No, davvero ti ho detto questo?’
‘Ti giuro, mi hai detto esattamente queste parole’
‘Certo che devono averti veramente colpito, se te le ricordi dopo 25 anni!’
La mia conversazione con Marco è cominciata così: da un post su Facebook in cui questo amico delle medie mi salutava chiedendomi: ‘Come sta la compagna di marciapiede’Al tempo delle medie??? (detto così ‘compagna di marciapiede’ non suona nemmeno troppo lusinghiero come ricordo!!!)
In effetti alle medie io e Marco tornavamo sempre a casa insieme: io lo lasciavo sulla porta di casa e poi me ne andavo, tagliando per il campino di calcio e piegata sotto il peso immorale del mio zaino Invicta, a pranzo da mia nonna.
Ci siamo conosciuti l’estate della prima media, in un parco che sarebbe poi diventato il punto di ritrovo di tutta la nostra adolescenza.
Lì, in quel parco, mi sono innamorata per la prima volta.
Ricordo le parole che Marco mi rivolse la prima volta che mi parlò: ‘Di viso non sei un granchè, ma hai un personale!!!’.
‘Personale”era un vocabolo che avrebbe usato mia nonna invece di dire ‘fisico’ (parola alla quale avrebbe dato, sicuramente, una sfumatura peccaminosa), non un ragazzino sfrontato con la frangia troppo lunga, a cavallo di una bicicletta BMK scassata e tenuta insieme con lo scoth e tanta speranza.
In ogni caso ero davvero carina!
All’epoca, avrò avuto 12 anni al massimo, indossavo senza pudore o vergogna, un paio di pantaloncini di jeans sfrangiati e cortissimi, che arrivavano sì e no a coprire metà gluteo e sopra, un top in pizzo di san gallo bianco che metteva in risalto un dato innegabile: avevo due tette esagerate per una preadolescente.
Fisicamente dimostravo sicuramente di più dei miei pochi anni e ad oggi comprendo le occhiate che mi mandavano anche i ragazzi più grandi i cui commenti espliciti e talvolta volgari, finivano sempre per farmi arrossire e battere in una risentita e vistosamente imbarazzata ritirata.
Ad ogni buon conto di quel periodo mi è rimasto addosso il ricordo del profumo dei fiori di tiglio, le lunghissime ed estenuanti corse su e giù per il parco, le ginocchia graffiate per le cadute da un’improbabile bicicletta mentre tentavo di fare ‘il percorso’ come i maschi, i ghiaccioli Algida a 500 lire, Madonna che canta ‘True Blu’, due occhi verdi che, potessi vivere ancora cento anni, non dimenticherò mai e una parola ‘personale’ che ha subito riaperto uno squarcio temporale quando colui che l’aveva pronunciata 25 anni prima è improvvisamente e inaspettatamente ricomparso nella mia vita.
‘Senti, Miki, carpe diem’ti va se ti offro un caffè oggi pomeriggio’così mi faccio perdonare per quella battutaccia!!’
‘Sì vabbè Marco’per farti perdonare, non basterebbe un Don Perignon del ’56! Comunque, sono generosa nell’elargire il mio perdono, quindi accetto!’.
Ci siamo dati appuntamento in un bar vicino al mio ufficio, quello in cui mi conduco ogni mattina verso le dieci per tentare di riappropriarmi tanto degli occhi, resi vitrei dallo schermo del Pc, quanto della presenza mentale: entrambe le cose con scarso successo!
Appena l’ho visto sono rimasta piacevolmente stupita.
Da ragazzino non era, per usare la sua espressione, un granché.
Oggi è un bellissimo uomo di 37 anni, con un viso singolare e un modo di fare che suscita immediatamente interesse e simpatia.
‘Fammi vedere?’ mi dice dopo i due bacetti, di rito, sulle guance.
‘Cosa’fammi vedere cosa?’ gli chiedo, mentre lui, tenendomi per il mento, mi immobilizza il viso.
‘No’che delusione!!!’
‘Ma che dici, Marco’ gli rispondo mentre, ridendo, mi divincolo dalla sua presa.
‘Non hai più l’apparecchio ai denti! Non sai quanto mi intrigava!’.
Ci guardiamo e scoppiamo e ridere, con una spontaneità che mi lascia attonita.
L’ultima volta che siamo visti avremmo avuto più o meno 22 anni.
Io ero ancora fidanzata con Andrea, il mio ex ragazzo (anche lui compagno delle medie) e Marco si era appena messo con Isabella (altra compagna delle medie): da allora sono passati ben quindici anni.
Lo guardo e mi sento leggera.
Non c’è imbarazzo, non ci sono silenzi da riempire con parole a raffica, non ci sono frasi di circostanza, così tanto per dire qualcosa.
Ordiniamo un caffè e andiamo a sederci nella sale sul retro: alle quattro del pomeriggio, non c’è ancora nessuno.
Iniziamo a parlare.
Ci raccontiamo cosa ci è successo negli ultimi in cui ci siamo totalmente persi di vista.
Io non sto più con Andrea, sono sposata con un altro Andrea, ho due bambini, lavoro vicino a questo bar e abito ancora nella zona che ci ha visto bambini.
Lui non è sposato, non ha figli e è appena separato dalla sua compagna, con cui ha convissuto negli ultimi sei anni.
Abita vicino a questo bar, in un bilocale che ha affittato dopo essere andato via di casa.
