Madame abbaiò: ‘Syuzee, posizione tre!’ La posizione tre era quella a quattro zampe sul pavimento, sguardo rivolto in basso, che assunsi in un batter d’occhio. Ogni ritardo o esitazione nell’assumere una delle sette ‘posizioni’ standard (o, peggio, sbagliare la posizione richiesta) comportava una dolorosa punizione, generalmente a carico dei miei capezzoli.
Madame si portò dietro di me, e con il brusco tocco della scarpa sulle mie caviglie mi fece divaricare leggermente le gambe. Si accovacciò e, come un milione di altre volte prima, mi abbassò le mutandine e infilò due dita unte di lubrificante dentro il mio corpo, muovendole avanti e indietro e ruotandole a lungo, poi inserì anche due dita dell’altra mano e iniziò ad allargare e distendere il mio muscolo per un tempo che mi sembrò interminabile.
Quando giudicò sufficiente la sua opera si alzò e si diresse verso il comò. La sentii armeggiare nel cassetto dove teneva vibratori e butt-plug, e mentalmente cercai di indovinare quale sarebbe stato il prescelto. La scelta era molto ampia, Madame possedeva una collezione di una ventina e passa di arnesi diversi, e quasi mai ci azzeccavo.
Però mi augurai che fosse qualcosa di grosso, borchiato o corrugato. Le sue dita dentro di me avevano infatti scatenato l’insano desiderio, che mi prendeva sempre in quei momenti, di essere penetrata, a lungo, in maniera poderosa. Sentii l’inconfondibile rumore del lubrificante che veniva spremuto dal flacone e poi passato sul fortunato oggetto di gomma, e pregustai il momento in cui sarebbe finalmente stato usato.
Quando Madame ne appoggiò la punta sul mio sfintere cercai di rilassarmi e controllare il respiro, come mi era stato insegnato. Sentii l’anello allargarsi, tendersi progressivamente mentre madame applicava al dildo una pressione costante ed inesorabile. ‘Brava Syuzee’ ammise compiacente, ‘vedo che gli esercizi a casa ti hanno mantenuta elastica e accogliente.’ La sua voce calda, profonda, fortemente accentata (con la erre arrotata e le consonanti dure tipiche di una madrelingua tedesca, come lei era) aveva sempre un effetto molto sensuale su di me.
‘Grazie Madame’ risposi, sentendomi appagata in cuor mio per uno dei suoi rarissimi complimenti. Mi aspettavo che, da un momento all’altro, la dilatazione sarebbe finita e il palo di gomma avrebbe finalmente iniziato a scivolare dentro di me, ma sbagliavo. Il mio muscolo continuava ad essere impietosamente disteso, fino a che non iniziai a sentire delle dolorose fitte, simili ad un crampo, che mi lasciarono per un istante senza fiato.
‘Il cuneo!’ realizzai con sgomento, ripensando a quel mostruoso oggetto di gomma nera simile ad un piccolo proiettile d’artiglieria che una volta avevo intravisto. Per quel che mi ricordavo, ad occhio la parte più larga doveva avere un diametro di una decina di centimetri, una misura che pensavo fosse decisamente al di là delle mie possibilità.
Dagli spasmi e dalle tremende fitte che mi inviava giudicai arbitrariamente che il mio sfintere dovesse aver raggiunto il massimo delle sue capacità di dilatazione, e mentalmente implorai Madame di smettere. La supplica era quasi sul punto di sfuggirmi dalle labbra (colpa gravissima che mi sarebbe costata un castigo tremendo) quando Madame mi rassicurò dicendo ‘manca poco Syuzee, ancora un piccolo sforzo.’
Mentre con una mano Madame continuava a spingere e ruotare quell’oggetto infernale, cercando con teutonica ostinazione di farlo entrare a tutti i costi, con l’altra spruzzò una abbondante dose di lubrificante, probabilmente sperando che fosse sufficiente a far superare al mostro nero l’ultimo ostacolo. Tutto inutile.
‘Non ce la faccio più, bastabastabasta!!’ gridai ‘ rigorosamente all’interno della mia testa. Impercettibilmente mi mossi in avanti per ridurre quella terribile pressione. Madame se ne accorse immediatamente, e sibilò: ‘stai ferma e piega le braccia, stupida!’ Impaurita, eseguii immediatamente poggiando una guancia sul freddo pavimento.
