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Milano Aeroporto di Malpensa.
L’aereo seguiva docilmente il sentiero di atterraggio diminuendo gradatamente la quota. La torre di controllo di Malpensa ci aveva appena autorizzati all’atterraggio, io e il secondo pilota eravamo impegnati nell’eseguire alla perfezione tale procedura. Alla partenza da Nairobi avevamo accumulato oltre 1 ora di ritardo che eravamo riusciti quasi a recuperare per intero nelle 7 ore di volo e adesso stavamo atterrando con meno di mezz’ora di ritardo. Non vedevo l’ora di finire il mio turno di servizio. All’aeroporto mi aspettava Angela per una due-giorni in fuga dal mondo. Ho 47 anni, mi chiamo Maurizio e sono pilota comandante su Boeing 767 di un’Aerolinea internazionale. Angela, invece, &egrave un’assistente di cabina, insomma una hostess, di una compagnia aerea svizzera che conobbi durante una mia sosta a Dakar. Entrambi i nostri equipaggi alloggiavano al Teranga Hotel. Una notte ci trovammo al coffee shop: sola lei, solo io. Sfacciatamente mi presentai e subito le proposi un drink al piano bar dell’hotel. Accettò volentieri. Angela (che si legge Anghela), svizzera di lingua tedesca, &egrave una bella ragazza di 33 anni, fisico longilineo classico da teutonica in salute: alta sul metro e 75, capelli a caschetto di quel biondo chiarissimo quasi bianco, occhi verdi e i chili giusti nei punti giusti. Ha un carattere gioviale e allegro e potrei definirla come una persona che non si mette molti problemi, quando decide che una cosa la vuol fare. Ci sedemmo in un divanetto del piano bar e ordinammo da bere, lei un martini secco, io una vodka Gray Goose. Dopo le presentazioni di rito cominciammo a parlare del più e del meno sino a scoprire che entrambe facevamo parte di compagnie aeree. Trascorremmo così un’oretta o forse poco più, ascoltando il pianista, in sottofondo, che strimpellava motivi classici evergreen internazionali. Io ripartivo da Dakar la mattina seguente mentre lei il dopodomani. L’accompagnai, poi, alla sua camera, sperando, in verità senza tante illusioni, di essere invitato per un ultimo drink. Ci salutammo, invece, senza neppure scambiarci i nostri numeri di telefono. Devo confessare che, rientrando in camera mia, rimpiangevo la mia mancanza di iniziativa e di non aver osato di più.

Milano.
Nell’attraversare la porta automatica del varco di servizio per gli equipaggi non potei non scorgere immediatamente Angela che svettava, con la sua altezza, sulle altre persone, e sicuramente indossava anche scarpe con tacco alto. La raggiunsi tirandomi dietro il trolley e la valigia. Il suo sorriso mi ripagò per quella attesa. Ci abbracciammo e ci scambiammo un tenero bacio. Poi lei mi chiese se il caff&egrave lo volessi subito o dopo, in albergo. Sa bene che sono un caff&egrave dipendente e che fuori dell’Italia quello che gli altri chiamano espresso noi lo useremmo per innaffiare i fiori. Ed ero almeno 4 giorni che non ne assaporavo uno vero. “Si, grazie, risposi, ne ho veramente bisogno” così ci avviammo al bar e ordinammo un espresso e un caff&egrave americano per lei. Non riuscivo a staccarle gli occhi di dosso. Lei se ne accorse perch&egrave, scherzosamente, mi disse: “Mi devo preoccupare?”. “Per cosa?” chiesi. “Ti assicuro, continuò con tono canzonatorio, che sono sanissima, sto benissimo e ho fatto un check-up la settimana scorsa!”. “Mi fa piacere, risposi, ma non capisco perché questo discorso”, mentii. “Perché ho notato con quanta cura mi stai facendo tutte queste radiografie” disse ridendo e continuò “non potresti aspettare un po’?”. Effettivamente la stavo mangiando con gli occhi, volevo riappropriarmi della sua immagine dopo oltre un mese che non la vedevo, ma riuscii soltanto a dire: “Ma no, ti sbagli, non facevo alcuna radiografia, ammiravo la tua mise”. Indossava un giubbotto di pelle color cuoio antico, aperto su una camicetta bianca sbottonata sino al terzo bottone che metteva in bella mostra il solco dei suoi bei seni, un paio di jeans firmati ma rigorosamente sdruciti e un po’ strappati di fabbrica, sopra un paio di stivali camperos e una bisaccia di cuoio dello stesso colore del giubbotto. “Sei arrivata in moto?” continuai ridendo e dimostrando un controllo del mio imbarazzo. Effettivamente la cosa poteva anche essere verosimile. Da Ginevra, dove vive, a Malpensa si può anche venire in moto e sapevo che lei ha una BMW R75. “Ma no, rispose, sorseggiando il suo caff&egrave americano, ho preso il treno”. Aveva gli occhi bassi, forse aveva frainteso la mia domanda. Prontamente le andai in soccorso “adoro come sei vestita, ti da un’aria sbarazzina, e ti fa sembrare ancor più giovane, se ciò &egrave possibile”. Mi ricambiò con un sorriso a trentadue denti. Terminato di bere i caff&egrave andammo alla ricerca di un taxi. Impresa non facile in generale e a quell’ora in particolare. Comunque venne il nostro turno e salimmo a bordo. Angela diede il nome dell’hotel all’autista e questo partì. Mi afflosciai sul sedile e subito Angela si accostò a me. Mi mise un braccio dietro la nuca e mi allentò, con l’altra mano, la cravatta, sbottonandomi anche il colletto della camicia. Poi mi annusò sul collo, sui capelli, prese le mani e annusò anche quelle. “Devo riappropriarmi del tuo odore” disse seria con un filo di voce per non farsi udire dal tassista, e continuò quell’operazione. Quando arrivò ad annusarmi i baffi le nostre bocche si incontrarono. Mi sbaciucchiò il labbro inferiore e quello superiore e quando io cercai di forzare con la lingua quel dolce pertugio mi disse “No, non ora, lasciami fare”. Il tragitto dall’aeroporto all’hotel sembrava interminabile, ma Angela sapeva come intrattenermi. Dopo l’annusamento venne a baciarmi. Un bacio dolce e quasi casto per trasformarsi, poco dopo, in un vero bacio passionale, le nostre mani si riappropriarono dei corpi frugandosi in ogni dove, come amanti che non si vedevano da troppo tempo. E, in realtà, così era. La mattina dopo averla conosciuta, oramai sei mesi prima, partendo dall’hotel Teranga, le lasciai un biglietto alla reception. Era scritto in inglese, poiché la sera prima fu quella la lingua che usammo, e diceva pressappoco così: ‘Mi hai acceso la curiosità. Vorrei rivederti. Se anche tu lo vuoi mandami un sms al mio cellulare +39335…, ti prego’. Al mio atterraggio a Fiumicino, riacceso il cellulare, arrivò lo squillo di un messaggino. Lo aprii subito. Era suo ‘Si, lo voglio! Ma preferisco parlare italiano con te’. Risposi subito con un altro sms ‘Fissa data e luogo, verrei subito, anche se tu parlassi solo giapponese!’ Si susseguirono infiniti messaggini e telefonate. Alla fine lei stabilì che la prima data utile fosse il secondo mercoledì successivo e il luogo Ginevra. Eravamo al venerdì, mancavano solo che 12 giorni dal rivederla. Risposi che per me era tutto ok e che sarei arrivato da Roma con un volo Alitalia del primo pomeriggio, ma bleffavo, ancora dovevo procurarmi un cambio del turno di volo. Quel mercoledì non stavo nella pelle. Non era certo il mio primo appuntamento ma ugualmente ero emozionato come un liceale imberbe. Avevo messo due cose nel borsone da viaggio ed ero corso all’aeroporto. Prima di imbarcarmi la chiamai ma era inserita la segreteria telefonica, allora le mandai un sms ‘arrivo e pure in orario’. Non ricevetti risposta. Dovetti spegnere il cellulare prima del decollo.

Ginevra.