Lo ascolto con piacere: non c’è autocommiserazione nelle sue parole.
Solo la consapevolezza che qualcosa di importante è finito e la stanchezza, che ogni tanto affiora, di dover ripensare e riorganizzare da capo una vita da single.
‘Senti io devo fumare” mi dice Marco a un certo punto.
‘Ok, usciamo a fare due passi’.
Appena fuori sul marciapiede tira fuori un sigaretta elettronica.
‘Ma dai Marco’è come andare a letto con una bambola gonfiabile!!!’ gli dico, prendendolo in giro.
‘Mica trombo te!’ mi risponde a tono.
‘ E non sai che ti perdi!!!’ gli dico io stando al gioco.
Mi guarda e sorride: forse non si aspettava che gli tenessi testa.
Forse è sorpreso di ritrovarmi dopo tanti anni così a mio agio in questo gioco.
Da ragazzina non ero così: diventavo rossa per un nonnulla!
‘Andiamo và, sennò qui finisce male’ dico io, prendendolo a braccetto e incamminandomi verso il viale alberato che costeggia lo Stadio comunale.
I viali che circondano la struttura sono bellissimi.
Sono silenziosi, ben curati: sembrano fatti apposta per un passeggiata che ha il sapore dei ricordi.
Dopo un po’ che camminiamo, parlando del più e del meno, Marco si ferma e mi dice: ‘ti rendi conto che stiamo camminando esattamente come camminavamo da ragazzini?’
Mi guarda in un modo diverso adesso.
Me ne rendo conto, ma cerco di sdrammatizzare e di svicolare.
‘Sì però abbiamo 20 anni di più e non abbiamo più quegli zaini immondi sulle spalle’
Continua a guardarmi.
‘Tu mi ricordi le corse in bicicletta che facevo da ragazzino” dice parlando quasi più a se stesso che a me.
Poi allunga una mano e mi accarezza, quasi distrattamente, un ciuffo ribelle dei capelli.
‘Non è vero che di viso non sei un granché” dice, avvicinandosi pericolosamente alla mia bocca.
Ad un tratto le sue labbra toccano le mie e inaspettatamente mi ritrovo a baciarlo.
Schiudo la bocca e lascio che la sua lingua cerchi e trovi la mia.
E’ un bacio dolce, quasi timido.
Poi, a un certo punto, diventa più intenso.
Sento le sue braccia attirarmi verso di sé e le sue mani entrare dentro i miei capelli, scarmigliandoli.
Mille pensieri mi attraversano la mente.
Il primo di tutti: ma cosa sto facendo?
Non sono di certo un’abitué delle avventure extraconiugali.
Anzi, a dirla tutta, fino a un mese fa, non avevo mai tradito mio marito in dieci anni che stiamo insieme.
Ma si sa, a volte le cose accadono.
***
‘E’ perché sei molto meno perbene di quello che credi di essere”
Mi ritornano alla mente, in questo istante, le parole di Massimo, un mio caro amico che è anche psicoterapeuta.
Sono andata da lui, nelle scorse settimane, a raccontargli della mia avventura sessuale e a confessargli che l’unico senso di colpa che provavo era quello di non sentirmi in colpa.
Mi sono presentata a casa sua, un lunedì pomeriggio (quando so che non prende appuntamenti) brandendo una bottiglia di tequila come fosse una sciabola.
Appena mi ha visto ha sorriso e mi ha detto ‘entra e raccontami cosa hai combinato”.
Sono entrata e, come ogni volta, ho vuotato il sacco e, insieme a quello, ho dato, con la complicità del mio confessore, una bella botta alla bottiglia (sale e limone’rigorosamente e senza eccezione alcuna!!!).
Alla mia affermazione: ‘Max’io non sono una Milf” lui ha risposto con il suo pragmatico cinismo, non privo di affetto per me: ‘No, Miki, non sei una Milf’ma non sei nemmeno la donna tutta casa e famiglia che credi di essere’sei molto meno ‘perbene’, passami il termine, di quello che pensi. Non è un giudizio negativo nei tuoi confronti. E’ così.
E finchè non accetterai questo di te stessa, ci sarà sempre qualcosa di interrotto in te’.
***
Oggi, a poco più di due settimane di distanza da questo dialogo, mi ritrovo abbracciata a baciarmi con un amico della mia adolescenza della cui esistenza, fino a due ore prima, non sapevo più niente.
‘Andiamo da me? Abito qui vicino’due passi a piedi e ci siamo!’
E’ una richiesta inaspettata a cui non ero preparata.
E’ una situazione in cui mai mi sarei immaginata di ritrovarmi.
E’ una cosa illogica, folle, assurda.
Per questo, senza stare troppo a pensarci su, ma ben cosciente di me stessa, dico di sì.
A volte le cose accadono.
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CONTINUA’
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19dulcinea76@gmail.com
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Camminiamo l’uno accanto all’altra, in silenzio perchè ogni parola, in questo momento sarebbe di troppo e lo sappiamo.
Solo le nostre mani si accarezzano ogni tanto e gli occhi di Marco mi sfiorano cercando nei miei una muta conferma, quasi una rassicurazione.
Pioviggina, di quelle pioggerelline insistenti e silenziose che a poco a poco inumidiscono irreparabilmente gli abiti e lasciano che l’umidità si insinui dentro le ossa.