Il mio sedere adesso era bene in alto, perfettamente esposto, e non c’era più alcun modo per me di sfuggire. Gettai un fugace sguardo all’indietro, ma l’unica cosa che potei vedere era un sottile filo, trasparente e vischioso che dondolava dalla punta del mio pene, ridotto ai minimi termini.
Il cuneo era sempre piantato saldamente dentro di me, determinato ad andare fino in fondo, con Madame che non gli permetteva di uscire nemmeno di un millimetro. La mia Padrona iniziò quindi a spingere con rinnovato sforzo. ‘Spingi con l’addome! Come quando caghi, du verdammte Idiot!’ intimò, spazientita. L’unico pensiero che riuscivo a formulare era che tutto finisse il più in fretta possibile, per cui mi sforzai disperatamente di ubbidirle.
Presi un grosso respiro e spinsi con l’intestino, spinsi come non avevo mai fatto prima, e proprio quando credevo che mi sarei lacerata in due, sentii il cuneo entrare finalmente – tutto – dentro di me (era la mia immaginazione o ne avevo sentito il rumore?), sentii il mio povero sfintere pulsante e dolorante richiudersi con improvviso sollievo ‘ ma non completamente ‘ attorno alla sua base scanalata.
‘Guuut!’ mormorò dolcemente Madame, mentre con alcuni ultimi tocchi aiutava il cuneo ad accomodarsi per bene nel mio intestino, le cui pareti si erano ormai arrese all’intruso e cedevano dolcemente per fargli spazio. Una nuova, straordinaria, eccitante sensazione di pienezza cominciava a farsi strada dentro le mie viscere, qualcosa che nessun dildo mi aveva mai dato prima.
Mi sorpresi a pensare che il mio corpo si era adattato perfettamente a quell’enorme e prepotente massa di gomma, anzi la rivestiva proprio come un guanto, come se fosse sempre stata lì. Sembrava la cosa più naturale del mondo.
Provai un po’ di vergogna per come mi ero comportata, al pensiero di aver cercato di disobbedire a Madame. Ma allo stesso tempo mi sentivo anche incredibilmente orgogliosa, per essere riuscita ad accogliere completamente in me quella creatura mostruosa. Ormai il più era fatto.
Madame attese alcuni istanti in modo che io riprendessi fiato (e, sospettai, quasi certamente per dare a lei il modo di ammirare il cilindro di gomma nera e lucida che mi separava le natiche), poi ordinò: ‘posizione sette!’ Sollevai il busto piegando contemporaneamente le ginocchia, finché non mi ritrovai seduta con le cosce appoggiate ai polpacci e il sedere sui talloni.
Sempre dietro di me, Madame poggiò le sue mani sulle mie spalle e spinse verso il basso, una mossa che mi fece aprire i talloni e appoggiare il sedere direttamente sulle piastrelle. Sentii un chiaro rumore di risucchio: il cuneo doveva possedere una ventosa alla base, che adesso lo faceva aderire al pavimento.
Provai a muovermi delicatamente e ne ebbi la conferma: il cuneo era diventato tutt’uno con il pavimento, e rifiutava di muoversi. Nel contempo anche il mio sfintere rifiutava di aprirsi (anzi, si avvinghiava ancora di più al gommoso invasore), tenendomi agganciata inesorabilmente al pavimento. Ero impalata, nel senso letterale del termine.
Iniziai ad avere un po’ di timore al pensiero del momento in cui avrei dovuto svellere quella mostruosità dal mio intestino. Cosa avrei fatto? L’uscita minacciava di essere anche più dolorosa dell’entrata’ (cosa che in effetti fu, ndr). In maniera stupida e irrazionale mi chiesi se avrei potuto convincere Madame a rimandare il momento, e di quanto.
Quanto si può sopravvivere con il sedere completamente otturato? Un giorno? Due giorni? Forse qualcosa di più, a non mangiare’ con un brivido mi venne in mente una storia che mi avevano raccontato, di un tale che era stato colto da vomito fecale, brrrrr!!!