Dopo l’atterraggio, in un bel pomeriggio soleggiato di settembre, riattivando il telefonino e dopo aver sentito il cicalino del cambio del gestore, ricevetti subito un sms. ‘Ti chiedo umilmente scusa, ma tu avevi il cellulare staccato tutta la mattina e non sono riuscita a comunicarti in tempo che mi hanno cambiato improvvisamente turno e sto partendo per Mosca. Verrà a prenderti Marisa, una collega e amica che abita con me, che si prenderà cura di te, ti chiamerò stasera. Un bacio’. Guardai l’ora di invio del sms e notai che era stato inviato alle 13.25, esattamente quando spegnevo il mio telefono. Beh, non cominciava bene, dopo tutto il gran casino che avevo dovuto metter su per avere un cambio di programmazione dei miei turni per liberarmi quei due giorni, questo non ci voleva. Avevo lasciato appositamente spento il cellulare per evitare che, per qualche imprevista defezione dell’ultimo minuto da parte di qualche collega, potessi essere richiamato in servizio. Decisi di incontrare questa Marisa per dirle che non si preoccupasse poi tanto perché avrei ripreso lo stesso aereo per tornare a Roma. Uscii dalla sala arrivi e fra la folla vidi una bella ragazza mora che teneva alto un foglio con su scritto il mio cognome. Mi avvicinai e chiesi ‘Marisa, I suppose’. Mi rispose in italiano ‘Si, sono io. Hai avuto la notizia da Angela? Se hai solo bagaglio a mano possiamo andare, ho l’auto qui fuori’. ‘Sei molto gentile, risposi, ma non credo che mi tratterrò. Ho deciso che prenderò lo stesso aereo per tornare in Italia. Se vuoi, accompagnami al check-in, poi magari prendiamo un drink nell’attesa dell’imbarco’. ‘Come credi, disse, ma Angela mi ha pregato di farti compagnia sino a domattina. Lei arriva da Mosca alle 12’. Beh, si trattava di passare solo una serata, e una mezza mattinata, meno di ventiquattro ore in tutto, e la ragazza sembrava ormai disposta a farmi da baby sitter e, confesso, non era niente, ma proprio niente male. ‘Ok! Se ritorna domani, allora aspetterò.’ ‘Allora si va?’ Salimmo sulla sua Golf e ci immettemmo nel traffico. ‘Mi ha detto che vi siete conosciuti a Dakar?’. ‘Si’ risposi. ‘Ma lo sai, continuò, che quella tratta avrei dovuto farla io? Angela mi ha sostituito perché io glielo chiesto. Forse avresti fatto la corte a me’ e rise con uno sguardo di concupiscenza. La guardai per un paio di secondi. Era una gran bella ragazza, nulla da dire. Nella hall dell’aeroporto avevo notato distrattamente che era molto simile a Angela nei caratteri corporei ma non nei colori. Angela biondissima, Marisa castana scura. La prima con gli occhi verdi smeraldo, la seconda li aveva color delle nocciole. ‘Sicuramente’ dissi stando al gioco ‘sei una gran bella ragazza e, vedo con piacere, anche molto simpatica e spigliata’. ‘Ho trent’anni e come Angela, sono single per scelta’, che, tradotto nel nostro linguaggio maschilista, significa: ‘scopo quando e con chi mi pare’. ‘Non dimostri di certo trent’anni, dissi facendo il galante, avrei detto massimo venticinque’. ‘Neppure tu dimostri i tuoi’ rispose guardandomi fissa negli occhi con un’espressione maliziosamente indagatrice. Voleva forse vedersi confermare la mia età non avendo creduto ad Angela o, forse, Angela non gliela aveva detta pensando che i miei 47 fossero troppi per un compagno adatto ai suoi trentatre? Stavamo uscendo dalla strada veloce che collegava l’aeroporto al centro di Ginevra per imboccare l’autostrada lungo lago. Marisa si affrettò a spiegarmi ‘dividiamo una casetta a mezza costa in un paesino a 12 chilometri dalla città. Un posto delizioso, con una vista sul lago da togliere il respiro e in perfetto silenzio’. Giungemmo allo chalet in pochi minuti. Era effettivamente come lo aveva descritto: isolato da tutte le altre case, poche per la verità, e la vista del panorama era effettivamente mozzafiato. Entrammo in casa e lei mi fece da cicerone mostrandomela. Poi mi chiese se gradissi un drink. Accettai una vodka con ghiaccio. Lei si servi una coca. ‘Senti, disse, devo uscire per fare due spesucce. Tu fai come sia casa tua. Fai una doccia se vuoi, mettiti in libertà. Insomma fai quel che vuoi o preferisci venire con me?’. ‘Grazie, ma se a te sta bene, preferisco star qui, magari in giardino a godermi quest’ultimo sole e rilassarmi con la vista del lago. Tu, comunque, prenditi tutto il tempo che ti serve senza preoccuparti di questo vecchietto’ sorrisi. ‘Faccio in un lampo, caro vecchietto, non ti abbandonerò a lungo’ e mi stampò un bacio con schiocco sulla guancia. La vidi allontanarsi e, sulla sua Golf, scendere il vialetto che portava all’autostrada. Finii la mia vodka e me ne versai dell’altra, poi uscii fuori in giardino. L’aria era veramente confortevole, abbastanza calda e, stranamente, non umida ed appiccicosa, come ci si sarebbe aspettato sul lago. Mi sedetti su di una chaise longue, centellinando la vodka e facendo il punto della situazione: ero a Ginevra, o meglio, sulle colline circostanti e manco sapevo esattamente dove; l’appuntamento con Angela era saltato, ma si sa, nell’ambiente siamo abituati a riprogrammare la nostra vita anche all’improvviso, quante volte m’era già capitato?; Marisa si stava dimostrando molto gentile a far compagnia a quest’estraneo nell’attesa della sua amica. Forse avrei fatto meglio ad andar con lei per le commissioni e non dimostrarmi come un ‘ospite’; domani alle 12 arriverà Angela, se la coinquilina si dileguerà vorrà dire che c’&egrave una complicità fra loro e il programma si metterà al meglio, altrimenti’ Mentre ero assorto in queste elucubrazioni sentii il motore dell’auto di Marisa salire per il viale. Era stata di parola, ci aveva messo proprio pochissimo tempo. Parcheggiò nel giardino e mentre il cancello automatico si chiudeva lei scaricò dall’auto due grandi buste che intuii contenessero generi alimentari, vedendo sbucare da una delle due una grande baguette. Mi alzai e le andai incontro per aiutarla a portar le buste in casa. ‘allora? &egrave come ti dissi? Questo panorama ti toglie il fiato o no?’. ‘Si, tanto &egrave che mi ci vorrebbe un po’ d’ossigeno per rimettermi, magari basterebbe anche una respirazione bocca a bocca’ risposi sorridendole e facendo l’occhietto. ‘Beh, se stai così male, ci penserò io. Come sai bene, la nostra formazione di hostess comprende anche la rianimazione’. I suoi occhi esprimevano un misto di sfida e di scherno. La guardavo mettere al loro posto le provviste, si muoveva con grazia felina e in due occasioni si strusciò addosso a me con fare casuale. Stava giocando, mi voleva provocare? ‘Stasera ceneremo all’italiana, ti va?’. ‘certo, risposi, anche perché, l’alternativa sarebbe?’ ‘Persico al cartoccio?’ ‘Due spaghetti, aglio, olio e peperoncino andranno benissimo, non stare a sfaccendare che non sono poi così tanto affamato’. ‘Benissimo allora, rispose sorridendomi, adoro gli spaghetti a quella maniera. Ora ce ne andiamo in giardino a prender l’ultimo sole, poi penseremo a cucinare. Prima però prendiamo una bottiglia di vino e stappiamola per farlo respirare’ e così mi prese per mano e mi guidò in cantina per scegliere il vino. Restai di sasso guardando la collezione di vini contenuta in quella cantina. Avrebbe fatto invidia a molti ristoranti e wine bar. ‘Sono del padrone di casa. Non dovremmo prenderne, non sono compresi nell’affitto, ma per una bottiglia non se ne accorgerà nemmeno, &egrave più di un anno che non viene neppure’ disse notando la mia espressione. Scegliemmo un Boujolet e lo stappammo con cura. ‘andiamo a versarlo nel decanter’ disse con aria di complicità. Dopo quell’operazione ci recammo in giardino, alla chaise longue su cui mi ero trattenuto sino a pochi minuti prima. Marisa mi teneva stretto per mano, quasi aveva temuto che potessi scappare. La sua mano era tiepida, ma non sudata. Non tradiva apparenti emozioni, sempre che ne avesse avuto. Mi invitò a sdraiarmi, sedendosi sul bordo della sdraio all’altezza delle mie anche. Erano ormai quasi le 17 di un magnifico pomeriggio settembrino. Il cielo senza nuvole, la completa assenza di vento e il sole caldo invitavano a godersi quel magnifico panorama. Il lago sottostante assomigliava ad uno specchio azzurro, qualche barca trainava degli sciatori nautici. ‘Approfittiamo per prenderci il sole’ disse Marisa sfilandosi la t-shirt e rimanendo col solo reggiseno nero. Mi invitò a liberarmi della mia camicia. Obbedii senza problemi, cominciavo a sudare sotto il sole. ‘Che bel tatuaggio hai’ disse accarezzandomi il quadricipite destro ‘cosa significa?’