Non è tardi, ma le nuvole hanno accelerato il sopraggiungere della sera; intorno c’è un’aria crepuscolare, quasi decadente: è un’atmosfera perfetta per due come noi.
La casa di Marco è davvero molto vicina, situata in una traversa laterale del grande viale anulare che circonda lo Stadio.
Mi sono sempre piaciute queste stradine.
Lì, il tempo sembra essersi fermato agli anni ’30 o almeno a me fanno quell’impressione (come se poi gli anni ’30 li avessi davvero vissuti e non intravisti di sbieco in qualche testo di storia contemporanea oppure in qualche raccolta fotografica!).
‘Entra, Miki, accomodati!’ mi dice Marco appena aperta la porta del suo appartamento.
‘Grazie’permesso’ gli faccio eco io, entrando.
L’appartamento non è molto grande, però è davvero accogliente, arredato e sistemato con una cura e un occhio per i dettagli quasi femminile.
‘Complimenti, Marco! E’ davvero una bella casa’ma l’hai arredata tu?’ gli chiedo sinceramente stupita di vedere ordine e buon gusto fare da padroni in un ambiente completamente al maschile.
‘Sì, certo! Sai, quando mi sono separato da Barbara, avevo bisogno di tenere la mente occupata e allora mi sono dedicato a rendere questo posto confortevole. Avevo bisogno di trasformarlo in una casa, nella mia casa, e non solo un rifugio in cui passare le sere. Ti piace?’.
Pronuncia l’ultima frase avvicinandosi a me, che nel frattempo ho tolto sciarpa e piumino e li ho buttati distrattamente sul divano che divide, virtualmente, la cucina dal salotto.
‘Lo sai che le tue labbra sono morbidissime?’ mi dice mente si china a baciarmi nuovamente.
Questa volta non mi ha colto di sorpresa.
Rispondo immediatamente al suo bacio e sono io stessa che gli metto le braccia intorno al collo per accarezzargli i capelli che porta tagliati, esattamente nello stesso modo in cui li portava’ da ragazzino.
Sento le sue mani accarezzarmi la schiena e sento dei leggeri brividi spandersi dalle spalle alla nuca: è una sensazione piacevole che lascia una sorta di languore all’altezza dello stomaco.
Poi le sue mani, percorrendo una loro precisa traiettoria, si spostano sui miei seni e immediatamente i miei capezzoli si induriscono.
Marco se ne accorge e sorridendo, mi sussurra a fior di labbra ‘Come sei sensibile!!!’.
Sorrido a mia volta, lasciando che la mia mano scivoli in basso, fino ad arrivare all’altezza della patta dei pantaloni: la sua erezione è ben evidente.
La mia mano indugia qualche istante, giusto il tempo di vedergli chiudere gli occhi.
‘Anche tu mi pare’ gli rispondo, mordendogli delicatamente il labbro inferiore.
‘Sei tremenda’non ti ricordavo così sfrontata!’.
‘Oddio, non ricordo che ci siamo mai trovati in questa situazione!’ dico guardandolo con occhi volutamente maliziosi.
‘Andiamo in camera’ mi dice Marco prendendomi per mano.
‘
La camera da letto è, come il resto della casa, accogliente e calda.
Le pareti sono tinteggiate color corda con spugnature leggermente più scure.
L’arredamento è semplice: un armadio bianco che occupa interamente la parete accanto alla porta, due comodini e un cassettone in stile shabby chic (che ho poi scoperto essere frutto delle capacità da bricolatore di Marco), un letto con la testiera imbottita anch’esso color corda come la parete e nell’angolo accanto al cassettone, una piantana in ferro battuto molto particolare, a tutta vista proveniente direttamente dagli anni ’70.
La cosa che colpisce di più però è la parete a lato della finestra, che affaccia sui giardini interni: è infatti interamente ricoperta di cornici con fotografie, ritagli di giornale, disegni tratteggiati a mano, biglietti di auguri, biglietti di concerti, cartoline.
Il mosaico di una vita.
Un’opera d’arte mirabilmente incompiuta e’bellissima.
Al centro, in una delle cornice più grandi, una foto che riconosco immediatamente. Perché, quella foto, ce l’ho anch’io.
Una didascalia in basso recita Anno Scolastico 1989/1990: la foto dell’ultimo anno delle medie.
Una vita fa: quando ancora non c’erano i Dvd, né l’Iphone, l’Ipad, la Play station, nè tantomeno la Wii; quando ancora, prima di uscire, ogni mamma si accertava ‘Hai preso il gettone, casomai dovessi avvisare che fai tardi?’; quando ancora c’erano le lire.
E soprattutto quando ancora tutto sembrava possibile, perché tutto era ancora intatto.
‘
‘Non accendere la luce’ dico a Marco, trattenendo la sua mano mentre sta per premere l’interruttore.
‘Come’vuoi stare al buio? Ma io ti voglio vedere’ replica con una sfumatura di delusione nella voce.
‘Lascia l’avvolgibile tirato su’saranno i lampioni della strada a illuminare la stanza’non mi piace con troppa luce!’
E’ vero.
Non mi piace la troppa luce, né quella del sole, né quella artificiale.
Non mi piace niente con troppa luce.
Preferisco le zone d’ombra.
‘Va bene, come vuoi tu, anche se è un peccato non poter vedere i tuoi occhi’.
Dice quest’ultima frase alitandomi sul collo.
