«Ehi Nino!» Rispose vivace il biondo alla telefonata.
«Adrien, hai notizie di Marinette?» Chiese tutto d’un fiato in preda al nervosismo.
«Ieri pomeriggio siamo usciti, e… Niente, non ne so nulla.» Non poteva certo dirgli di averle dato della puttana.
«Alya la sta chiamando da ore, è andata a casa sua, ma non le ha aperto! Non faceva altro che biascicare insulti contro di te completamente ubriaca . Non sappiamo come comportarci.. >>
Una scossa lungo la spina dorsale gli provocò la pelle d’oca, nella sua mente vagavano mille pensieri. La verità è che aveva appena realizzato che, probabilmente, dare della lurida puttana noiosa ed incapace ad un’amica mentre dichiarava il suo amore, bhe… Non si può dire fosse stata una gran mossa da scacco matto, piuttosto da povero idiota che si fa mangiare la regina con un pedone.
«Ehm… Lasciate fare a me. Ci penso io, godetevi il fine settimana» Comunicò tentando di nascondere il problema, se Alya avesse scoperto come si era comportato con la sua migliore amica si sarebbe ritrovato, come minimo, la sua squadra di africane del ghetto sulla soglia di casa. Meglio evitare, diciotto anni sono pochi per morire.
«Va bene, facci sapere, Bro!» Concluse Nino riagganciando il telefono.
Adrien corse in strada e si precipitò dalla ragazza che, seduta in terra con le spalle appoggiate alla porta d’ingresso e una bottiglia di Vodka in mano, ormai vuota, si trovava in uno stato di semi incoscienza, come fosse distaccata dalla realtà.
«Lurido stronzo… Come hai potuto figlio di puttana…» Ripeteva a bassa voce in quello che sembrava un lamento da gatto in calore.
La porta in legno sussultò dietro di lei scossa da un energico bussare compulsivo.
«Marinette! Apri, sono Adrien. Dobbiamo parlare. Non fare la bambina!»
Solo udendo la sua voce, in lei, cominciò a ribollire una rabbia amplificata da quella sbornia colossale.
«Marinette, avanti, apri questa cazzo di porta!» Urlava a perdifiato dalla strada attirando a sé gli occhi indiscreti dei passanti.
Gli occhi celesti della ragazza correvano lungo il perimetro della casa, tutto quel rumore le picchiava in testa e la sua gola si seccava. Non aveva sete, o meglio, la sua sete era particolare. Voleva prendersi la rivincita e vendicarsi…
«Adesso ti apro.» Imprecò trascinandosi verso la cucina.
«Sei completamente ubriaca!»
«Zitto! Sto benissimo.» Rispose afferrando una padella dal piano cottura.
Si mise in posa dietro alla porta, come un battitore di baseball, prima di sbloccare la serratura. Adrien afferrò la maniglia con arroganza, deciso a farle una predica, più severo di una madre. Tutto sommato la sua idea non era troppo sbagliata, Marinette era una puttana… Il suo pensiero non giunse al termine venne interrotto con un suono sordo metallico e un immenso mal di testa che gli procurò le vertigini costringendolo ad atterrare al suolo, come un sacco di patate, privo di sensi.
«Fuori campo da professionista.» Esordì compiaciuta l’esile figura con un sorriso malefico stampato in volto.
Ghignando ubriaca trascinava di peso il ragazzo dalle mani, ancora indecisa sul da farsi, ma certa che avrebbe trovato la giusta punizione. Con delle corde robuste si assicurò di legare strette le caviglie e i polsi ad una sedia.
«Ho idea che starai qui un bel po’, mettiti comodo Adrianuccio.»
Passarono alcune ore prima che riprendesse coscienza strabuzzando i suoi occhi verdi tentando, disperatamente, di mettere a fuoco la visuale della stanza.
«Cazzo che botta… Razza di puttana!» Imprecò tra i denti tentando di battere un pugno sul bracciolo della sedia accorgendosi, solo in quel momento, della sua condizione.
Disorientato e spaventato cominciò ad agitarsi tentando di liberare gli arti da quella costrizione, ma non ebbe alcun successo… La sua mente, impegnata in un tentativo di fuga, venne attirata da una presenza inquietante, due occhi pesanti sulle sue spalle…
«Mari…» La chiamò con voce tremante ignaro delle sue intenzioni. «che intenzioni hai?» Domandò fissando il contenuto della bottiglia di Vodka oscillare sbattendo da una parete all’altra ad ogni passo della corvina. Sempre più ubriaca.