. ‘Lo feci fare quando ero pilota militare, rappresenta lo stemma dello stormo: cavaliere nero con lancia e scudo su sole raggiante giallo, e il suo motto, in latino: Ubi ictus, ibi actio’. ‘Mhmm, sospirò, eri un pilota da guerra?’. ‘Si, diciamo di si, ma non ho mai combattuto! Nel ’91, quando scoppiò la prima guerra in Iraq, ero già congedato e passato all’aviazione civile’. Continuava a carezzare il tatuaggio. Una serie di carezze a metà tra innocenza e lascivia che mi eccitò molto. Le posi una mano sui fianchi sentendo la pelle ormai scaldata da quel sole. Notai un leggerissimo brivido che la percorse. Fece un impercettibile movimento dei suoi fianchi che interpretai come un invito a non ritrarla, anzi, a continuare. Cominciai, con cautela, a farla scorrere, sul fianco, su e giù e, quando ebbi la certezza che lei gradiva, le posi anche l’altra sull’altro fianco. Sembrò abbandonarsi a quei massaggi e cominciò a muovere la testa come a voler sciogliere i muscoli del collo. L’attirai a me. Il suo seno contro il mio. Continuavo a carezzarle dolcemente la schiena, facendo scorrere, piano, un dito lungo la spina dorsale, su e giù, soffermandolo sulla chiusura del reggiseno. Sentivo benissimo sotto i polpastrelli i brividi che la percorrevano. Sollevò la testa e mi fissò negli occhi. Aveva quello sguardo interrogativo di chi si domandi se fosse stato o no il caso di proseguire e delle eventuali conseguenze che ne deriverebbero, ma aspettava da me la risposta. Le risposi solo con un sorriso e le diedi un bacino sulla punta del naso ma continuai a torturarle la schiena. Sembrò abbandonarsi a quella dolce tortura, anzi, la agevolò con dei minimi movimenti. Finché non ebbe più la capacità di resistere o, forse, decise di concedersi un diversivo, quanto innocente ancora non sapeva. Poggiò le sue labbra sulle mie e sentii la sua lingua cercare di penetrarle. Ci abbandonammo a un bacio, inizialmente casto, poi, via via, più passionale, intrecciando le lingue in un vortice lussurioso. Sentii una mano sul membro parzialmente eretto. Fu un primo contatto leggero cui segui una stretta e una carezza che portarono ad una completa erezione. Le sganciai il reggiseno che lei poi si sfilò. La sollevai per poterle baciare quei magnifici seni, piccoli ma perfetti con i capezzoli eretti. Non mi dedicai subito a loro e ritornai a baciarla sulla bocca, sul viso, sugli occhi, le morsicai i lobi delle orecchie infilando anche la lingua nel padiglione. Dopo un primo momento di abbandono a gustarsi tutto quel che facevo, si riappropriò dell’iniziativa che avevo da subito pensato fosse una sua intrinseca qualità. Adesso ero io che ‘subivo’ le sue volontà. Si dedicò a baciarmi ogni centimetro quadrato del petto, aiutandosi anche con una mano e non smettendo di continuare a massaggiarmi il membro da sopra i pantaloni. Mi baciò i capezzoli, li mordicchiò, dapprima soavemente poi duramente, provocandomi un ‘ahh’ di dolore misto a piacere. Si staccò di colpo, alzandosi. Raccolse il reggiseno, la t-shirt e la mia camicia, mi prese la mano e disse ‘ho bisogno di bere qualcosa, vieni’. Guardandola lì in piedi, di fianco a me, non potei non notare quanto fosse ben fatta. Un viso sbarazzino, un bellissimo seno, due gambe fasciate da dei jeans che parevano esserle stati cuciti addosso e un magnifico posteriore. Avrei voluto fare il paragone con Angela ma stentavo a ricordarmela nei particolari, l’avevo vista solo per un’oretta o forse più una settimana prima e i suoi lineamenti mi parevano confusi. Avrei fatto bene a farmi mandare una sua foto per e-mail ma avevo giudicato quella richiesta un po’ infantile e avevo rinunciato. Domani l’avrei rivista e mi sarei ripagato.

aspetto commenti e critiche: cactus733@yahoo.it Milano.
Il tassista fermò l’auto di fronte all’hotel nel centro di Milano, zona Stazione Centrale. Un albergo a cinque stelle che conoscevo già perché anni prima era quello usato dalla Compagnia aerea per alloggiare gli equipaggi in sosta. Dopo la mia registrazione alla reception salimmo al 9′ piano ed entrammo nella camera che Angela aveva preso il pomeriggio quando era arrivata. Chiusa la porta dietro di noi Angela mi spinse, improvvisamente, contro il muro. Si inchinò di fronte a me e abbassò la zip dei pantaloni. Frugò nei boxer ed estrasse il pene ‘ben ritrovato, amico mio’ disse scherzosamente e gli stampò un bacio sul glande. Subito il ‘suo amico’ le dimostrò quanto stesse aspettando quel momento erigendosi sull’attenti. Lei cominciò a segarlo dolcemente e quando la pelle liberava il glande lo baciava e lo leccava. Scendeva leccandolo e baciandolo sino alla base dell’asta per risalire su e viceversa, finché lo prese all’interno della sua calda bocca. Sentivo la sua lingua avvolgerlo. Continuò così per un periodo che mi sembrò eterno, ma non concluse il lavoro. Si rialzò e mi baciò sulla bocca appassionatamente. Poi mi diede una sculacciata dicendomi ‘vai a farti una doccia, ti verserò una Gray Goose Vodka. La guardai pieno di meraviglia e ammirazione. S’era ricordata la mia marca preferita di vodka: la francese Gray Goose vodka, quasi del tutto introvabile in Italia, dove si preferisce importare quella proveniente dalla Russia anche se di qualità normalmente inferiore.

Ginevra.
Entrammo in casa tenendoci per mano. Appena dentro casa, lei butto ciò che aveva in mano su un divano e mi si attaccò, le braccia al collo, baciandomi passionalmente. Il suo ventre si strusciava sul pene eretto e costretto dai pantaloni. Sentii una mano scendere lentamente lungo i miei fianchi per dirigersi, poi, sull’asta che fremeva sotto la stoffa dei boxer e dei pantaloni. Si fermò ancora una volta di scatto, allontanandosi. Era combattuta tra la voglia e il sentimento di lealtà nei confronti dell’amica? La capivo e non volevo assolutamente forzarla, ma quel prendi e molla mi stava distruggendo. ‘Ho bisogno di una doccia’ le dissi. ‘Certo, rispose con un tremolo nella voce, ti metto gli asciugamani puliti e scusa il casino che troverai in bagno. Sai, siamo due ragazze molto disordinate e non ho fatto in tempo a rassettare prima di venire a prenderti’. Portai il borsone nella camera di Angela e ne estrassi biancheria e vestiti puliti. Quando entrai in bagno Marisa si stava affrettando a raccogliere gli asciugamani sporchi e un perizoma in pizzo nero che evidentemente aveva lasciato lì la mattina. Parve arrossire ma mi invitò a entrare e uscendo mi augurò una buona doccia rinfrescante. Spero che rinfreschi soprattutto il mio cervello, pensai chiudendo la porta. Notai che non c’era la chiave. Naturale, pensai, molti non usano chiudersi in bagno. Aprii l’acqua col miscelatore e scelsi una temperatura appena tiepida. Mi spogliai velocemente. Notai che nei boxer c’erano tracce di meato. Le buttai su uno sgabello ed entrai in doccia. Presi una spugna, vi versai sopra una noce di bagnoschiuma e cominciai ad insaponarmi. Ero teso, confuso ma anche eccitatissimo. Cominciai ad accarezzarmi il membro che reagì subito. Avevo necessità di sfogarmi, mi sentivo i testicoli gonfi di sperma che avrei voluto evacuare. La tendina della doccia si aprì e la vidi, nuda. Entrò sotto l’acqua, mi tolse la mano dal pene e si chinò per farmi un pompino che ricorderò fin che campo. Ero imbarazzato per il fatto che mi avesse colto mentre mi masturbavo ma presto mi rilassai appoggiandomi al muro e lasciando che quella ragazza sconosciuta portasse a termine il suo lavoro. Venni con un’esplosione di sperma che lei si fece arrivare dappertutto, sul viso, sui capelli e sul petto, bevendo il resto. Si sciacquò per bene sotto l’acqua e uscì non prima di avermi dato un bacetto sul glande. Basito da quel comportamento poco decifrabile finii la doccia e, asciugatomi, mi rivestii. Mi pettinai senza asciugare col phon i capelli che porto abbastanza lunghi e tornai in sala. Marisa pareva indifferente come se nulla fosse successo, poi mi si avvicinò sul divano dove m’ero seduto e, donandomi un bicchiere con due dita di vodka mi disse ‘So a cosa stai pensando. Che sono un po’ matta!’