Però la sensazione del cuneo piantato dentro di me, che mi teneva fissata come una gigantesca vite al pavimento, era ormai diventata piacevole, anzi era qualcosa di cui mi sarei separata a malincuore, e mi resi conto che il dolore che avrei provato nel farlo uscire non sarebbe stato l’unico (e nemmeno il principale) mio motivo di rimpianto’
Ben presto Madame mi distolse da queste fantasie. Afferrò una gag, e dopo avermi fissato l’anello di metallo gommato dietro ai denti, la allacciò stretta alla base della nuca. Istintivamente chinai la testa lievemente all’indietro, per impedire alla saliva di colare fuori dall’apertura circolare.
‘Syuzee, cosa ne è stato della mia proposta?’
Trasalii. Qualche tempo prima Madame mi aveva confidato che era suo desiderio iniziare al più presto con me i ‘giochi d’acqua’. Al momento non avevo afferrato, pensando stupidamente che si trattasse di fare sesso in piscina (!). Vedendo la mia espressione un po’ bovina, Madame ‘ che non aveva di certo peli sulla lingua ‘ aveva chiarito nei minimi dettagli: ‘Desidero che tu incominci a bere orina ‘ lo disse proprio così, orina con la ‘o’ ‘ la mia oppure quella di Gretchen, non importa, e in grandi quantità.’
Gretchen era il nomignolo che lei aveva dato al marito quando impersonava la sua altra schiava travestita e che a volte partecipava ai nostri giochi, come ad esempio proprio quel giorno. Il patto era chiaro, come del resto era già successo in passato in altri casi in cui Madame aveva ‘ giustamente ‘ ritenuto che io potessi essere un po’ recalcitrante. Prendere o lasciare. Se avessi accettato, la storia sarebbe continuata; viceversa, Madame mi avrebbe mollata e non sarei mai più stata la sua schiava. ‘Fammi sapere quando ti sentirai pronta.’
Avevo riflettuto parecchio sulla questione, cercando di valutare i pro e i contro. All’epoca non c’era ancora internet, e le informazioni su questo tipo di giochi non erano esattamente disponibili dovunque. Sapevo da tempo ‘ per averlo letto nella rubrica ‘lettere al dottore’ di un giornalaccio, dal barbiere ‘ che bere la pipì non era nocivo, a patto che il ‘donatore’ fosse sano ‘ e Madame lo era di sicuro. Tuttavia trovavo l’idea in se troppo ripugnante. Anche se di cose ripugnanti con Madame ne avevo già fatte, e parecchie.
Avevo provato a chiedere l’opinione di alcuni amici, come se si trattasse di uno scherzo, ma in risposta avevo ricevuto una serie di sghignazzate e sfottò di cui mi vergognavo ancora. Come estrema soluzione, nella solitudine del mio bagno avevo riempito un bicchiere con la mia stessa pipì, ma non ero riuscita nemmeno ad avvicinarlo alle labbra per lo schifo.
Però l’alternativa era quella di perdere Madame, per sempre. Per sempre. E sapevo che lei non scherzava su questo punto. Una volta avevo visto il suo precedente schiavo, ‘licenziato’, implorare per un pomeriggio intero davanti al suo citofono, senza esito. Ero disposta a perdere tutto questo?
Avevo sperato che, lasciando passare un po’ di tempo, forse Madame se ne sarebbe dimenticata. Beata speranza, il momento invece era giunto. In un lampo, riflettei: con i suoi ‘ pur scarni ‘ complimenti la Padrona mi aveva dimostrato senza alcun dubbio di essere soddisfatta di me per come avevo ‘accolto’ il cuneo, e adesso non mi andava proprio di rovinare tutto e deluderla con un rifiuto. Inoltre, sentivo dentro di me la sensazione che avrei potuto far bene anche questa cosa.
‘Qual è la risposta, Syuzee?’ Presi coraggio e annuii impercettibilmente con il capo, vergognandomi. ‘Come dici?’ sorrise maliziosa. Persi ogni residuo di dignità e ripetei il gesto, stavolta con molto più vigore. ‘Bene,’ commentò Madame, mentre le si allargava sul viso un ghigno tra il compiaciuto e il crudele. Sentii il mio viso avvampare di vergogna.
Madame si accovacciò di nuovo, e mi legò ciascun polso alla relativa caviglia con delle fasce di cuoio. Il busto che indossavo mi bloccava addome e torace, polsiere e cavigliere mi tenevano immobilizzata, mentre il cuneo mi riempiva e mi teneva cementata al terreno. La bocca era tenuta spalancata dalla gag. Non avevo scampo. E io che mi ero illusa che il cuneo sarebbe stata la parte più difficile della giornata!
