovoce risi istericamente per vari minuti.
Dovettero passare circa una decina di giorni per ricevere la prima mail!Letteralmente sconcertata venni presa a una irrefrenabile emozione: avrei dovuto farmi trovare nei pressi di un bar noto bar del centro storico l’indomani mattina, ovviamente risposi senza minimamente pensare con un “Si”; ovviamente la notte seguente quasi non chiusi occhio, la mail era di una essenzialità incredibile
“Ho visto il tuo annuncio e possiamo parlarne, Domani alle 12:00 al posto indicato sulla cartina. Non tardare”, chissà se fosse una cartina di tornasole per il ragazzo o uomo che l’aveva inviata. Un fuoco mi prese tutta, deglutivo sempre più rapidamente e immagini di dominazione continuavano a passarmi davanti agli occhi come in un lentissimo film ed in ogni ragazza io vedevo il mio viso sul loro corpo.
Le vedevo con collari delle pelli più pregiate, mentre passavo la mia mano sul collo, stringendolo, sentendo un senso di soffocamento docile, il contatto della mia mano sull’esile collo…
Le vedevo tirarsi su i seni, in attesa che i propri capezzoli venissero legati tramite morsetti ad una catena, mentre passavo entrambe le mani prima ad accarezzare la coppa dei seni, poi a martoriare i capezzoli…
Mi vedevo sedere in aria e faccia a terra mentre le mie esili dita si intrecciavano dentro il mio sesso, dinanzi ad un padrone di cui non riuscivo a vederne il volto, sentendomi chiamare schiava, bambola da sesso, puttana…. in quel momento contorsi le gambe, strinsi forte un lato del lenzuolo con la bocca mentre esplosi letteralmente tra le mie mani, soffocando un grido di piacere che mai ero riuscita a immaginare di poter espellere…
Respirai lentamente e mi addormentai quasi subito, sorrisi tutto il tempo prima di assopirmi, stringendo un cuscino sul mio petto.
L’indomani mattina mi alzai tardissimo e non potei far altro che arrivare con dieci minuti di ritardo nel centro storico: quando arrivai trafelata il mio vestito, una lunga e semplice casacca bianca lino, con un paio scuri fino al ginocchio, erano oramai sgualciti: ci misi un paio di minuti, per riprendere fiato e guardarmi attorno per cercare con lo sguardo la persona che mi aveva contattato.
La trovai poco dopo, seduta ad un tavolino mentre guardava in silenzio la folla di turisti che affollava il centro storico.
Distinto, con una giacca blu scura ed una camicia bianca, nessuna cravatta, jeans blu scuro, scarpe sportive ma eleganti color marrone a tono con la cinta, capelli neri e ben curati, leggermente lunghi, portati all’indietro. Non vedetti i suoi occhi, celati dietro un paio di occhiali spessi, neri come il cielo di notte.
Quando arrivai davanti a lui, mi inchinai leggermente come è duopo per gli asiatici, cercai di trovare le parole più adatte per quel ritardo, non poi così eccessivo, quando iniziai a proferire parola, lui si alzò velocemente, tirò fuori dalla tasca posteriore il portafoglio e poggiò sul tavolo senza fare eccessivo rumore, ma in modo che io potessi sentire il suono della sua mano sul tavolo di metallo, una banconota.
“Sei in ritardo. Domani. Stessa ora stesso posto, vedi di non ritardare ancora, voglio darti una altra opportunità”
Un tono deciso diretto. No, non lo sussurrò all’orecchio, lo disse ad alta voce in modo da essere sentito da una buona fetta di persone presenti nel locale.
Uscì indicando ad una cameriera i soldi sul tavolo.
Mi sentivo umiliata, quelle parole, gli sguardi tutti su di me mi avevano trapassato ogni ossa ogni fibra del mio corpo.
Nessun rispetto, nessuna compassione.
Perchè poi avrebbe dovuto? Non ci conoscevamo, lui mi aveva contattato, cosa ci trovava in me che mancava alle altre? Cosa avevo io di speciale?
Nulla, nulla di speciale, una ragazza come le altre, anzi peggiore delle altre.
Isolata.
E gli sguardi…vidi i loro occhi pieni di compassione…Come si guarda un cucciolo appena sgridato: fa tenerezza, è peloso è caldo ed ispira dolcezza, ma è un cucciolo. Non un’uomo ne una donna.
Un oggetto, un animale.
Non aveva avuto compassione in quelle parole, non aveva vuto il ben che minimo riguardo per i sentimenti che avevo nel mio cuore.
Rimasi con gli occhi sgranati, ad osservare il pavimento, la mia bocca tremava. Avevo fallito lo avevo deluso.Tutto era andato già in frantumi?
No…non era giusto, non era corretto!Mi portai una mano alla bocca, mordevo il labbro come se ne fosse dipesa la mia vita.
Corsi al bagno, mi sciacquai il viso, ansimavo, non riuscivo a pensare.
No! NO! Domani…domani avrò un’altra possibilità! Domani non lo deluderò!