. Le lanciai uno sguardo interrogativo e lei continuò ‘Ti devo una spiegazione’. ‘Non &egrave necessario, cara’ replicai, ma lei continuò come se neanche avessi parlato ‘… ti ho stuzzicato. &egrave colpa mia e dovevo rimediare’. Abbassò lo sguardo e continuò ‘Tu non sai e non puoi neppure immaginare, io sono lesbica, anzi, meglio direi bisessuale. Oh, non &egrave che lo sia sempre stata, anzi, prima non lo ero affatto. Avevo avuta qualche esperienza saffica durante il periodo del liceo, ma erano esperienze da adolescente che scopre il suo corpo. E mi piacevano molto i ragazzi e quel che hanno tra le gambe, poi, pian piano ho sentito in me crescere la voglia di amare solo le donne. E tu sei, da allora, il primo uomo con cui ho fatto sesso…’. Tacque alcuni secondi per riprendere il fiato. Stavo per dir qualcosa, ma lei continuò ‘…ecco il perché del mio comportamento ondivago. Ero e sono combattuta perché tu mi hai colpito subito, appena ti ho visto in aeroporto. Ho sentito in me qualcosa che non provavo da tanto tempo e ho bagnato subito le mutandine. Segno inequivocabile. Ma sono prevenuta nei confronti dei maschi e non voglio più soffrire a causa loro’ oh, insomma, adesso sono qui, confusa come mai lo sono stata…’ e mi si gettò al collo colta da un pianto liberatore. Alzò gli occhioni color nocciola, completamente velati dalle lacrime, verso di me, implorandomi di accoglierla e tenerla stretta fra le mie braccia. Le baciai gli occhi e appoggiai le labbra sulle sue, affettuosamente e con voce rotta dall’emozione riuscii a dirle ‘Sei una donna molto sensibile, si vede. Non devi temere le contraddizioni, sono il segno di crescita”. Squillò il mio cellulare. Lo presi e guardai il monitor: Angela. Aprii la comunicazione e risposi ‘Ciao, come stai?’. ‘Bene, rispose lei, volevo ancora scusarmi per il disguido. Sono appena arrivata in albergo dopo il solito, interminabile, controllo documentale e doganale che usano far qui agli equipaggi. Domani arriverò alle 12’. ‘Non ti preoccupare per il disguido, e poi qui Marisa si sta facendo in quattro per farmi stare bene e a mio agio’ tentai di farla un po’ ingelosire. ‘Si, si, posso immaginare… ma non avevo nessun altro cui affidarti nella attesa del mio ritorno’. ‘In che senso? Spiegati..’ dissi indagando su quell’affermazione. ‘Nel senso che… beh, ne parleremo domani, al mio ritorno. Non sono cose da spiegare per telefono. Ma era l’unica cui affidarti e con la quale tu potessi passare una piacevolissima serata…’. il tono era un misto tra il canzonatorio e il serio. Angela &egrave sempre così, non sai mai quando scherza o quando &egrave serissima. Era plausibile che volesse farmi intrattenere ‘dolcemente’ da una sua amica? Non avevo idea sulle sue tendenze sessuali. Non mi era neppure passato per la mente che potessero essere diverse. Voleva forse qualcuna che mi scopasse per non farmi ritenere di aver fatto un viaggio inutile? ‘ah ah, ti aspetto, continuai senza mostrare nel tono della voce i miei dubbi, dì piuttosto al tuo comandante di non far ritardo domani’. ‘Certo, ti assicuro che farò di tutto per fargli capire che dobbiamo arrivare in perfetto orario. Ora ti saluto, a domani caro’. Aveva un tono ambiguo quando disse che avrebbe fatto di tutto al suo comandante. A volte fra hostess e piloti in trasferta può succedere, lo avevo sperimentato in prima persona. Mi sentivo un po’ geloso. Assorto in questi pensieri mi ero quasi isolato e dimenticato che avevo Marisa ancora in lacrime al fianco. ‘Era Angela?’ chiese retoricamente. Annuii assicurandole che stava bene e che confermava l’arrivo per l’indomani alle 12. Si riavvicinò appoggiando la sua testolina sulla mia spalla sinistra. Le carezzai il viso e le diedi un piccolo bacio molto casto sulle labbra. Lei mi appoggiò una mano sul petto inserendola attraverso l’apertura della camicia e carezzandomi il torace. Giocava con i peli e di tanto in tanto disegnava con un dito dei cerchi intorno ai miei capezzoli. Quantunque fossero molto casti sentii nuovamente l’eccitazione. Si accorse del piccolo bozzo che si stava formando sui pantaloni. Sfilò immediatamente la mano e si staccò da me. ‘Scusami Marisa, ma riesci ad eccitarmi come poche altre. Non posso farci niente, ma se a te sta bene, continua pure. Non ci sarà un ticket da pagare in seguito, né l’avrei preteso prima’. ‘Sei diverso dagli altri uomini che ho conosciuto, sto bene con te e adesso che tu sai, sono tranquilla e serena. Penso che di te potrò fidarmi’. E avvicinò la bocca dischiusa alla mia infilando la sua lingua. Le carezzai il seno. Era della classica misura che riempie bene una coppa di champagne, sodo e dritto. Improvvisamente il capezzolo si inturgidì. L’aiutai a togliersi la t-shirt e le baciai il seno giocando col capezzolo, tintinnandolo con la lingua, mordicchiandolo, succhiandolo. Lei mugolava e si faceva scappare dei monosillabi di piacere che mi invitavano a non smettere. Alternavo le mie attenzioni ai due seni quando cominciai a sbottonarle i jeans. Lei si sfilò le scarpe gettandole l’una a destra, l’altra a sinistra e quando tentai di toglierle i jeans lei sollevò il bacino per facilitarmi l’operazione. Indossava un minuscolo perizoma di pizzo color carne. Aprì le gambe regalandomi una stupenda visione del suo intimo. Mi inginocchiai fra le sue gambe e annusai quel paradiso. Sulla striscia del perizoma si erano raccolti i suoi umori ed emanavano un profumo di femmina. Scostai delicatamente il perizoma scoprendo il suo sesso con una striscia di peli castani ben curata. Le soffiai sopra un po’ prima di affondarci. Muoveva il bacino assecondando i miei movimenti di lingua e di dita. Mi dedicai al suo clitoride che era eretto e fuoriusciva di almeno un centimetro. Leccai e succhiai quel piccolo pene, provocandole un’abbondantissima emissione di dolci nettari interni che le colavano riversandosi sul perineo. Marisa era in estasi, mi aveva preso con le mani la testa e mi spingeva sul suo sesso. I suoi mugolii erano aumentati di volume e d’intensità. Ora si esprimeva in francese, com’&egrave naturale. Quando si perde il controllo ci si esprime nella lingua madre.

Milano.
Uscii dal bagno avvolto da un telo fissato precariamente in vita. Angela si era liberata dei jeans e dei camperos. Seduta nella poltroncina aveva una gamba sul bracciolo mostrandomi il suo meraviglioso nido d’amore coperto, in parte, da un perizoma grigio perla. Sul tavolino c’erano due bicchieri con la vodka e il secchiello del ghiaccio. La camera era inondata da un delicato profumo di primule e la musica in sottofondo era “Walk of life” dei Dire Straits. Presi i bicchieri e gliene offrii uno. ‘Fammi un po’ di spazio’ le chiesi. Si sollevo permettendomi di sedermi e si appoggio sopra di me. Il suo sederino poggiava proprio sul ‘suo amico’. Cominciò a stuzzicarlo con lenti movimenti circolari. ‘Che fai? Provochi?’ le domandai scherzosamente. Continuò imperterrita come se non avessi proferito verbo. Allora cominciai a strusciarle il sesso da sopra il perizoma che trovai, ammetto piacevolmente, fradicio. Continuavamo a centellinare l’alcolico drink provocandoci l’un l’altra. Scostai il perizoma e le accarezzai le grandi labbra e il clitoride e introducendo un dito, poi due nella vulva caldissima e inzuppata di umori. Poi le estrassi e gliele porsi. Lei se le ficcò in bocca suggendole, poi si volse verso di me e mi baciò riversandomi la sua saliva mista agli umori. &egrave una cosa che mi manda in estasi e lei lo sa benissimo.

Ginevra.
Marisa mi spinse all’indietro sul pavimento di parquet e mi tolse i pantaloni e boxer in un’unica volta. Mi venne sopra e si impalò. Il membro non faticò ad entrarle aiutato dall’abbondante lubrificazione. Quando fu certa di averlo tutto dentro di abbassò verso di me affinché le baciassi i seni. Stette ferma qualche secondo come se controllasse il tutto per esser sicura di avere tutto ciò di cui aveva bisogno. Sentivo i muscoli della vagina stringersi intorno al pene. Iniziò con movimenti circolari poi si decise a cavalcarmi su e giù spingendosi sulle ginocchia. Ritta su di me si strizzava i seni urlando monosillabi francesi. Dopo qualche minuto venne con un orgasmo sconvolgente e singhiozzante. Mi acchiappò la pelle del petto stringendola sino a procurarmi fitte di dolore, che mi incitarono ad aumentare il ritmo. Ebbe un secondo orgasmo ancor più devastante del primo e un terzo e un quarto. Ormai non li contavo più, godeva a ripetizione come se volesse rifarsi, in una sola volta, del perso. Crollò su di me trattenendo ancora il pene nella sua vulva ormai quasi insensibile. Dopo qualche secondo, che le servì per riprendere fiato e ossigenare il cervello, mi riempi di baci tenendomi il volto fra le sue mani. ‘Merci, merci, mon cher Maurice, merci.. Je t’adore.. Je t’aime..’. Ricambiai i baci e la strinsi a me. Quando prese coscienza di averlo ancora dentro mi guardò con senso di colpa e disse ‘Ma tu non sei venuto… che egoista sono, ho pensato solo a me’.’Tranquillizzati, abbiamo tempo’ risposi sbaciucchiandola. ‘Sei un tesoroooooo’ rispose e mi baciò teneramente.

accetto commenti e critiche: cactus733@yahoo.it Milano.