Avrei dovuto sentirmi impaurita e nauseata per quello che di lì a poco sarebbe successo, e invece iniziai ad avvertire un familiare pizzicorino alla base del mio glande, segno che in fondo l’idea probabilmente mi stava iniziando a piacere. ‘Ommioddio, ti prego non farmi venire proprio ora!’ E’ incredibile come nell’SM si possa passare dalla ripugnanza più totale ad una dipendenza altrettanto totale, e io lo sapevo bene!
Madame ebbe il tempo per un ultimo vezzo, rinnovarmi il velo di rossetto sulle labbra serrate attorno all’anello della gag, prima di ordinare: ‘Gretchen, fai come abbiamo stabilito.’
Cooosa? Come abbiamo stabilito?!? La stronza lo sapeva, la dannatissima stronza lo sapeva già che avrei accettato e si era messa d’accordo!!! Maledizione, io avevo passato delle giornate d’inferno ad analizzare la sua proposta, a cercare di farmela piacere, a combattere la sensazione di schifo, e lei invece sapeva in anticipo cosa avrei risposto! Evidentemente lei mi conosceva meglio di me stessa’
Gretchen, anche lei (tra)vestita di tutto punto, fece qualche passo sui tacchi alti e si mise proprio di fronte a me. Sapevo che era gelosa e che non perdeva occasione per cercare di mettermi in cattiva luce e farmi dei dispetti, e anche adesso – non vista da Madame ‘ mi indirizzò una smorfia di scherno.
Poi abbassò le mutandine di pizzo, e liberò il suo uccello davanti alla mia faccia. Pur avendo una mezza erezione, si trattava di un coso piccolo, molto più piccolo del mio, decisamente ridicolo. Tanto che, come facevo spesso, iniziai a sfotterla mentalmente e la cosa un po’ mi rinfrancò.
Forse Gretchen intuì i miei pensieri, o forse vide un’espressione ironica passare per un istante sul mio volto, ma quando mi afferrò la testa tra le mani, e lentamente iniziò a tirarla a se, la sua presa aveva una decisione poco adatta ad una slave e che sapeva molto di vendetta.
Era evidente che avesse fatto qualche prova in precedenza, perché il diametro dell’anello della gag si adattava perfettamente alle dimensioni del suo cazzo, che un centimetro alla volta invase la mia bocca finché il suo ventre non appoggiò sulla punta del mio naso, solleticandola con la peluria biondastra del pube. Le mani si spostarono ora dietro la nuca, afferrandomi saldamente e impedendomi ogni possibilità di ritirata, a suggellare questa unione perversa della quale iniziavo a pentirmi.
Sentivo la sua cappella gonfiarsi e sfregare sul mio palato; non mi dava fastidio, perché le sue dimensioni ridicole non gli permettevano di andare più in profondità e indurmi ad avere dei conati (come le sarebbe piaciuto riuscirci!). Un cazzo di dimensioni almeno normali ce l’avrebbe fatta, pensai. Però, ormai era fatta. Pisello corto o no, da un momento all’altro Gretchen avrebbe iniziato a scaricarsi, e io ‘ non lei ‘ avrei dovuto mandare giù tutto.
‘Ora!’ impose Madame. Gretchen liberò un getto caldo e impetuoso, che ‘ pur essendo atteso ‘ mi colse alla sprovvista, e solo un enorme sforzo di volontà e orgoglio mi impedì di tossire e sputare via quel liquido sgradito. Il getto giallo (così lo immaginavo) mi colpì il fondo della gola, e iniziò a scendere nello stomaco, aiutato in questo dai singulti che ben presto avevo iniziato a fare nel timore che mi andasse di traverso e restassi soffocata.
La cosa curiosa era che non avvertivo nessun sapore. Il getto cadeva ben dietro la mia lingua, e ‘ grazie al cielo, pensai ‘ non riuscivo a sentirne il gusto. Potevo avvertire l’odore però, un odore forte e pungente, un po’ aspro, un po’ amaro, con un vago retrogusto di’ di che cosa?