Sento di nuovo i brividi attraversarmi la schiena.
Questa volta però le sua mani non si fermano: le sento arrivare decise ai bottoni della mia giacca che cade subito a terra.
Poi è la volta della camicia, della gonna e delle calze.
Rimango così, quasi nuda di fronte a lui.
A difendermi dalla completa nudità mi rimangono solamente il reggiseno di pizzo nero e il perizoma anch’esso in pizzo nero.
Quando Marco fa per sganciare il ferretto del reggiseno, mi tiro indietro.
‘Ora tocca a te’ gli dico mentre tiro giù la lampo del golf blu scuro e poi comincio a sbottonare la camicia.
Mi accorgo che mi tremano le mani.
Sorrido.
E’ questo il momento che preferisco quando faccio l’amore per la prima volta con un uomo.
E’ il momento ‘subito prima di’, quell’attimo sospeso, in cui tutto può accadere, ma niente ha definitivamente preso forma.
Sono questi piccoli gesti visti quasi a rallentatore, prima che l’urgenza e la bramosia prendano il sopravvento, che rendono ogni storia unica.
E’ un frangente particolare, intriso di un misto di timore, attesa, voglia, desiderio.
E’ quello l’attimo che cerco sempre di fissare bene nella mente.
Così, inspiro il profumo della pelle olivastra di quest’uomo, da molti anni sconosciuto eppure ben noto e presente nei miei ricordi di bambina prima e di adolescente poi: la sua pelle profuma d’estate, profuma di buono.
Profuma di ciò che siamo stati.
Continuo delicata, ma implacabile nella opera di spoliazione fino a quando, anche Marco, come me, rimane solamente in intimo.
Nei suoi occhi adesso leggo una sorta di pudicizia che prima non scorgevo.
Sorrido di nuovo, ritrovando in quell’impercettibile imbarazzo il bambino che era quando l’ho conosciuto.
Gli prendo allora le mani e le porto all’altezza del gancio del mio reggiseno.
‘Ora puoi’ gli dico.
E così lui lo fa: sgancia il reggiseno e poi si piega leggermente in avanti per sfilarmi gli slip.
Io faccio altrettanto.
Adesso Marco mi guarda con sfacciata curiosità.
Chissà cosa starà pensando, penso tra me.
Chissà se starà facendo i paragoni con la dodicenne dal viso non un granchè, ma dal personale niente male.
Lo guardo a mia volta e mi ritrovo ad ammirare un uomo veramente attraente con un fisico asciutto, muscoloso senza essere gonfiato, che gli anni hanno reso più solido che robusto.
Abbasso gli occhi e osservo anche quella parte di lui che da lì a poco mi darà piacere.
Marco si è accorto della mia occhiata interessata: mi guarda, sollevando un sopracciglio e sorridendo con fare birichino e complice.
Non fa nessun commento e lo apprezzo.
E’ facile in certi frangenti scadere nella banalità, rischiando con due parole buttate a caso, di infrangere la magia del momento.
Ma lui si limita ad avvicinarsi a me.
Le sue mani mi accarezzano lentamente e dolcemente; mi bacia di nuovo e mi abbraccia.
Adesso i nostri sessi si toccano e dalla mia gola esce un gemito sommesso.
‘Vieni qui’ mi dice Marco trascinandomi sul letto.
Mi distendo accanto a lui e subito sento la sua mano scendere verso basso, fino ad arrivare là dove adesso avverto sempre maggiore la tensione dell’eccitazione.
‘Dio mio, Miki, ma sei un lago!!’ mi dice Marco.
Nel momento in cui pronuncia queste parole, due dita affondano dentro di me, facendomi sussultare.
Adesso è tornato a baciarmi, ma io non riesco a ricambiare il suo bacio.
Ho bisogno d’aria, perché l’eccitazione che sento mi manda in debito di ossigeno.
Il mio respiro si fa pesante.
Mugolii di piacere mi escono dalle labbra.
‘Voglio sentire che sapore hai’ mi dice.
Giusto il tempo di richiamare a raccolta i neuroni per mettere a fuoco queste parole, che arrivano alle mie orecchie ovattate e quasi distorte, che la testa di Marco finisce tra le mie gambe.
Sento la sua lingua lambire interamente le grandi labbra.
Sento i suoi denti mordicchiare leggermente il mio clitoride gonfio per l’eccitazione.
Sento ancora le sue dita dentro di me che adesso hanno preso un ritmo regolare ed incalzante.
Con le mani trattengo la sua testa e spalanco oscenamente le gambe.
‘Oddio, Marco, non smettere’per favore, non smettere!’
Di fatto, sessualmente, non ci conosciamo.
Non conosciamo i nostri tempi e i nostri reciproci bisogni.
Prego pertanto in cuor mio che Marco non smetta quello che ha iniziato.
‘Non smettere’non smettere di leccarmi’oddio Marco’mi stai facendo godere da matti’ gli dico, mentre sento montare l’orgasmo.
Marco deve averlo capito in qualche modo.
Il suo è un ritmo più sostenuto adesso e la sua bocca è attaccata al mio clitoride, quasi a risucchiarlo.
Il rumore delle sue mani che entrano ed escono, misto al suono dei miei umori, mi eccita tantissimo, al punto che sento distintamente un’ulteriore dilatazione.
Mando la testa all’indietro, inarco la schiena e cerco un appiglio per le mani che non trovo.