Angela si alzò per poggiare il suo bicchiere sul tavolino, si voltò verso di me e, visto che anche il mio era vuoto, mi chiese se ne gradissi altre due dita. Al mio rifiuto mi prese per mano e, scherzosamente, finse di aiutarmi ad alzarmi dalla poltroncina, dicendomi ‘Allora sai che facciamo? E, sempre tenendomi per mano mi guidò verso la camera da letto. Mentre stavamo per sdraiarci lei mi tolse il telo scoprendomi del tutto. Si inchinò davanti a me e, preso il pene in mano, lo baciò sulla punta dicendogli ‘Mon ami, stasera avrai un bel regalo’. Così dicendo si sfilò il perizoma e si tolse la camicetta. Mi attivai a cercare il reostato per abbassare leggermente l’intensità delle luci della stanza e non potei non ammirare quel bellissimo corpo. Faticavo a ricordarne un altro che poteva reggere il paragone. Ma soprattutto ha un fondo schiena da Oscar. Dire che sia un culetto alla brasiliana &egrave riduttivo. &egrave molto di più. &egrave una cosa che vive di vita propria. Quante volte ho immaginato di poterlo riempire del mio sesso ma Angela si era sempre dimostrata molto risoluta ‘No! Lì no!’. ‘Che fosse quello il regalo che aveva appena promesso al mio pene? Che avesse deciso di concedersi anche lì? Inutile ipotizzare alla cieca. Decisi di stare al gioco e di aspettare gli eventi.

Ginevra.
Marisa aveva sete. Quella serie infinita di orgasmi le aveva prosciugato la gola e non solo. Si alzò e andò in cucina. Ne tornò quasi subito con una bottiglia di champagne ghiacciato. Nel frattempo mi ero sdraiato sul divano appoggiando la testa su un bracciolo. Lei si sedette per terra all’altezza dei miei fianchi e bevemmo alcune sorsate ristoratrici. Il mio pene stava cominciando a perdere il turgore, lei ci versò sopra qualche goccia di champagne e subito lo raccolse con la lingua. La sensazione del freddo del prelibato liquido in contrasto col calore della sua lingua lo risvegliarono immediatamente. Lo lavorò un po’ con la mano poi lo prese in bocca suggendolo, leccandolo, mordicchiandolo. Ogni tanto si fermava, si riempiva la bocca di champagne e subito ci faceva affondare il mio membro. Non durai poi tanto. Ma prima di venire le chiesi di non ingoiarlo e di tenerlo tutto in bocca. Mi guardò in modo interrogativo ma capii che mi avrebbe obbedito. Venni con un orgasmo prolungato, scaricando nella sua bocca tutto il seme che avevo accumulato e anche qualcosa in più. Quando fu sicura che non un’altra goccia sarebbe uscita dal piccolo orifizio, mi guardò come per chiedermi cosa farne. L’attirai a me e la baciai. Mi riversò il contenuto della sua bocca: sperma, champagne e saliva. Giocammo a ricambiarcelo più volte. Alla fine lo inghiotti con soddisfazione. ‘E’ stato bellissimo, non l’avevo mai fatto. Non &egrave facile che un maschio lo faccia’. ‘Ma io sono diverso dagli altri maschi, l’hai detto tu poco fa’. ‘E lo confermo’.

Milano.
Sdraiato sul letto la osservavo intenta a regalarmi quel sesso orale. Angela ne era proprio appassionata. Lo faceva ogni volta in modo diverso, se ciò &egrave possibile. Anche a lei insegnai il giochetto che avevo inventato con l’amica e subito ne ideò una variante che chiamò Snow White (Biancaneve): invece di scambiarcelo bocca a bocca in un bacio, lei iniziò a passarmelo facendolo colare dalla sua sulla mia bocca, e viceversa. Una volta ci filmammo durante il sesso, usando due telecamere, la sua e la mia, per poi poter effettuare il mixage al computer. Riguardandoci ci piacque molto quel filo di sperma che si forma durante la caduta della goccia. Era molto disinibita e senza alcun limite, tranne che per il sesso anale. Raggiunsi un ottimo orgasmo, scaricandole in bocca tutto il mio succo. Venne sopra di me per lo Snow White. Prima di ingoiarlo aprì la bocca per mostrandomi la lingua che emergeva dal mio seme. Fece finta di rovesciarlo, poi lo inghiottì con voluttuà decantandone la dolcezza del gusto e pregandomi di produrne maggiormente la prossima volta.

Ginevra.
La mia mano scivolo sulla schiena di Marisa, si insinuò tra il solco delle sue belle natiche sode. Ebbe un brivido rivelatore della sua grande sensibilità nella zona. Per me fu un invito a proseguire e ad azzardare di più. Sfiorai la rosetta anale. Altro brivido più forte. La feci accomodare sul divano e mi misi dietro cominciando a leccarla intorno al buchino mentre con un dito le accarezzavo la passerina. I suoi mugolii e i movimenti del bacino mi invitavano ad essere più intraprendente. Ormai ero certo che gradiva. Le feci cadere della saliva sull’ano e iniziai a penetrarla con un dito lentamente e con dolcezza. Il buchino denunciò, col suo facile dilatarsi, che la verginità era ormai dimenticata da tanto tempo e che, probabilmente era usa penetrarsi o farsi penetrare con qualche dildo, dato che asseriva di non aver più avuto rapporti con maschi. Aggiunsi un altro dito al primo ed ebbi conferma delle mie supposizioni: lo sfintere anale si adeguava senza sforzo al diametro crescente delle insersioni. Afferrai il pene alla base e, constatatone il turgore, appoggiai il glande al buchino. Spinsi con decisione e quello entrò con poca fatica, sino alle palle. Marisa urlò. Oggi sono convinto che avesse finto il dolore, per farmi sentire un vero maschio che la montava. Cominciai a stantuffarle l’ano senza smettere di sditalinarla. ‘Oh! Oui.. oui.. Je t’adore.. Oui.. Oui.. Mon dieux! ‘
Spingeva il bacino verso di me contrastando gli affondi. La tenevo per i fianchi e mi ritrovai a domandarle ‘Ti piace, vero? Puttanella’. ‘Si, tesoro. Mi fai morire. Sfonda il culo alla tua puttanella. Voglio essere la tua troia. Solo per te’. La riempii del mio succo nello stesso istante in cui lei iniziò ad avere un’altra serie di orgasmi a ripetizione cui era solita. Continuammo sulla stessa falsariga tutta la notte. Quando ci addormentammo stava ormai albeggiando. Mi svegliai di soprassalto. Cercai di riprendere immediatamente il controllo, dileguando la nebbia mentale dovuta alla stanchezza, all’alcool e a tutto quel sesso. Diedi un’occhiata all’orologio: le dieci e venticinque. Non ero consapevole se fosse troppo tardi o troppo presto. Il luogo non mi era molto familiare ma sicuramente non mi era nuovo. La ragazza nuda, sdraiata accanto e col capo sul mio petto, non poteva essermi del tutto estranea, ma non ricordavo ancora esattamente chi fosse. Poi ebbi un lampo rivelatore. Svizzera, Angela, Marisa, Mosca, dodici. Due secondi furono sufficienti per riordinarli e “Cavolo, &egrave tardissimo!” pensai. Scostai dolcemente il capo della giovane donna dal petto e lo adagiai sul divano. Mi alzai come mi trovavo, cio&egrave nudo, e andai in cucina. Cercai inutilmente una caffettiera moka, trovai solo del caff&egrave liofilizzato. In mancanza di meglio! Misi una mug, piena a metà d’acqua e due cucchiai di nescaff&egrave, nel forno a microonde e tarai il timer per 45 secondi. Lo bevetti più per sciacquarmi la bocca dal sapore di sesso e vodka accumulato durante quelle ore che per il piacere, tutto italiano, di gustarsi un buon caff&egrave al risveglio mattutino. Avrei voluto preparare la colazione, ma non conoscevo gli usi di Marisa. Ignoravo completamente se fosse abituata a bere caff&egrave o the, mangiare uova con pancetta o chissà cos’altro. Decisi per un caff&egrave e lo preparai. Quando fu pronto glielo portai svegliandola dolcemente. Ci vollero alcuni minuti affinché si aprisse gli occhi. Mi ringraziò per il caff&egrave che sorbì lentamente dicendomi che al mattino, in genere, usava solo consumare un caff&egrave espresso e nient’altro. Dunque c’era la possibilità di prepararlo. Mi informai sul come preparare un espresso visto che non avevo trovato né moka né caff&egrave macinato. Mi guardò, ancora interrogandosi sul chi fossi, ma rispose candidamente “lo prendo al bar della stazione di servizio sull’autostrada”. Dopo la doccia ci preparammo per andare all’aeroporto. Appena in autostrada ci fermammo alla stazione di servizio per prenderci un espresso. Finalmente un caff&egrave espresso all’italiana o quasi. Risaliti in auto notai l’aria triste di Marisa. Allentai un po’ la cintura di sicurezza, mi accostai quanto più possibile e le sussurrai all’orecchio “Sarà il nostro segreto?”. Mi guardò con gli occhi gonfi e mi disse “Stavo per chiedertelo io, ho un gran senso di colpa nei confronti di Angela. Senti, io non ce la faccio ad aspettarla con te. Ti lascio e vado via. Dille che mi prendo due giorni e vado a casa di mia madre”.
Milano.