Giunta a pochi centimetri da lui, con movimenti lenti e un sorriso indecifrabile, prese ad accarezzargli il volto. Scoppiando in una risata innaturale rovesciò l’alcolico sulla testa del biondo.
«Marinette!» Protestò soffiando per evitare il liquido gli entrasse nelle narici.
Lai non rispose, gli si sedette in braccio leccando l’alcolico che colava sulla guancia bianco latte di Adrien. I brividi invadevano il corpo portandolo a dover trattenere la voce per non gemere, non voleva darle soddisfazione anche se la pelle d’oca lo tradiva. Liberandosi della bottiglia, dopo aver scolato le ultime gocce, gli afferrò il viso con entrambe le mani limonandolo.
Voleva ribellarsi, voleva respingerla, ma non ne aveva la possibilità. Sentiva il piacere mischiarsi a rabbia e frustrazione che lo logoravano.
«Puzzi tremendamente di alcool! Fai schifo.» Esordì appena ebbe la bocca libera da quella calda e umida lingua anche se già gli mancava, si sentiva vuoto, ne voleva ancora, si stava eccitando. Al corpo non si comanda gli suggeriva una vocina all’orecchio.
Non le bastava, sentiva il fuoco divamparle dentro. D’istinto gli morse il labbro inferiore stringendo con forza tagliandolo sul lato, udì il lamento che attestava il suo buon operato. Non resistette alla tentazione di assaporare la gocciolina di sangue che gli colava sul mento, ridacchiandogli in pieno volto con gli occhi da fuori di testa.
«Perché mi fai male? Perché lo stai facendo? Sei psicopatica!» La accusò con un groppo in gola.
«Osi chiedermi perché?» Gli urlò affondando le unghie sulle sue spalle, irritata più che mai da quelle domande impertinenti.
Gli aprì la zip dei pantaloni con l’ausilio della bocca, liberando la sua erezione e prodigandosi in un bocchino.
Adrien, incapace di replicare, si abbandonò alle cure della corvina dagli occhi celesti, conscio di non avere alternative, tanto valeva godersela. Nonostante questa consapevolezza tentò con la sua ultima mossa disperata.
«Non serve tutto questo! Parliamone.» Bisbigliò sull’orlo del pianto.
Intransigente e sicura di ciò che voleva, Marinette, lo zittì una volta per tutte con un ceffone.
«Sta zitto! Dovevi pensarci prima, bastardo!»
Tornò a leccarlo avidamente godendo delle sue contrazioni e sospiri. Ansimava riscaldando l’aria nella stanza, il dolore si faceva più acuto.
Non riusciva a parlare, forse, neanche voleva, osservava quel corpo asciutto spogliarsi sinuosamente liberando i piccoli e sodi seni con i capezzoli già turgidi.
«Basta, Marinette, fermati…» Implorò con un filo di voce.
La ragazza lo zittì con un bacio sedendosi sopra di lui e penetrando la sua stessa intimità, bagnata, con il membro, del ragazzo, umido di saliva.
«Troppo tardi. » Sogghignò maliziosa alitandogli sulle labbra sporche di sangue.
Gli accarezzava il volto con i polpastrelli mentre, selvaggia, lo cavalcava.
Adrien si leccava la ferita tra un gemito e l’altro, perdendosi nella vista del senno ballonzolare e maledicendo quelle dannate corde che lo costringevano immobile, sentiva il bisogno di accarezzare quel corpo.
Lei fece correre le labbra sul collo mentre continuava ad affondare con forza, sempre più veloce, sempre più ansante. Il biondo chiuse gli occhi chinando il capo all’indietro, stava per venire, era al suo limite.
Entrambi ansimavano, lo sguardo fisso sul soffitto sopra di sé.
Un intreccio di lingue fugace accompagnò l’affondo finale, vennero insieme, spezzando quel momento: dopo la tempesta, la calma…
Rifletteva sugli eventi appena svolti in quella casa, incapace di comprendere cosa lo aspettasse nel futuro, ancora incapace di razionalizzare le sensazioni provate in quella dominazione selvaggia.
Marinette, esausta, gli si addormentò addosso abbracciata al suo collo, lasciando lì… solo nei suoi pensieri a tu per tu con il silenzio nella stanza che si faceva sempre più pesante…