Trovo solo la coperta.
Mi aggrappo a quella e la tiro verso di me.
‘Oh cazzo, Marco, sto per venire’oddio, sto per venire’sto per venire’sto per venire’.
Non so quante volte l’ho ripetuta questa frase prima con tono sommesso poi con voce sempre più alta, fino a quando, con un ultimo grido mi sento attraversare da una scarica che, partita dalla punta della testa si irradia fino al centro della mia intimità, squassandola con brividi e contrazioni di piacere.
‘
‘
‘
‘
‘
‘
Riapro gli occhi e noto che Marco mi sta guardando con un bel sorriso.
Gli sorrido a mia volta: vorrei ringraziarlo, vorrei dirgli quanto la sua bocca, le sue labbra e la sua lingua siano state capaci di farmi godere.
Ma rimango in silenzio, limitandomi ad allungare una mano per sfiorargli il ciuffo che adesso gli copre parzialmente gli occhi.
Conosco un modo migliore per sdebitarmi e per ringraziarlo.
Porto una mano tra le mie gambe e con le dita sfioro la mia vagina ancora gonfia, eccitandomi nuovamente nel sentir colare gli umori dell’orgasmo.
Marco si china a baciarmi e sulle sue labbra sento distintamente il mio sapore: è un misto di dolce e salato con un retrogusto alla vaniglia, probabilmente l’olio che uso per idratare la pelle dopo la doccia.
‘Hai un buon sapore. Profumi di buono, Miki’ mi dice, mentre con la lingua sfiora le mie labbra e i miei denti.
‘Adesso fammi sentire qual è il tuo di sapore” gli rispondo alzandomi ed andando a posizionarmi di fronte a lui.
Con una mano lo spingo delicatamente e lui finge di cadere scompostamente sul letto.
Mi accoccolo tra le sue gambe e lo guardo da sotto in su con occhi volutamente e sfacciatamente vogliosi.
Marco mi osserva con impazienza.
Adesso vuole il suo piacere ed io voglio darglielo; desidero farlo godere come lui ha fatto godere me.
Avvicino il viso nell’incavo delle sue gambe e lecco lentamente l’interno coscia; risalgo con la lingua fino ad arrivare al pube e poi scendo fino a lambire il sesso che, lucido e duro, sembra quasi implorare le attenzioni della mia bocca.
Invece scendo a leccare l’altra coscia.
‘Sei veramente una stronzetta” mi dice Marco con la voce arrochita dall’eccitazione.
‘Ummm, scusami’cosa posso fare per farmi perdonare?’ gli rispondo con voce cantilenante, da bambina falsamente innocente.
‘Succhiami il cazzo, Miki!’ sussurra lui, spingendomi la testa in mezzo alle sue gambe.
Assecondando il suo gesto, schiudo le labbra e lascio che il membro di Marco mi riempia la bocca.
Anche lui ha un buon sapore.
Con la lingua percorro interamente l’asta; poi, arrivata alla punta, lo succhio, serrandovi intorno le labbra.
Ripeto questo movimento alcune volte, dedicando attenzioni anche ai testicoli.
Li mordo, con dolcezza e li lecco.
‘Dio mio, Miki’hai una bocca da favola” mi dice Marco, mentre mi accarezza i capelli.
Il suo sesso è diventato ancora più duro.
E’ lungo, ma soprattutto è largo.
Faccio un po’ fatica prenderlo tutto in bocca.
Ma voglio che questo pompino se lo ricordi per un bel po’: così lo spingo fino in fondo alla gola, incurante del senso di soffocamento che avverto.
Un pensiero osceno mi attraversa la mente: voglio che si masturbi per molto tempo pensando alla mia bocca, voglio che gli venga duro ogni volta che ripenserà a me.
Questo pensiero accende nuovamente la mia voglia.
‘Scopami la bocca, Marco’ gli dico, cominciando ad andare in su e in giù con la testa.
Lui mi abbassa la testa ancora di più, fino a quando la punta del cazzo non arriva a toccare la mia gola.
Prende il suo ritmo, tenendomi sempre per la testa.
Continua così per un tempo che sembra infinito.
Sento la saliva che mi cola dalla bocca mentre gli occhi mi si riempiono di lacrime; avrei bisogno di prendere aria, ma questo strana tortura mi sta eccitando al punto tale che porto una mano tra le gambe e senza troppi indugi mi infilo due dita dentro.
Poi improvvisamente esce dalla mia bocca e con un gesto repentino mi fa sdraiare e mi allarga le gambe.
‘Ho voglia di fotterti’ dice Marco venendo a posizionarsi sopra di me ‘non voglio venirti in bocca. Voglio sentire come sei calda e come sei bagnata e soprattutto voglio guardarti mentre godi ancora’.
Mentre ascolto queste parole sento la punta del suo cazzo strusciare lungo la mia fessura; la sento sfiorare il clitoride, la sento allargare le grandi labbra, la sento entrare dentro di me quel tanto che basta per farmi emettere un mugolio di piacere.
Poi esce e ricomincia da capo quella tortura.
Al mio ‘Noooo’.’ Marco sorride, si avvicina al mio orecchio e mi dice ‘Non penserai mica che ti scopi subito, vero? Voglio vederti perdere il controllo, Miki, voglio vedere quanto riesci a resistere senza impazzire’.
Non la smette più.