Mentre perdevo il turgore si avvicinò al mio orecchio e mi sussurrò ‘Ti soddisfo abbastanza, amore?’. Era la prima volta che me lo chiedeva. Rimasi basito ma risposi ‘Si, tesoro. Più che abbastanza! Ne dubiti?’. ‘Beh, magari vuoi qualcosa di più. Non so. D’altronde non ci conosciamo poi da così tanto e magari tu ami fare certe porcherie ma non hai il coraggio di dirmelo’. ‘Le porcherie si fanno insieme se entrambi sono d’accordo. E allora non sono più porcherie’ ribattei, ma cominciava a prendere dentro di me, sempre più, l’idea che avesse deciso di perdere la verginità anale. ‘Ti voglio confessare una mia fantasia’ disse con tono che evidenziava un certo disagio. ‘Ti prego, non tenermi sulle spine’ sollecitai. ‘Non so se faccio bene, chissà cosa potresti pensare poi…”. E proseguì dopo alcuni secondi “Ma si, tutto sommato sei abbastanza moderno e pari disinibito e disincantato per un 47enne’ disse. Ora il tono era tornato canzonatorio. ‘Grazie ma lo sarò anche a 70 anni’ puntualizzai. ‘Ti credo sulla parola, chissà come sarai affascinante a 70 anni, sicuramente ti farai tutte le compagne dell’ospizio!!’ ‘Comunque, continuò, la mia fantasia più segreta e che mi fa bagnare le mutandine in certe notti scure, &egrave di farlo in tre: un uomo e due donne’. ‘WOW? Ma &egrave la mia fantasia preferita” esclamai, accorgendomi troppo tardi di averle un po’ smontato la ‘sorpresa’. ‘Meglio così, disse con tono di sfida, comunque, tu che ne pensi? Si potrebbe farlo?’ ‘Il problema &egrave, avanzai, trovare una che voglia farlo con noi. Una che non sia mercenaria. Non ho, purtroppo, nessuna con tali requisiti nella mia agenda, ma potremmo cercare e, magari qui o a NewYork o a Mombasa, darle un appuntamento per una seratina particolare’ risposi sorridendo. ‘E se io la conoscessi una così?’. ‘Vedo che hai programmato già tutto, vero? E se mi fossi trovato contrario? Sei proprio una vera puttana, non c’&egrave che dire!’. ‘Se non lo fossi te ne lamenteresti per primo, visto che vuoi che lo sia, e continuò, sei arrabbiato?’. ‘Assolutamente no, amore. Ma stavo pensando a un particolare, anzi a un paio o più di particolari’. ‘Del tipo?’ domandò lei mostrandosi interessata. ‘Del tipo’. Ecco del tipo che non l’ho mai fatto con due donne, sarà senz’altro fantastico, ma non posso garantire alla cieca che riesca ad essere all’altezza” ‘Non devi tirartela così, mi interruppe, sai bene che lo sarai, ma se vuoi sentirtelo dire per gongolarti nel tuo ego, eccomi qui, tesoruccio, te lo sto dicendo. Il tuo cazzo saprebbe soddisfarne ben più di due!’ ” Mah, se lo dici tu!’ replicai assumendo un’espressione pensosa. ‘E gli altri particolari cui ti riferivi?’ chiese sollecitandomi. ‘Pensavo: dici che ne conosci una, ma che livello di conoscenza &egrave? Cio&egrave, l’avete già fatto o &egrave solo che conosci il suo segreto?’. ‘Vuoi sapere se ho già messo in pratica questa mia fantasia? No! Ma con lei, che so essere bisex, e che conosco benissimo, penso che non avrei problemi. E poi voglio avere anche un’esperienza saffica, ma sempre all’interno di un rapporto etero. A volte mi sono ritrovata, mentre facevo sesso con un uomo, a pensare ad una donna che partecipasse attivamente, succhiandomi i capezzoli o leccandomi la passerina e di vedere lui che la montava, partecipando io attivamente o soltanto da voyeur. Contento?’. ‘Va bene, va bene. Non ti scaldare, ti ho appena detto che &egrave anche la mia fantasia. E se tu sei decisa, allora organizza come sempre, data e luogo, io ci sarò’.

Ginevra.
Il tabellone elettronico aggiornò la riga relativa al volo proveniente da Mosca, inserendo la scritta ‘Atterrato’ nel campo note. Guardai l’ora: le 12 e 5 minuti. Mentre i passeggeri sarebbero usciti dalle porte della sala ritiro bagagli, l’equipaggio avrebbe usato il varco di servizio. Lo individuai sulla sinistra del salone comune. Stetti a una decina di metri da quelle porte scorrevoli. Dopo una mezz’ora circa cominciò ad uscire qualche membro dell’equipaggio, anche se ignoravo fosse dello stesso di Angela. Eccola uscire con altre due sue colleghe. Si fermarono subito dopo l’uscita per salutarsi con scambio di baci e abbracci. La vidi cercarmi tra la folla degli astanti e, individuatomi, mi fece un cenno di saluto e accelerare il passo trainandosi dietro il trolley. Mi buttò le braccia al collo e mi stampò un bacio sulla bocca, il più casto dei passionali che le riuscì, dato che indossava l’uniforme e non le era assolutamente consentito dare scandalo, quando la indossava.
“Marisa?” chiese subito. “Si scusa, ma &egrave andata dalla sua mamma per due giorni” risposi. “La solita Marisa. Sua mamma &egrave mancata, quando lei aveva 6 anni. So bene io dove passerà questi due giorni”. Mi prese sottobraccio e ci avviammo verso il parcheggio delle auto. “Come stai? Chiese guardandomi intensamente, che avete fatto ieri?”. Forse ebbi un minimo di incertezza nel rispondere, ma mi ripresi immediatamente “Siamo stati a casa, nel pomeriggio abbiamo preso il sole in giardino e chiacchierato tanto. Marisa &egrave davvero molto simpatica e si &egrave dimostrata molto generosa a farmi compagnia in tua attesa”. “Hai un aspetto molto stanco, non hai dormito bene?” si informò. “In effetti &egrave così, devo aver preso un po’ di freddo in giardino e mi sentivo i muscoli indolenziti tardando ad addormentarmi” me la cavai. Parve credermi o almeno finse di farlo con gran maestria. Giungemmo alla sua auto, una vecchia Morgan color verde bosco scuro. “Wow, esclamai, che meraviglia”. Abbassammo la capote e ci avviammo. “Hai appetito? Disse, e, senza aspettare la mia risposta continuò, io muoio di fame. Passiamo a casa, devo cambiarmi, poi ti porterò a pranzo sul lago. Conosco un ristorantino romantico”. Normalmente avrei insistito per pranzare a casa, se non altro per approfittare immediatamente di un ambiente privato e far sesso. Mi stava mettendo alla prova? Se mi fossi mostrato subito accondiscendente avrebbe potuto capire chissà cosa, ma se mi fossi mostrato ostile all’idea avrebbe potuto credere che fossi lì solo per scoparla senza neppure rispettare le sue esigenze. Decisi per una tattica di rilancio “Possiamo mangiare un boccone a casa, Marisa ha fatto la spesa ieri, dissi per iniziare, ma se preferisci andare al ristorante, dopo non dovremmo neppure lavare i piatti”. Accompagnai la frase con un sorriso che le tolse la voglia di ribattere. Arrivammo a casa, presi il suo trolley dal bagagliaio e la seguii dentro. Mi abbracciò nell’ingresso e mi baciò lussuriosamente. La sua lingua sembrava voler esplorare la mia bocca con un’ingordigia di chi ha aspettato oltre modo quel momento. Risposi a tono e le mie mani cominciarono a frugare il suo corpo. Entrarono sotto la giacca dell’uniforme, tirarono su la camicetta e si tuffarono a carezzare la pelle della schiena, dalle spalle alla cintura. Sentivo le sue su di me. Prese la mia polo dal basso e me la sollevò sino al capo. Staccai le mani dal suo corpo e tirai su le braccia per facilitarla a sfilarmela. Si tolse la giacca e la camicia e si slacciò il reggiseno. Le mammelle di Angela erano un po’ più grandi di quelle di Marisa, con delle grandi aureole e capezzoli già turgidi per l’eccitazione. Mi slacciai la cinta e tolsi i jeans, mentre lei si sfilava la gonna. Indossava un mini perizoma viola e calze autoreggenti color carne. Mi attirò a se sul divano. Mi fece sedere comodo, lei si mise in ginocchio davanti a me, afferrò i miei boxer e me li sfilò, giocando sul fatto che il pene eretto impediva che scivolassero. Prese dalla borsa una coroncina per capelli e se li sistemò in modo che non le cadessero sul volto, poi si dedicò al membro che aveva ormai raggiunto le sue massime dimensioni. Lo prese in mano valutandone le dimensioni “E’ un 5 e mezzo” disse. “A cosa ti riferisci?” chiesi. “Al suo diametro, corrisponde a un manico di racchetta da tennis numero 5 e mezzo” disse sorridente. “Ah ah, nessuna me lo ha mi misurato così, risi di cuore e continuai, e per la lunghezza che metro di paragone userai?” “Prenderò il metro e lo misurerò” così si alzò e scomparve in cucina per tornar subito dopo con un metro da sarta in mano. Fino a quel momento con Angela avevo avuto solo delle telefonate alle ore più impensabili del giorno e della notte durante le quali avevo capito benissimo quanto fosse fuori di testa, nel senso buono della cosa. Pazzerella senz’altro, le piaceva scherzare ma spesso era dissacrante. Due notti prima mi aveva chiamato da Parigi. Era l’una e lei stava in hotel. Esordì dicendomi che quantunque sapesse che il mattino dopo avrei volato presto, sentì la necessità di chiamarmi. Che stava avvicinandosi la data del nostro appuntamento ed era eccitata perché non aveva mai avuto un appuntamento al buio. Voleva sapere molto di più su di me di quanto già non sapesse e, a bruciapelo ‘Dormi col pigiama?’ Le risposi che usavo dormire nudo come natura mi aveva fatto. ‘Anch’io, disse, ma oggi ho messo una t-shirt extra large, ma sotto, abbassò la voce, non indosso altro’. Sicuramente spiava le mie reazioni. Voleva vedere come avrei reagito. ‘Te la toglierei’ fu la prima cosa che mi venne in mente e continuai ‘muoio dalla voglia di veder come sei sotto’. ‘E basta? Ti accontenteresti soltanto di guardare?’. Mi stava provocando, ma decisi di continuare, qualsiasi reazione lei avesse avuto in seguito, potevo sempre dire di esser stato provocato ‘Certo che non mi limiterei a guardare. Comincerei a baciarti ed esplorare ogni centimetro della tua pelle’, sentivo il suo respiro alterato dall’altro capo del filo. Continuammo per un po’ su questa falsa riga quando mi chiese ‘Ce l’hai duro?’. ‘Si’ mentii. ‘Te lo posso toccare?’ ora la sua voce era implorante. ‘Solo se mi dici che ti stai toccando anche tu’. ‘Sono fradicia, mi stavo toccando già prima di chiamarti, confessò, ma ora ho voglia del tuo cazzo dentro, dai, dammelo, tutto, dentro. Non ce la faccio più ad aspettarti’ ‘Ecco, cara, lo appoggio alla tua vagina’.’ ‘Si chiama figa in Italia, cunt in Inghilterra, conne in Svizzera, co’a in Spagna, perché cazzo la chiami vagina?’ mi interruppe, ma sempre con il respiro alterato e la voce spezzata. Segno che si stava masturbando violentemente. ‘Si, userò i termini comuni’. E così avemmo il nostro primo cyber sex.
