In definitiva cosa puoi attenderti da una spugna che aspetta di assorbire tutto quello che le si bagna in torno? Nulla di più della consapevolezza di essere un inerte oggetto o, meglio ancora, la convinzione tutta da verificare che prima o poi qualcuno le strizzerà via il carico d’acqua. In fondo una spugna cosa cazzo può desiderare di più nella vita; una forte mano che le pigi i fianchi al momento giusto. Per il nostro corpo, un oggetto dei desideri destinato, se capita nelle mani giuste, a condividere la sua quotidianità fra acqua e bagnoschiuma; su e giù sulla pelle di qualcuno. Questo, se ha la fortuna di essere usata per l’igiene dell’uomo. Cazzi, se capita a pulire cessi o stoviglie incrostate. Insomma, se nasce gialla con la schiena verde il destino è uno solo, sgobbare. Insomma questo è il quadro; qualche piccola variazione certo, ma in definitiva non si sfugge: o nei cessi o sulla pelle di qualcuno. Cosi, quel giorno che ritrovarono Spuny riversa sul bidè, non fu difficile capire perché si era lasciata avvelenare dallo sperma bianco di una bottiglia di Cif. Sarebbe bastato che una mano fosse arrivata in tempo per strizzargli via dal corpo tutto quella ammoniaca ed oggi Spuny, starebbe ancora a lucidare rubinetti e ceramiche. Peccato. Era la sorella di tre gemelle, imbustata a Milano ed emigrata al Sud. Una breve vita di passata tra scatole e scaffali, prima che qualcuno distrattamente la lanciasse in un carrello di un supermercato. Le sorelle sono ancora lì, in quel fottutissimo armadietto tra stracci e bottiglie semi piene di veleni, pronte a prendere il suo posto. A sgobbare e, mai una volta a scivolare lungo morbide chiappe, muscoli e quant’altro un corpo umano possa offrire alla ruvida morbidezza di una spugna. Anche loro, come Spuny, tireranno le cuoia in qualche invaso di ceramica; pallide e solcate dai segni di una vita di sacrifici. Spuny i primi giorni, guardava con manifesta eccitazione le colleghe fortunate, che solcavano il corpo della giovane donna di quella casa. Arrossiva ai commenti delle amiche, che a fine doccia, si scambiavano grossolani commenti sulla morbidezza di quella fica. Sciampiste, pensava. Per Spuny sarebbe stata una poesia zigzagare tra seni turgidi, cosce affusolate e fianchi compromettenti. Guardava la sua padrona vibrare quando con mano ferma, strizzava le amiche sulle sue zone erogene. Una tempesta di desiderio per lei, Spuny, conservata sotto un lavello in attesa di un nuovo giorno di fatiche. Umida, come solo una spugna può esserlo, attendeva l’alba di una nuova emozione. Al mattino la sua padrona la prelevava dal buio del suo rifugio e lei, godeva al desiderio che quelle stesse mani spiate la sera precedente, le stringessero i fianchi per farla schizzare.