Il suo sesso passa implacabile dal clitoride, alle grandi labbra, all’ingresso della mia vagina sempre più aperta e grondante umori.
Mi sento un fascio di nervi.
Sono eccitata come poche altre volte.
‘Marco basta. Smettila di fare così, per favore!’ grido.
Nella mia voce una supplica sommessa, nei miei occhi la muta richiesta di venire a darmi sollievo.
Inarco la schiena e spingo il bacino verso di lui.
‘Cosa vuoi che ti faccia??’ mi chiede lui.
Anche nella sua voce adesso avverto la stessa urgenza che ho udito nella mia.
‘Ti voglio dentro, Marco’voglio sentirti dentro. Voglio che mi sbatti!’.
Non riesco quasi a finire la frase che con un colpo secco, Marco entra dentro di me.
Emetto un grido.
Il senso di pienezza è tale che chiudo gli occhi, pregando di non venire all’istante.
‘Aspetta Marco, fermati un momento!’ gli dico.
Lui si ferma.
Il mio cuore batte all’impazzata e mi gira la testa.
‘Che succede Miki?’ mi chiede lui, accarezzandomi il viso e ricoprendolo con piccoli baci.
‘Niente’è solo che’voglio stare un attimo così. Non ti muovere, resta così, dentro di me’.
‘Adesso sei tu la sadica! Come pensi che possa rimanere fermo?’
Mentre dice queste parole spinge leggermente il bacino verso di me per entrarmi ancora più dentro; poi si ritrae in modo quasi impercettibile e riaffonda con lentezza.
Continua così, con questi movimenti leggeri e quasi a rallentatore.
Chiudo gli occhi e assaporo questo momento.
Sento distintamente il suo membro carezzare le mie pareti intime.
Vibro nel sentire quando esce e, ancora di più, quando, con studiata e affettata indolenza, rientra.
Potrei andare avanti così per ore.
E’ una sensazione bellissima.
E’ languore, è tenerezza, è dolore, è passione repressa pronta ad esplodere.
E’ come se, nella lentezza quasi esasperata ed esasperante di quei movimenti stessimo colmando i lunghi anni che ci hanno visti distanti.
Marco si ferma un attimo a guardarmi: ‘Vieni sopra tu’, mi dice ‘voglio guardarti mentre chiudi gli occhi e ti perdi nel tuo piacere. Sei bellissima quando godi. Si vede che sei in un mondo tutto tuo. Si vede che sei lontana’.
Così dicendo esce da me e si appoggia alla testiera del letto.
Io gli sono sopra, mi metto a cavalcioni e mi lascio nuovamente riempire da lui.
Sento le sue mani aggrappate ai miei fianchi che mi stanno dando il ritmo ed io mi abbandono a quel movimento che sembra quasi cullarmi.
Mi inarco all’indietro, posando le mie mani sulle sue ginocchia.
Getto anche la testa all’indietro.
Muovo il bacino, assecondando le spinte di Marco che stanno diventando, momento dopo momento, sempre più intense e incalzanti.
A un certo punto mi avvicina a se.
Con un braccio mi cinge la vita, mentre con l’altro lascia la mano arrivare all’altezza del mio culo.
Sono così eccitata e concentrata sul mio piacere che quasi sembro destarmi da un sogno, quando sento le dita di Marco cercare il buchino posteriore.
Sento entrare prima un dito e poi un altro.
Mi sento completamente sua un questo momento.
Sono letteralmente nelle sue mani.
Mi piace così. Mi piace sentirmi interamente posseduta dal mio compagno.
‘Scopami, Marco, scopami’sto venendo’ gli dico con una voce che a stento riconosco essere la mia.
‘Sì, Miki, ti scopo tutta’ti voglio tutta’per oggi sei solo mia. Hai capito sei solo mia’.
Non sento quasi la fine della frase.
Sento invece arrivare un orgasmo intensissimo e violento.
E nel momento in cui io urlo il mio godimento avverto distintamente la vibrazione del cazzo di Marco e subito dopo sento riversarsi dentro me il caldo piacere liquido.
‘
CONTINUA’
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Mi piace pensare di poter guardare le scene della mia vita dall’alto, come se non mi appartenessero.
Non sempre mi riesce percepire che quello che sto vivendo è uno di quei giorni che vorrei poi mettere sullo scaffale dei ricordi, ma quando ci riesco, quando permetto ad un giorno di non essere uno dei tanti che fanno volume, ma di trovare il suo posto nella mia personale ‘walk of fame’, mi sento davvero fortunata.
E’ un bel regalo che la vita ti fa.
Così, in questo momento, mi concentro a guardare la scena come fossi un deus ex machina.
E vedo.
Vedo un uomo e una donna, nudi in un letto che hanno appena fatto l’amore.
Una scena come tante, se non vedessi anche due ragazzini correre a perdifiato su e giù per un parco.
Se non sentissi ancora ‘Tell me’ di Nick Kamen, meteora della Pop Music, per il quale avevo una peccaminosa passione, io come qualunque ragazzina della mia età, in piena tempesta ormonale, degna dell’appellativo di adolescente.
Se non rivedessi i volti di persone che ho perso di vista nel corso degli anni, ma alle quali sono ancora affezionata.
Questo cerco di imprimere nella mia mente: questa sorta di flash back nostalgico, quasi vintage, attualizzato da un qualcosa, il sesso, che allora era argomento sconosciuto o solo sussurrato.