“Adesso vediamo quant’&egrave lungo” disse ridendo e, poggiato l’inizio del metro alla base dell’asta, inferiormente, fece scorrere il nastro centimetrato sino alla punta del glande, seguendone la leggera curvatura “23 centimetri! Niente male ma al telefono mi dicesti che era più di 25”. ‘Non l’avevo mai misurato, sino ad ora, ma a spanne mi sembrava più o meno così e non c’ero poi andato molto lontano. Mica sono svizzero, eh?’. Buttò il metro e riprese il pene eretto in mano. Cominciò a masturbarlo con molta dolcezza muovendo il suo sguardo dall’oggetto dei suoi desideri al mio viso, incrociando il mio. Diede una leggera slinguatina sul forellino in cima al glande, un bacetto per poi scendere con la lingua umida di saliva sino alla base a baciare i testicoli. Quando ritorno sulla cima, sempre slinguazzandolo, se lo infilò in bocca. Con pochi movimenti l’ebbe dentro completamente arrivando ad appoggiare le sue labbra al mio ventre. Poi cominciò ad andare su e giù, fissandomi negli occhi. I capelli trattenuti dalla coroncina non mi impedivano di vedere tutto ciò che faceva. Alternando diverse tecniche mi portò in breve a un orgasmo liberatorio. Dai minuscoli irrigidimenti del pene capì che stavo per eiaculare, così rallentò per masturbarlo con la mano fuori dalla bocca. Si fece arrivare il seme dappertutto. Lo riprese in bocca e succhiò gli ultimi spasmodici schizzi. Sorrise mostrandomi il succo che manteneva in bocca, mentre con le mani si spalmava tutto lo sperma caduto sul viso, sul petto e sull’addome. Quindi inghiottì l’altro, con evidente lussuria. Si sollevò sino a baciarmi. Aveva ancora il sapore del mio sperma. “Mi faccio una doccia poi andiamo a pranzo. Ho voglia di mangiare pesce” disse strizzandomi l’occhio.
Milano.
Giocava con le dita intrecciando il pelo del torace. Disegnando dei cerchi virtuali inframezzando di bacetti sui capezzoli. Avevo il braccio sinistro sotto di lei e con la mano destra scesi a carezzarle il poco pelo pubico. Istintivamente aprì un po’ le gambe invitandomi a scendere sino al suo nido. Cosa che feci con molto piacere. Amavo le sue reazioni a qualsiasi stimolazione. Sgattaiolai mettendomi come per un 69. lei spalanc&egrave le coscie per permettermi di introdurvi la testa nel mezzo. Mi dedicai a leccargliela esternamente prima, poi fra le grandi e le piccole labbra. Ogni tanto stringeva le cosce, sulla mia testa, per farmi meglio capire che gradiva, eccome se gradiva, quel dolce martirio. Scovai con la lingua il clitoride e dopo averlo tintinnato per bene iniziai a succhiarlo. Sapevo benissimo che sarebbe ancora aumentato di volume, così da sembrare un piccolo cazzetto. Lo mordicchiai leggermente strappandole un ohhh di dolore misto a piacere. Feci andare la lingua all’ingresso della vulva e cominciai a penetrarla. Era fradicia e il suo forte odore di donna accentuò i movimenti della lingua che si era irrigidita. Quando la tolsi inserii un dito e poi un altro esplorando quella morbida caverna con movimenti circolari e a stantuffo. La lingua ora si dedicava al perineo giungendo sino alla rosetta dell’orificio anale e restò a umettarlo e leccarlo ampiamente. Non disse e non fece nulla. Interpretai tale silenzio come assenso e mi feci più audace. Portai un dito sul buchino, lo riempii di saliva e cominciai a spingerlo dentro, senza, però, forzare. Ora potevo sentire dei sommessi mugolii e subito cominciò a muovere il bacino seguendo i miei movimenti. &egrave il momento, pensai, ora o mai più. Era molto rilassata nonostante l’eccitazione. Aveva due dita nella vulva che la sditalinavano e un altro che stava per deflorarle l’ano. Le feci andare un bel po’ di saliva sul buchino per lubrificarlo mentre spingevo il dito. Entrò per una falange intera. La sentii irrigidirsi e i mugolii divennero lamenti. Volevo dirle di rilassarsi, così avrebbe sentito meno dolore, ma non dissi nulla. Estrassi il dito e, riempito ancora di saliva glielo rinfilai più affondo. Era ancora troppo stretto, dovevo allenarlo a volumi più grandi. Col primo dentro sino alla seconda falange, introdussi il decondo. Pian piano, venne quasi risucchiato all’interno. Le sfuggì un urlo ma non mi fermò. Tenni ferme le dita per darle il tempo di abituarsi poi, capito che si stava nuovamente rilassando, le mossi su e giù, dapprima lentamente per poi aumentarne la velocità. I gemiti erano tornati quelli di piacere. Estrassi le due dita dall’ano e le ripiantai di colpo, altro urlo, altra pausa, altra penetrazione su e giù. Lei non faceva null’altro che concentrarsi su quella deflorazione. Ma al contrario delle altre volte, non mi aveva fermato. Continuai ma non riuscivo ad ammorbidire lo sfintere. S’accorse delle mie difficoltà ‘Nel borsone c’&egrave un beauty-case, prendilo’ disse calma. Lo presi e lo portai sul letto. Lo aprii e vi trovai, fra tutti gli arnesi che una donna usa per il proprio trucco, un vibratore. Lo presi e lei mi disse ‘Prova con quello’. ‘Non avresti anche una crema?’ ‘Si, c’&egrave. &egrave quella col vasetto rosa’. Ne misi un po’ sul bordo dell’orifizio anale e un altro po’ sulla punta del vibratore. Lei si era sistemata sulle ginocchia appoggiando il petto sul materasso, offrendomi quell’ultima verginità. Infilai piano quel vibratore che risultava un po’ più grosso delle mie due dita. La crema facilitò l’operazione e quando fu introdotto del tutto cominciai a tirarlo fuori e a spingerlo dentro facendolo ruotare su se stesso. Ora emetteva solo dei brevi monosillabi di approvazione e di piacere. Per un tempo che non riesco a determinare in minuti continuammo la penetrazione anale con quel cazzo di gomma. Poi lo accesi e questo cominciò a muoversi e vibrare come animato da vita propria. ‘Chiamami nella figa, urlò, voglio sentirmi piena’. Mi posizionai supino e l’aiutai a venirmi sopra. Armeggiò col mio pene infilandoselo nella figa mentre il vibratore continuava la sua opera. Angela urlava di piacere dimentica di essere in una stanza d’albergo. Mi offrì le tette da baciare e le succhiai i capezzoli, morsicandoglieli da farla gridare dal dolore. Venne in pochissimi minuti di un orgasmo sconvolgente. Mi graffiava, mi pizzicava, urlava. Si accasciò su di me. Cercai di spegnere il vibratore ma disse ‘Non ancora. E quando lo toglierai voglio il tuo cazzo dentro di me’. La sentii avere un altro orgasmo, molto più forte del primo. ‘Ecco, disse, ora chiavami tu’. Le estrassi piano il vibratore e, poggiata la cappella sul buchino, con un colpo unico, glielo sfondai. Urlò. cominciai con movimenti lenti poi alternai qualche affondo più robusto ed energico. Con le dita le masturbavo il clitoride. Venni contemporaneamente a lei. Restammo fermi così, l’uno sull’altra. Le baciavo il collo, le spalle e le sussurravo dolcezze all’orecchio. Mise le sue mani sulle mie natiche stringendomi a lei per sentirmi di più, ma il membro si stava ammosciando in quell’ammollo di sperma caldo.