Non riuscivo a capire’ Oh mio dio, realizzai con sgomento, è l’odore che esce dai vespasiani, oh no, no, NO! Questa cosa puzza di cesso pubblico, e io la sto bevendo tutta, sono qui, vestita da troia e inchiodata da un coso enorme nel culo e la sto ingoiando, proprio come un cesso, va giù e non posso farci niente, ohhhh’
Adesso dovrei dire che la cosa non mi piaceva, che la detestavo, che mi rivoltava. Dovrei raccontare che mi ribellai, scuotendo la testa per farla finire. Ma non fu così. La verità è che si trattò di una cosa talmente degradante, lurida, perversa, enorme nella sua sconcezza che sommerse e fece a pezzi tutte le mie barriere, facendomi letteralmente impazzire di voglia. Smisi di pensare in maniera coerente, e venni presa dalla frenesia.
Non appena mi ero resa conto, in un angolo della mente, che il sapore non era poi così terribile, avevo iniziato a succhiare più forte che potevo, per quel poco che mi consentiva la gag, e ad ingoiare in maniera convulsa, per avere quanto più possibile di quello sporco liquido dentro di me, per cercare di succhiare via da Gretchen, assieme alla sua amara linfa, anche tutta la sua cattiveria. Il mio pene vibrava come un diapason, e sarebbe bastato sfiorarlo leggermente per farmi avere un orgasmo devastante.
Sarebbe stato sufficiente anche il pericoloso contatto con le autoreggenti che indossavo, e per questo motivo mi guardai bene dal compiere qualunque tipo di movimento che avrebbe potuto causare una tale catastrofe. Chiusi gli occhi e mentre Gretchen si svuotava dentro di me, iniziai ad accarezzarle con la lingua la base del pene, cullando la segreta e impossibile speranza di farla sborrare, di modo che Madame poi la punisse. Ma poi sarei stata in grado di mandare giù anche quella?
Tra un sorso e l’altro, con la punta della lingua cercai il rigonfiamento dell’uretra lungo l’asta, chiedendomi leziosamente se sarei riuscita a controllare ‘ o addirittura a interrompere ‘ il flusso di urina, sempre per mettere in difficoltà Gretchen. Quella stronza sembrava pisciare come una maledetta fontana, non la smetteva più, e io mandavo giù tutto con brevi e veloci sorsate, tra un respiro e l’altro. Quante birre ti sei scolata Gretchen, brutta troia, per farmi questa cosa? Spero un giorno di restituirti il favore’
Sentivo lo stomaco riempirsi, dandomi una perversa sensazione di sazietà e facendomi aderire ancor più strettamente al corsetto. Pensai: ‘oddio, speriamo di farcela a mandare giù tutto!’ Fu a questo punto che, come per in risposta al mio richiamo mentale, Madame passò al comando, afferrando la base del pene di Gretchen con due dita e ‘chiudendo il rubinetto’. La costrinse ad arretrare di qualche centimetro, di modo che il suo glande era adesso adagiato nel centro esatto della mia lingua, e permettendomi per alcuni istanti di tirare il fiato.
Poi, improvvisamente, allentò la pressione, e un rivolo dapprima leggero, poi più consistente di piscia calda tornò di nuovo a fuoriuscire. Solo che stavolta la potevo assaporare in tutta la sua pienezza! Ma in qualche modo mi ero ormai assuefatta, forse per via di tutto quell’odore che avevo già respirato dall’interno, che mi era risalito dalla gola mentre il liquido scorreva verso la mia pancia.
Per cui adesso che il sapore era veramente terrificante, aspro, amaro e rivoltante, bevevo senza alcun ritegno l’urina di Gretchen, come se fosse acqua fresca per un’assetata, lasciando che si accumulasse un po’ per assaporarla e poi ingoiandola in un colpo solo, senza vergogna, senza rancore, anzi sperando segretamente che ce ne fosse sempre dell’altra’
Madame osservava e studiava le espressioni che passavano sul mio viso da distanza molto ravvicinata, le dita sempre alla base della sorgente del mio godimento a regolare giocosamente il getto, e in un unico ‘ unico ‘ istante in cui osai allacciare il mio sguardo al suo, vi vidi riflessa la mia stessa lussuria.
Contemporanemante dalle profondità del mio stomaco, dove il liquido di Gretchen si stava accumulando sorso dopo sorso come un piccolo, caldo, intimo lago sotterraneo, si face largo risalendo un alito d’aria che portava con se qualche goccia del suo acido contenuto ma che, soprattutto, aveva il tremendo, degradante odore che stavo iniziando ad amare.