‘
***
Marco allunga un mano e mi sfiora una guancia.
Apro gli occhi che tenevo leggermente socchiusi e lo guardo, sorridendogli a mia volta.
‘Non credevo che fossi così!’ mi dice.
‘Così come?’ gli rispondo io, tirandomi su e, facendo leva sul gomito, appoggiando la testa sulla mano.
‘Sei divertente, piacevole, ironica’credevo di trovare una donna più’non ti offendere eh’pissera!’.
Sgrano gli occhi ‘fingendo uno sdegno che sono bel lungi dal provare, mentre sento una risata salirmi dalla gola.
‘Cioè tu mi hai invitato a prendere un caffè pensando di trovare una donnetta pissera, una ‘fica diaccia’, per dirla alla vecchia maniera!!! Capisco che sei tornato single, ma Marchino’per disperazione no’ti prego!!!’.
Scoppio a ridere, affondando la testa del cuscino e immaginandomi nella veste che la parola di Marco ha evocato; lui ride con me.
‘Ah no davvero’ghiaccia non si può dire che lo sei!’.
Così dicendo sale sopra di me, a cavalcioni sulla mia schiena e inizia a baciarmi il collo.
Mi fa il solletico.
‘Marco smettila!!! Non respiro così!!!’ gli dico quasi singhiozzando dalle risate.
Lui, per tutta risposta, invece di smettere, mi immobilizza le braccia e continua a solleticarmi il collo e le orecchie.
Sento dei piacevoli brividi corrermi lungo la schiena.
‘Sei un bruto! Un approfittatore di dolci fanciulle’smettila’mi fanno male gli addominali dal troppo ridere!!!’.
Smette di farmi il solletico, ma non smette di baciarmi.
Le sue mani adesso hanno lasciato la presa sulle mie braccia e stanno percorrendo il perimetro del mio corpo.
Sento nuovamente la sua eccitazione premere contro le mie natiche.
Mi volto, quel tanto che basta per incontrare i suoi occhi: vi leggo nuovamente desiderio.
Ma leggo anche la voglia di avere altro.
Sento aleggiare sopra di noi una domanda che lui, per pudore, non hai il coraggio di pormi.
Gli sorrido, incoraggiante e poi, per porre fine ad ogni altra indecisione, gli dico ‘mi piace anche così’.
Marco rimane immobile, indeciso sul reale significato delle mie parole.
Ma è solo un momento.
Il pudore lascia spazio ad un’indecifrabile ed eccitante espressione di trionfo e di mascolina soddisfazione.
Quella manifestazione inconscia eccita anche me.
Sento il sesso di Marco pulsare adesso, sento che sta cercando si farsi strada in una parte da poco conosciuta per le vie del piacere.
Lo sento scivolare con la bocca lungo la mia spina dorsale e avverto la sua lingua dividere le mie natiche.
Mi irrigidisco leggermente.
Mi crea sempre un filo di imbarazzo questo momento.
Poi sento la voce di Marco che mi sussurra piano ‘Stai tranquilla’ e allora mi lascio andare.
Svuoto la mente dal timore e dalle remore e mi affido a lui.
La sua lingua è calda e mi stando un piacere diverso dalla volta precedente.
Allo stesso modo stanno facendo le sue dita che, con grazia da miniaturista, stanno facendosi strada dentro di me.
Sento che stiamo ansimando entrambi sospesi tra l’attesa e la voglia, ma sono suoni quasi sfuocati.
Adesso sento il sesso di Marco appoggiato alla mia rosellina anale.
Sta premendo senza forzare, aspettando che le pareti rettali si dischiudano spontaneamente.
Provo un’eccitazione incredibile in questo momento.
Sento che lui si sta prendendo cura di me, non che sta prendendo qualcosa di me e basta.
Va avanti così, centimetro dopo centimetro con dolcezza, attendendo con pazienza che il mio corpo si adatti al suo ingresso, pronto a interpretare ogni mia minima manifestazione di disagio.
Non sento dolore.
Sento solo una sorta di languore.
E’ una sensazione nuova ed eccitante.
‘Tirati su Miki. Mettiti a quattro zampe’ mi dice.
Obbedisco e senza farlo uscire mi metto carponi.
‘Toccati, per allentare la tensione’.
Obbedisco ancora mentre sento che sta arrivando fino in fondo.
Appoggio la testa sopra il cuscino, lasciando libere le mie mani che, prontamente, spariscono tra le mie gambe.
Prendo a strofinarmi il clitoride, ad accarezzare le grandi labbra e la fessura come aveva fatto lui poco prima con il suo sesso.
Marco è attivato in fondo, ma sta fermo, non si muove, forse aspetta un mio cenno.
Allora mi muovo io.
Oscillo io avanti e indietro.
Leggermente.
Lentamente.
Lascio che il mio corpo non solo si adatti a questa penetrazione, ma così facendo, con questi movimenti modulati, permetto all’eccitazione di farsi strada e di sgombrare il campo da qualsiasi altro pensiero.
E così avviene.
A un certo punto sento la voglia di una movimento più intenso, di una penetrazione più profonda, più violenta.
Mi volto verso Marco.
Ho il suo cazzo piantato nel culo e ora voglio godere con quel cazzo e di quel cazzo.
‘Scopami il culo, Marco..fammi male’fai quello che vuoi”.
Non riesco a finire la frase perché lui si ritrae e riaffonda con forza.