Ginevra.
Tornammo dal ristorante verso le 17, reggevo a malapena gli occhi aperti. Mi disse, facciamo una doccia e andiamo a letto. Fui il primo a farla, su suo invito. Pensavo mi raggiungesse. Invece la trovai in sala, seduta sul divano che telefonava a qualcuno o qualcuna. Mi fece cenno di sedermi a fianco e. continuando la telefonata, mi carezzò i capelli umidi. Parlava con Marisa, intuii, ma la telefonata volgeva al termine poiché pochissimo dopo si salutarono. ‘Era Marisa. Le ho detto che poteva benissimo trattenersi con noi, vero?’ mi guardò aspettandosi un mio cenno di assenso. ‘Certo, invece di farlo sul divano l’avremmo potuto fare in camera tua, no?’ ‘Ti saresti vergognato a farlo qui? disse ridendo, non hai il senso del brivido?’. E continuò ‘Con Marisa ho molta confidenza e poi non ci scandalizziamo per queste cose. Tu?’. ‘Neppure io mi scandalizzo, ma, ieri dovevi dirmi qualcosa a proposito di Marisa ma che non si poteva parlarne al telefono. Allora?’ ‘OK, fammi trovare le parole giuste. Veramente non sono sicura di potertelo dire. Dovrebbe essere lei a farlo, se decidesse di fartelo sapere. Ma siccome ho gettato la pietra, ora non posso nascondere la mano’. E continuò ‘Due anni fa misi un annuncio sulla bacheca delle hostess per cercare una collega che volesse coabitare con me dividendoci le spese. &egrave una cosa che fanno molti’.’ ‘Si, anche da noi. Con quel che costano le case nelle grandi città’. ‘Infatti. Si presentarono alcune colleghe che esaminai sotto molti punti di vista e Marisa mi sembrò quella che li soddisfaceva tutti, o quasi’. ‘Era quella, continuò, che più mi assomigliava e oltretutto volava sullo stesso tipo di aereo su cui volavo anch’io, anche se, fino a quel giorno, non ci eravamo mai incontrati in servizio. Così raccolse le sue cose e il giorno successivo si trasferì da me. Dopo un paio di mesi avevo potuto notare che, nonostante sia una bella gnocca, come hai sicuramente avuto modo di osservare, non aveva amici maschi e, devo dire, neppure molte amiche. Usava girar per casa nuda. Non che io sia moralista e parruccona, ma non avevamo ancora la confidenza di oggi e queste sue nudità sbandierate mi davano un po’ di fastidio. Un giorno la trovai che annusava i miei slip che avevo appena tolti. Ebbi un brivido di spavento. Non riuscivo a darmi una spiegazione ma non volevo chiederla a lei. Decisi però di fare in modo che lei venisse a sapere che l’avevo vista anche se ancora non avevo idea sul come fare. Una sera rientrai da un volo e trovai lo chalet completamente buio. A quel tempo non avevamo ancora l’interruttore crepuscolare, quindi bisognava accendere le luci in giardino e nel portico soprattutto se si aspettava qualcuno. Quella sera ero io quel qualcuno. Percorrendo al buio la stradina del giardino, disseminata di tutti quei gradini, correvo il rischio di rompermi l’osso del collo. Stizzita da quella mancanza di collaborazione e rispetto che deve esserci nella coabitazione, andai diritta alla sua camera intenzionata a farle una scenata, ma dovetti fermarmi. Da quella camera arrivavano dei mugolii inconfondibili. Non era sola. Bene, pensai, meglio per lei ma domattina nessuno le risparmierà il cazziatone che le farò. E nel mucchio ci infilerò anche quell’altra storia degli slip. Così me ne andai in camera mia, mi spogliai e mi avviai al bagno per una doccia. Mentre stavo seduta sulla tazza, la porta del bagno si aprì e vidi una ragazzetta nuda che immediatamente scappò via. Rimasi di sasso. Immediatamente dopo arrivò Marisa per tentare di spiegare. Ero troppo incazzata e basita. La congedai bruscamente dicendole che ne avremo riparlato la mattina seguente. Mi svegliai ancora stordita dagli avvenimenti della sera precedente e andai in cucina a prepararmi un nescaff&egrave. Vi trovai Marisa e quella ragazza che mi fu presentata come Janet. Una ragazzina sui vent’anni, poco più, poco meno, dai tratti tipicamente campagnoli. Alta sul metro e settanta, grassoccia, gambe e braccia sviluppate forse dal lavoro di campagna, di carnagione bianchissima e capelli biondi. Marisa disse che stava per accompagnarla a casa e che sarebbe stata di ritorno in un lampo. La notte era stata molto agitata. Molti pensieri attraversarono la mia mente. Ero, dapprima, decisa a cacciarla via, ma poi rividi quella posizione radicale. ‘Sarà lesbica? Pensai, o forse nella camera c’era anche un uomo che io non avevo però visto?’. Ciò non avrebbe però cambiato i termini della questione. Mi sentivo ferita per non esserne stata, precedentemente, messa al corrente. Non avevamo mai parlato esplicitamente di sesso né di come lo intendevamo, tranne che per il fatto di farlo a casa. Avevamo chiaramente fissato dei paletti: chi delle due voleva scopare a casa doveva prima informare l’altra, soprattutto per non metterla in imbarazzo. Poi, ognuna sarebbe stata libera di farlo quando e con chi avesse voluto. Prese fiato e continuò ‘Invece, non solo lei non m’informò, ma avevo la sensazione che non fosse la prima volta che lo faceva. Insomma non sopportavo l’idea di vivere in un casino e non saperlo!’. Dopo poco Marisa rientrò in cucina dove ancora mi sorbivo lentamente il mio caff&egrave. Aveva un’aria mofia da cane bastonato. Per un po’ si trattenne a ripulire le tazze e i piatti che avevano usato ma vedevo che stava cercando le parole giuste per spiegare quel che era successo. Alla fine mi alzai per poggiare nel lavello la mia tazza. Lei mi gettò le braccia al collo e, piangendo e con la voce singhiozzante, mi disse ‘Hai ragione ad essere adirata. Sono proprio una scema: comportarmi così con te che sei la mia miglior amica’.’ La tenevo fra le braccia e sentivo la mia rabbia sbollire. ”.tu non sapevi, continuò, e di certo non potevi neppure saperlo” ‘Cosa? Chiesi io interrompendola e asciugandole le lacrime con la mano. ”. Che sono lesbica! Ecco! L’ho detto! Avrei voluto dirtelo dal primo giorno ma ho avuto, inizialmente, soggezione, poi non volevo perderti! Si, hai capito benissimo! Mi sono innamorata di te!’. Rimasi di sasso. Che fosse dell’altra sponda oramai non avevo più dubbi, ma sentirmi dire che era innamorata di me, cavolo! E adesso? Come avremmo potuto andare avanti? ‘Insomma, non &egrave facile condividere una casetta con una che ti ama e che vorrebbe venire a letto con te. Non sarebbe stato possibile ignorare la questione facendo finta di nulla. Da allora l’avrei vista con occhi diversi. Sta bene che sia lesbica, affari suoi, ma sarebbe finita la tranquillità e la spigliatezza che avevamo sino al giorno prima’. ‘Cos’&egrave successo che ti ha fatto cambiare idea?’ domandai interrompendo l’impeto del racconto. ‘Semplice, o quasi, ribatt&egrave, mi disse che sarebbe stata via per un po’, da una sua amica a Neuchatel, per darsi tempo di schiarirsi le idee su di me e che, se nulla fosse cambiato in lei, o che se io l’avessi preteso, si sarebbe cercata un’altra abitazione’. Così le due ragazze si separarono per più di tre settimane al termine delle quali Marisa chiamò Angela per dirle che era ancora innamorata di lei. ‘Non ebbi però il coraggio di cacciarla via e la accolsi nuovamente a vivere con me’. ‘Ridefinimmo, però, i termini perentori che avrebbero guidato la ‘nuova’ coabitazione, e devo dire che da allora la nostra amicizia si &egrave pure rinforzata. Chissà, forse, anche per una complicità consapevole’.

Autore Pubblicato il: 16 Aprile 2008Categorie: Racconti Erotici Etero0 Commenti

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