La cliente me la ricordavo, passa di tanto in tanto a controllare il suo conto, i titoli, a chiedere cose, non spesso, un paio di volte l’anno. Me la ricordavo perché nella monotonia del mio lavoro, tra i tanti pensionati, commercianti, industrialotti, quel fiore brillava di luce propria. Non mi lamento del mio lavoro, dopo tanti anni di sportello e scartoffie, finalmente ho il mio spazio personale, la mia scrivania, compiti di una certa responsabilità, anche quello di dare consigli ai clienti più importanti dell’agenzia: appena passati i quaranta non posso lamentarmi, tra poco va in pensione il capo-agenzia e io sono pronto a subentrare. Single, buona paga, diciamo che posso pemettermi una vita piacevole.
La sua famiglia era benestante, importanti commercianti. Di lei non sapevo granchè, a parte i dati personali, nata il 3.12.1986, residente con i genitori (bella zona della città, probabilmente una villa). Quella mattina era un incanto, con un capottino coloratissimo Desigual che fasciava il suo corpo esile, un foulard blu che le faceva risaltare il visino pallido e i capelli biondi, calzoni di pelle nera attilati sulle sue gambe sottili e stivali. Impossibile non notarla oltre i vetri del mio loculo, appena passò la porta di sicurezza. Si sedette sulle poltroncine in attesa, io stavo facendo con un vecchio e pregai che aspettasse me e non andasse da qualche collega. Liquidai il vecchio e lo accompagnai, così potei dire a lei “ah, prego, si accomodi”. Presa!
Si accomodò davanti alla mia scrivania, un po’ stravaccata, con la testina bassa e mi guardava in modo strano, dal basso in su.
“Ho un problemino, ma penso che con lei possiamo risolverlo”.
“Penso di sì, vediamo, di cosa si tratta?”.
“Ho fatto un viaggio, con una mia amica a Valencia e Barcellona, e ho speso un po’ troppo con la carta di credito. Sa io sono studentessa, mi manca un po’ per la laurea, mio papà mi aiuta, mi accredita un fisso mensile…”
“Vedo…” feci io professionale, vedendo sul suo conto un bonifico fisso, il primo di ogni mese, di 700 euro, che non è una paghetta da poco considerato che abita con i suoi.
“… e non volevo chiedergliene altri, anche se lui magari me li darebbe, ma mi scoccia…”.
“Bene, possiamo fare un micro-prestito e il debito accumulato nel viaggio in Spagna lo rateizziamo nei prossimi mesi, quanto sarebbe lo scoperto?”.
Mi disse la cifra, né tanto né poco, diciamo la metà del mio stipendio mensile. Mi guardava fisso, con i suoi splendidi occhioni verdi, finemente truccati.
“Sai, io avevo un’altra idea…” disse con un sussurro.
“Mhm, sentiamo, che idea?”.
“Stasera ci vediamo, ci facciamo un aperitivo, mi porti a cena, poi andiamo da te e domani mattina, puff, il mio debito sparisce. Cosa dici?”.
Il suo profumo dolce aveva invaso il mio loculo, lei era sprofondata nella poltroncina, quasi distesa, tutti i colleghi dello sportello guardavano da oltre i vetri, lei scoprì i suoi denti perfetti in un sorriso altrettanto perfetto.
Mossi un po’ di carte, tanto per far vedere che stavo facendo qualcosa.
“Non lo so, forse non è una buona idea…” dissi sperando che non si alzasse e dicesse, “bene allora facciamo a rate, ciao”.
“A me pareva buona, tanto non lo viene a sapere nessuno. In fondo rischio più io di te”.
“Passo a prenderti, dopo sull’organizzazione della serata vediamo…”
“Ok, sette e mezzo…” e mi disse un posto, ben lontano da casa sua.
Per prima cosa prenotai un bel ristorantino in collina, panoramico e molto inn. Pensai di andare dal barbiere ma era ridicolo, alla mattina mi vede con i capelli lunghi e alla sera tosato, no, niente barbiere. Via dalla banca, nel pomeriggio, mi sono preso una camicia nuova, e calzini. Cos’altro poteva servimi?
Mi preparai, jeans buoni, camicia nuova senza canottiera che fa sfigato, giacca casual, senza cravatta, un giaccone per il freddo; sciarpetta, foulard, ma no, meglio niente, è solo un impaccio. L’auto non è granchè, niente spider, solo una monovolume comoda per portare sci, bici, ecc.
Alle sette e qualcosa sono già nella zona stabilita, molto agitato, ma lei ovviamente non c’è e io non voglio fare quello che arriva mezz’ora prima, vado via, faccio un giro, ripasso ai 25.