Mi sfugge un gemito, un misto di vago dolore e di lancinante desiderio.
‘Ti piace, eh!!’ mi dice Marco, nella sua voce un’eco di ironia e di dolcezza.
Annuisco con la testa, non riesco a parlare.
Mi prende per i capelli e mi tira la testa indietro ‘ ‘Dio quanto mi piace così, penso’ – ‘e inizia ad avere un ritmo sostenuto, deciso, incalzante.
Affondo ancora di più la testa nel cuscino, lo mordo.
Non per il dolore.
Ma per il piacere intensissimo che questa inculata mi sta dando.
‘E’ bellissimo, Marco, continua”.
La mia voce arriva distorta dal cuscino.
E’ sempre una sorpresa.
L’orgasmo anale mi coglie sempre di sorpresa: non credevo fosse possibile godere in quel modo, tanto che mi sono avvicinata a questa pratica con scetticismo.
Poi quando l’ho provato’sono rimasta incredula.
Anche adesso, ripeto instancabilmente ‘non è possibile, non è possibile, non è possibile’!’ mentre sento arrivare il mio piacere.
Marco non fa più caso alle mie parole: anche lui è concentrato adesso solo a godere.
Lo sento dai suoi colpi che sono sempre più intensi e profondi.
Lo sento distintamente, quando viene: mi tiene saldamente per i fianchi e spinge, spinge, spinge e poi rimane fermo, in tensione, ben dentro al mio culo.
E nel momento in cui lui si ferma, un lungo brivido mi pervade e con un ultimo grido ricado sul cuscino, seguita quasi immediatamente da Marco.
‘
***
‘
‘Qual è la tua canzone preferita?’ mi chiede Marco, dopo.
‘Che bella domanda!’ penso dentro di me, sorridendo.
‘Hotel California’ rispondo senza pensare.
‘E perché?’
‘ Per la strofa finale, quella che dice: puoi lasciare l’albergo quando vuoi, ma non potrai mai andartene veramente. Non trovi che sia così? Nella vita dico”
‘Cioè? Spiegati.’
E’ un bel dialogo questo.
Apprezzo in quest’uomo la capacità di interpretare le situazioni e di non volerle stravolgere con parole sguaiate.
E’ una privilegio raro (per dirla alla De Andrè e per restare in tema musicale) incontrare persone così.
Prendo tempo, cercando di dare forma, attraverso le parole, ad un pensiero.
‘Ho l’impressione, che diviene certezza man, mano che gli anni passano, che una parte di noi rimanga nei posti in cui siamo stati o dentro alle persone che ci hanno avvicinato.
Con noi, dopo, non portiamo che ciò che resta.
E alla fine’non ci siamo più noi, sparsi qua e là, come puntini in una quadro di Seurat!’
‘Non so se comprendo appieno quello che dici, ma hai una luce negli occhi, adesso, che non posso fare a meno di ‘sentire’ quello che dici’.
‘E la tua canzone preferita, qual è?’ gli chiedo.
Marco risponde, senza esitazione alcuna ‘Leggero, di Ligabue’.
‘E come mai?’
‘Perché mi fa pensare a tutte le volte in cui mi sono preso il diritto di sentirmi leggero. E sono sicuro che tornerò presto a sentirmi così. Oggi tu, mi hai fatto sentire così!’
Gli sorrido, senza replicare: è un complimento così delicato che non necessita di parole.
‘
‘***
Guardo l’orologio digitale sul comodino: è tardi, devo andare.
Mi alzo dal letto e lentamente mi rivesto, sentendo su di me gli occhi di Marco.
‘Miki’?’
Mi volto verso di lui.
‘Dimmi!’
‘Non ti ho invitato a prendere un caffè con l’intenzione di’di questo!’
‘Lo so Marco e io non ho accettato con l’intenzione di’di questo. A volte le cose, semplicemente accadono!’.
Torno verso di lui, spinta da un moto di tenerezza per questo ragazzino di trentasette anni e mi rannicchio tra le sue braccia ancora per un attimo.
Restiamo fermi, in silenzio.
Fuori ha ricominciato a piovere: è un bel rumore di sottofondo.
Le luci dei lampioni riverberano la loro luce acquosa attraverso la finestra.
Vorrei restare, ma non posso.
Mi aspettano.
Così mi alzo di nuovo e mi avvio verso la porta.
Lancio un’ultima occhiata alla parete con le cornici, fissando intensamente la foto dell’ultimo anno di scuola media.
Marco segue il mio sguardo.
‘Ti manca?’ mi chiede
‘Cosa?’ chiedo a mia volta.
‘Come eravamo”
Appoggio la fronte alla porta e chiudo gli occhi.
‘No’ gli rispondo, nella mia voce una venatura di rimpianto ‘non mi manca come eravamo, mi manca quello che credevo saremmo potuti diventare’.
Tiro giù la maniglia e apro la porta.
Un’ultima domanda, alle mie spalle.
‘Cosa, Miki’cosa pensavi che saremmo diventati’
Rimango di schiena.
So la risposta: è una verità che fa quasi male, ma che vuoi farci (penso dentro di me) è la verità.
Così, senza voltarmi rispondo.
Probabilmente la mia voce è sfumata con il chiudersi della porta.
‘Non lo so, Marco, cosa saremmo potuti diventare’forse’semplicemente di più’.
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FINE
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