Alzai lo sguardo verso lo specchio; il viso grondava ancora di acqua ma non potei esimermi da mostrare un ghigno isterico misto a felicità.
Ripensandoci, tutto iniziò proprio con quelle frasi: non conoscevo il suo nome, non conoscevo cosa voleva da me, non sapevo nulla, nulla di quell’uomo, eppure non volevo deluderlo, volevo essere alla sua altezza, volevo essere il suo trofeo vivente.
Non vi stò a raccontare, ma il giorno seguente mi feci trovare all’ingresso del locale con ben trenta minuti di anticipo.
Quando arrivò mi fece entrare nel locale e mi fece sedere sullo stesso tavolo dove il giorno seguente lo avevo incontrato.
Alcuni clienti erano presenti anche il giorno precedente e non fecero un grande sforzo per riconoscermi, mi seguirono con gli occhi mentre mi recavo al posto, cercavano di squadrarmi come si fa con una donna da strada, e dopotutto non mi dispiaceva ricevere attenzioni.
Strano…Perchè? Cosa era cambiato? Non avevo fatto nulla, non mi ero truccata, non mi ero vestita con abiti provocanti, no nulla di nulla.
Appena mi sedetti una cameriera vestita di tutto punto si affrettò al nostro tavolo e chiese le ordinazioni: mossi la mano per prendere il menù, ma fu un attimo e di istinto la ritrassi subito. Non so perchè lo feci, era come se stessi per fare un errore, sentivo di star per commetterne uno, ma perchè? Perchè avrei non avrei dovuto prendere il menù? Perchè invece lo avrei dovuto? No…perchè io?
Cercai di incrociare lo sguardo con l’uomo, gli impenetrabili occhiali nascondevano parte del suo viso, potei sicuramente intuire che con la coda dell’occhio aveva osservato la mia reazione
“Due tè freddi alla menta, grazie” ordinò.
Non tardarono molto a sercirci le due bevande, anzi la ragazza fu lesta, passarono si e no venti, venticinque secondi.
“Allora, questa volta sei riuscita a non tardare. Cosa ti ha trattenuto ieri?”sorseggiando la sua bevanda.
Abbassai lo sguardo verso il tè freddo, era ancora appoggiato davanti a me, non lo avevo toccato, strinsi le mani sulle mie ginocchia e iniziai nella mente a cercare le giuste parole
“Bevi e rispondimi”
Feci un segno di assenso con la testa e presi il tè freddo, bevendone almeno un quarto: incredibile sentivo la mia gola secca, eppure non avevo proferito parola
“Ho…dormito poco la sera precedente e mi sono svegliata tardissimo…sono mortificata”
“E perchè hai fatto tardi?”
“Ecco…non…non…riuscivo a prendere sonno…”
“E perchè non riuscivi ad addormentarti?”
Bevvi ancora
“Ero…eccitata nel poterla incontrare…”
perchè gli stavo dando del lei? Quando era accaduto?
“E ti ecciti sempre quando qualcuno ti scrive una mail? Non dormi la notte? Rimani sveglia a farti i film in testa? Rispondimi”
“…N-No…”
“E allora perchè con me si? Forse ti interessano più altre persone, forse dai più rispetto presentandoti puntuale ad altre persone?”
Il bicchiere mi scivolò dalle mani, non riuscivo a trattenerlo: non ne avevo la forza. Mi sentivo piccola insignificante, mortificata, una bambola di pezza, un qualcosa di sostituibile, una persona senza ritegno per il prossimo.
Per fortuna il bicchiere fece pocopiù di qualche mezzo centimetro provocando un leggero suono tnfo sul tavolo di metallo e soprattutto senza provocare danni
L’uomo sospirò dopodichè allungò la sua mano sul mio mento e dolcemente accompagnò il mio viso in modo tale da farmi guardare dritta negli occhi
“Rispondi”Sentti il mio cervello come se fosse stato trafitto da innumerevoli aghi di ghiaccio, mi paralizzai, misi le mani sul tavolo.
Ad un tratto mi rilassai, qualcosa in me era scattato, non so cosa, non saprei definirlo bene neanche oggi.
“No…No signore no…La sua mail…era…speciale…Lei è diverso da gli altri….Io ho rispetto per lei…solo per lei…”
Sorrise.
Fu come entrare in una sorgente termale quando nevica, caldo rilassante. La mia testa divenne leggera, le mie mani sembravano fluttuare, mi lasciai scivolare leggermente sulla spalliera della sedia, facendo scivolare il bacino
Cavolo! Ero venuta bagando il cuscino della sedia!
Divenni rossa sul volto, un rosso di imbarazzo
Lui vide tutta la scena e forse intuì il perchè del mio irrigidimento, poiché con un gesto molto ben mimato fece rivesciare quel mezzo te freddo che rimaneva nel mio bicchiere, facendolo rovesciare sui miei pantaloni e sulla sedia
“Accidenti…guarda che sbadata che sei…”Si fece portare delle salviettine
“Signorina…se vuole può andare al bagno…è la prima porta a sinistra”
“Oh…la ringrazio ma la mia amica può benissimo fare qui, non sono che poche gioccie…ecco” fece a me facendomi gesto di alzarmi” togliamo da qui la sedia bagnata ed il gioco è fatto, basta prenderne un’altra, dico bene?”