Arriva con buoni 20 minuti di ritardo e mi dice, “scendi che prima dobbiamo farci l’aperitivo”.
Ha il cappottino di stamattina, ma scarpe basse, nere, da collegiale e una gonna appena sopra il ginocchio che il cappotto nasconde, e calze colorate. Sembra ancora più giovane dei suoi 25 anni e tuttosommato non mi fa piacere, perché come coppia ci facciamo notare.
Beviamo due franciacorta nel classico bar degli aperitivi, dove sono di casa e mi sembra che le bariste mi guardino strano, ma forse è solo una mia paranoia.
“Andiamo che ci aspettano per la cena, abbiamo 20 minuti di strada”, così lasciamo il bar dove al suo fianco non ero a mio agio.
L’abitacolo della macchina si riempì del suo profumo e mi chiese di parlare di me, della mia vita, i miei hobby (“in fondo ci conosciamo da tanto e non sappiamo niente l’uno dell’altra”). Io le chiesi di raccontarmi del viaggio a Valencia e Barcellona e pensavo a cosa avremmo detto a cena se ci raccontavamo già tutto adesso.
Il ristorante non si smentì: una cena di alcuni uomini d’affari, alcune coppiette. Un prosecco all’ingresso, un menù di pesce quantomai ricercato, una fresca bottiglia di malvasia istriana ad accompagnarci. Dal viaggio in Spagna si passò a quello a Londra per perferzionare l’inglese, quello con il suo ex in Canada e USA (e adesso, ce l’hai il ragazzo, chissà? Ma una così, figurarsi…). Anch’io qualche viaggio me lo sono fatto, anche se non sono altrettanto bravo a raccontarli. Due parole sulle studio, la sua famiglia, il fratello, la sorella più piccola, e la cena filò via liscia, senza nessun accenno al dopo e nessuna intimità. Una delle altre coppiette festeggiava il compleanno di lei e prosecco e torta vennero offerti a tutti i tavoli, così brindammo alla loro salute. Poi volle ordinare ancora un cognac. Sembravamo due vecchi amici, cominciavo ad abituarmi alla sua straordinaria bellezza ed ero finalmente meno impacciato, forse anche grazie ai tanti drink, ma non riuscivo a immaginarmi come da lì avremmo potuto finire a letto. Mi chiarì le idee lei, quando rientrando in macchina, nel parcheggio del locale circondato da grandi tigli ormai spogli, lei mi tirò verso di sé e mi baciò. Un primo bacio solo sfiorando le mie labbra, ma il secondo vero, cercando la mia lingua e stringendomi forte. Ci baciammo per alcuni minuti poi lei disse “andiamo, dai…”. Adesso era difficile riprendere un discorso, continuare a parlare di viaggi o di famiglia mi sembrava idiota. Anche lei stava zitta, ma mise la sua manina sopra la mia che teneva il cambio e mi guardava sorridendo. Ad un semaforo mi baciò ancora, senza dire niente, finchè quello dietro suonò il clacson.
Arrivati sotto casa mia avrei voluto dirgli “Non devi sentirti obbligata, se vuoi facciamo un po’ e un po’ e sistemiamo lo stesso…”, ma come si fa a parlare della faccenda adesso, è come darle della puttana. No, resto zitto, parcheggio e andiamo su. Ci baciamo ancora in ascensore, senza dirci niente, lei appoggia il suo corpo sul mio e sono già terribilmente eccitato.