“S-si” feci io visibilmente imbarazzata
la inserviente prese velocemente la sedia e la allontanò portandola nel retro del bar, io ero ancora bagnata nei pantaloni ed il ragazzo mi passò le salviettine
“Pulisciti su”
Feci per alzarmi ma venni fulminata con lo sguardo.
Presi una salviettina ed iniziai a tamponare la parte baganta della mia camicia bianca
“Quale è il tuo nome ragazza?”
“M-Mi chiamo Isabella”
“Hum…Bel nome”
“G-Grazie” gli risposi sorridendo di gusto
“Io mi chiamo Lewon”
“E’ un nome francese?”
“Si, è ovvio”
Avevo tamponato la maglietta, dovetti passare ai pantaloni.
Cavolo, la salvietta nonostante fosse umida ed appiccicosa, mi sembrava stesse andando a fuoco quando la passai sul mio sesso!
“E cosa fai nella vita?”
“ho…finito il liceo…sono alla ricerca di lavoro signore”
“Hum, perchè non hai continuato gli studi?”
“Ecco….Non sono molto…*anf* portata per gli…studio…studi *anf*”
Non riuscivo a non provare piacere: certo ero appena venuta ed ogni parte del mio sesso era iper recettiva, il clitoride sembrava voler emulare un sentinella in tempo di guerra!
Oddio forse questa metafora sarebbe meglio non raccontarvela!
Ogni volta che tamponavo il mio affanno era sempre più tangibile
Rispondevo a domande sempre in modo più impreciso e annaspato.
Senza accorgermene lui si piazzò di lato, oscurando la mia vista, o almeno una parte, al resto del locale (non molto gremito, per fortuna).
Io oramai ero passata dal semplice tamponare ad un più vigoroso sfregamento delle labbra. Il povero fazzoletto se non era già caduto a brandelli avrebbe potuto veramente accendersi come un fiammifero!
Ad un tratto, senza preavviso, sento la sua mano sul mio monte di venere, la sento scendere piano piano e istintivamente scansai le mani, le portai sul bordo della sedia stringendola il più che potei.
Continuò con le sue domande mentre con il il pollice e l’indice aveva preso a giocare con il mio bottoncino.
Era deciso, forte: lo maltrattava ma agni movimento, ad ognis trizzata ad ogni angheria potevo sentire una scossa elettrica squassare tutto il mio ventre.
Cavolo! In meno di 48 ore era cambiato qualcosa in me in una maniera così rapida e così tangibile da far scivolare via il ricordo della ragazza del liceo dalla mia testa.
Si tolse gli occhiali mostrando il suo viso nella sua pienezza.
Era magnifico, occhi verdastri, proprozioni perfette, sembrava uno di quei manichini che si vedono nei manuali da disegno!
Mi persi nei suoi occhi: come se attorno a lui ci fosse il nulla: sentivo di essere solo io, il suo volto e la sua mano.
A pochi centimetri dalla mia bocca c’era la sua mano, non capii perchè puntellò il gomito ponendo così il braccio e la sua mano a così breve distanza da me.
“Mi piaci. Domani da me, vedrò di insegnarti due o tre cose”
Strinse il mio clitoride tirandolo e girandolo: alzai istintivamente il bacino e appena lo feci lui lasciò la presa, tirai un sospiro di solievo misto ad eccitazione, ma non durò molto: diede al mio povero bottone martoriato e lubrificato un colpo con l’unghia, proprio come se fosse una biglia.
Sgranai gli occhi, alzai le pupille verso l’alto, aprii la bocca.
A pensarci chissà che faccia patetica avevo in quegli istanti…forse, a giudicare dalle future esperienze, potrei anche disegnarla…
Avrei voluto urlare il più forte degli orgasmi che avessi mai provato: invece azzannai letteralmente il suo dito.
Rigai il mio volto dalle lacrime.
Incredibile, non avevo mai pianto di gioia, al massimo per commozione, ma mai di gioia.
Che tipo di persona piange dopo un’orgasmo? Che tipo di donna lo accetta come un dono, un prezioso dono?
Lui non si scompose minimamente mentre io smaltivo l’orgasmo e addentavo il suo dito.
Lo addentai per un buon minuto, quando mi accorsi ciò che stavo facendo lasciai subito la presa e baciai il dito più e più volte, prima di massaggiarlo per lenirne il naturale dolore
“Lo prendo per un si, allora a domani Isabella: controlla la posta, ti ho già inviato il mio indirizzo e l’orario” si alzò ed io lo lasciai andare via.
Mi alzai dopo una decina di minuti e mi diressi verso casa.
Lewon aveva lasciato sul tavolo il conto ed abbastanza contante da coprire le spese delle bevande
Io avevo lasciato su quel tavolo una parte di me stessa, scovandone un’altra assai più interessante!