Appena richiusa la porta lei dice “andiamo a letto, dov’è…” e insieme andiamo in camera, lei neanche si guarda attorno, io avrei da andare in bagno ma rinuncio. All’ingresso della camera si toglie senza chinarsi le scarpe e prosegue verso il letto. Butta il cappotto sulla poltrona, si sfila la maglia e salta sul letto, in ginoccchio, sembra proprio una bambina che gioca nel lettone dei genitori. Anch’io lascio le scarpe, il giaccone, la giacca e mi avvicino al letto. Ancora in piedi, davanti a lei, comincia ad aprirmi i calzoni e tirarmeli giù, ma sono stretti e devo sedermi per togliermeli. Allora mi tira sul letto e mi salta sopra, riprende a baciarmi. E’ una diavoletta, per fortuna è lei a togliermi da ogni impaccio. La stringo e con una mano cerco il suo sedere sotto la gonna. Lei mi apre la camicia baciandomi il petto, poi si slaccia la gonna e butta i due indumenti in direzione della poltrona, ma finiscono a terra. Ricapitolando io ho ancora le calze e le mutande, lei calze, slip e maglietta. Mi dedico alla maglietta, che sollevo e scopro un seno piccolo e sodo, che non ha alcun bisogno di reggiseno e bacio la punta di quei capezzoli. Anche la maglietta finisce a terra e la butto di lato, per toglierle anche le lunghe calze colorate, e le bacio i piedini, risalendo le sue sottili gambe e poi su al pancino, il seno e la bocca. Mi sembra un sogno, la ragazza più perfetta del mondo nel mio letto. Per un attimo mi viene in mente il perché è lì, ma scaccio subito quel pensiero. Lei ricambia il favore di togliermi le calze e come avevo fatto io mi bacia da sotto in su, fermandosi però a metà. Mi abbassa le mutande e mi bacia il membro che finisce dentro la sua bocca. Mi guarda mentre me lo succhia, con gli occhioni dal basso in alto, come stamattina in banca. Le sorrido e messa così posso vedere le sue spalle, le scapole sulla sua schiena, come le ali di un angelo. Come prima la butto di lato, così anch’io le tolgo gli slip rosa. Si è depilata lasciando solo una striscia di peluria lungo la fessura, che bacio e lecco, cercando di eccitarla. Muove il bacino verso la mia bocca e ansima, forse le piace. Poi mi allungo sopra di lei e la bacio, profondamente, con le lingue ad incrociarsi e inseguirsi nella bocca di uno e dell’altro. Lei lo prende e se lo mette sulla patatina. Lo spingo piano dentro di lei, che geme, e inizio a muovermi piano dentro di lei. “Aspetta, prendo il preservativo” le dico, ma lei mi risponde “non serve, prendo la pillola”, sono le uniche parole che ci siamo detti da quando siamo qui. Lei mi avvolge con le sue lunghe gambe, appoggiando i suoi calcagni sulle mia natiche e si stringe a me. La penetro un po’ più forte, ma ho paura di lasciarmi andare troppo presto e così interrompo e vediamo lei cosa escogita. Mi viene sopra e si siede su di me, con il torso alto, mentre la scopo posso stuzzicare le sue tettine. Questa volta si interrompe lei e si sitema sopra di me per un 69: io ne approfitto per toccarle l’ano, con il dito bagnato, e visto che non dice niente le infilo anche un dito dietro. In risposta spinge ancora di più il bacino verso la mia bocca e ansima e si dà da fare sulla mia asta. Sempre col mio cazzo in bocca si gira e si rimette in posizione, si sistema sopra di me per continuare, se lo infila dentro e scopiamo, questa volta con più energia, i sessi bagnati uno contro l’altro fanno schik-schak-schik-schak, mentre io continuo a tormentare con un dito il suo culetto. “Ti piace anche dietro?”.
“Sì, amore, ma piano, non farmi male”. Mi ha chiamato amore, chissà come le è venuto.
Quando si ferma volo in bagno a prendere una boccetta di olio di lavanda, con quale mi bagno il dito e le bagno l’ano: il suo profumo, il nostro sudore e adesso l’aroma dell’olio danno un risultato strano ma per me super-eccitante.
Lei si mette accucciata, con il sedere in aria, e non resisto a provare anche così a penetrarle la fessura più comoda e bagnata. La prendo con forza tenendo quel culetto fermo tra le mani e lei geme. Poi mi fermo dentro di lei, anche per la mia paura di godere troppo presto, e le infilo ancora il dito nel buchetto, con l’olio. E finalmente mi sfilo da lei per passare all’altro stretto passaggio. Non è facile, le allargo le natiche con le mani, ma non entra, devo spingere ma appena penetra un po’ le scappa un “ahi”. Mi fermo e ricomincio, spingo, lei continua “ahi, ahi, ahi” ma non si toglie, e spingo forte per vincere quel buchetto stretto. Lei ansima forte, “aah, ahh” e sento la mia pancia sul suo culetto, tutta l’asta è entrata, a questo punto perdo il controllo mi spingo forte dentro di lei, una, due, tre, quattro, non so quante volte, lei grida e io la scopo sempre più forte, in quel piccolo culetto che stamattina ho intravisto fasciato nei calzoni di pelle e stasera ondeggiare con il gonnellino. Ancora, ancora, ancora, intrappolato nel suo sederino, le sue manine ossute stringono il lenzuolo e il suo visetto è schiacciato sul cuscino, sudato e stravolto. Ancora, ancora, e vengo, dentro di lei, bollente.
Le faccio ancora più male per sfilarlo fuori e dopo il liquido caldo le esce e bagna il lenzuolo.
Per riparare a quella violenza che le ho fatto, l’abbraccio e la bacio e le propongo una doccia o un bagno, ma lei non risponde e stringendomi tira su le coperte e chiude gli occhi.