E un sabato sera, io stanotte sarò innegabilmente la sua schiava, perché lui ha stabilito in tal modo. E’ il possessore, il detentore del mio corpo, delle mie ore, dei miei pensieri. Mi sono attaccata alla speranza di poter avere il suo amore, così come una liana che pende da un albero in mezzo alla foresta, mi sono affezionata e incollata a lui, anche se ama con tutta l’anima la sua donna, perché lo sento da come me ne parla, eppure ha disposto pacatamente di tradirla con me. Per me è inganno, un tradimento vero e proprio, per lui viceversa è soltanto un modo di confermare avvalorando il suo potere su di me, poiché userà il mio amore sottomettendomi per godere. Stanotte cambierò nome, identità, vestiti, non sarò più Rossana, ma unicamente la sua indiscussa serva. Lui ha deciso di portarmi per festeggiare il nostro primo incontro, perché è già trascorso più d’un mese da quando abbiamo cominciato a chattare in un club di scambio. Dapprima un gioco, soltanto uno svago per sfuggire sgattaiolando alla noia delle serate trascorse da sola in attesa del rientro di Carlo dal lavoro. Una tastiera, un monitor, un modem, una stanza in cui rinchiudermi, a tarda sera o alle prime luci della mattina. Mi chiedo se sia la solitudine, la noia, la voglia di trasgredire o di disubbidire, oppure quella sensazione di sentire ancora. Questo è stato per me il cercarlo in rete, l’inseguire l’amore, per il fatto che il suo annuncio rivelava:
‘Io sono il tuo padrone. Imparerai a conoscerti. Non illuderti, la tua mente sarà mia. E la scoperò’.
Io non credevo che ne sarei rimasta così colpita, dal momento che io cercavo qualcuno con cui parlare, che non fossero le amiche con i loro problemi coniugali e invece mi sono ritrovata schiava nella notte. Lui era diverso, io captavo addosso la solitudine, l’emarginazione d’un rapporto matrimoniale ormai consolidato, la netta lontananza di non avvertire più l’amore, di non sentirmi più ambita né desiderata né richiesta. Mi sono ritrovata in una grande stanza: la chat, dove tante persone dialogavano d’amore, d’amicizia, dove si cercava disperatamente se stessi colloquiando senza freni inibitori con altri che ricercano a loro volta sé stessi. Ho scoperto che potevo sognare amori, creare illusioni, nascere e morire reinventandomi ogni volta facendo finta d’essere di frequente diversa. Mi sono innamorata del sogno, del vuoto, delle parole, dell’assenza d’un corpo. Per mio marito io ero diventata unicamente una mera abitudine che scivolava via insieme alle giornate pressappoco tutte uguali. Lui invece era lì, pronto per colpire il mio corpo, ogni singola cellula con le sue parole. Come un camaleonte, invero, m’ha colpito con la sua lingua schiaffeggiandomi sonoramente, penetrando nei miei sogni, io in quell’occasione ho risposto proprio al suo annuncio che impersonava il testo seguente:
‘Ho quarantacinque anni, capelli e occhi scuri. Sono laureato e di bella presenza. Sono dotato d’una spiccata fantasia. Sono sposato e non cerco complicazioni sentimentali. Adoro dominare sia psicologicamente che fisicamente, ma in maniera sottile ed intelligente. Sono il Padrone dei tuoi desideri. Aspetto la tua risposta, ora, perché so già che mi desideri’.
Io ho risposto non sapendo il perché. Ho cominciato a vibrare come una corda di violino in attesa che mi rispondesse. Lui l’ha fatto dopo più di quattro settimane dal mio primo messaggio. Ho marchiato questa data nel cuore, un bel sigillo. Gli avevo scritto chiedendomi di spiegarmi che cosa intendesse dire il suo annuncio, perché mai cercava una schiava per soddisfare le sue fantasie, pur dicendo in conclusione d’amare intensamente la sua compagna. Io amavo mio marito, ma stavo anche cercando un qualcosa che risvegliasse il mio desiderio dopo anni di routine, volevo nuovamente sentire lo sguardo d’un uomo scivolarmi addosso, cogliere il desiderio d’un uomo crescere nei calzoni, Padrone con una sola frase mi colpì. Non rispose giammai verso a quello che volevo sentirmi dire, in quanto le sue risposte erano fredde, meccaniche e secche, perché erano ordini, richieste, mai parole sentite con il cuore.
‘Preparati, so che cosa vuoi, rispondimi, non mi cercare, non voglio ricevere messaggi con un’intestazione banale. Toccati, saprai chi dovrai essere al momento opportuno. Verrai da me, prenderai il treno, io t’aspetterò alla stazione, ti farai scopare, godrai, io t’userò, mi desidererai con dolore, dopo te ne andrai’.
Per parecchio tempo restavo con lo sguardo fisso sullo schermo acceso del computer, cercando di carpire qualche informazione dalla sua pagina, rovistando di vedere nelle sue brevi risposte quello che volevo sentirmi dire. Che sarei stata la sua schiava d’amore. Ma lui era quello che volevo che fosse nei miei sogni, io mi ero innamorata non del corpo, bensì delle parole, dell’assenza, perché era quello che inconsciamente io avevo sempre ambito e bramato, un uomo che guidasse il mio desiderio, che mi facesse sua in ogni modo, un maschio che mi liberasse sgomberandomi dalla coscienza di dover decidere. Io credevo che due corpi facessero un amore, ciononostante ho afferrato soltanto dopo, capendo che la differenza tra amare e scopare per un uomo risiede nella mattina. L’uomo che ti scopa non ha voglia del bacio appena sveglio, di guardarsi insieme negli occhi assonnati, di sentirti vicina, vuole solamente che la femmina nel suo letto con il suo nome qualsiasi, con il suo corpo nudo, con il suo odore, sparisca per cambiare le lenzuola e riappropriarsi dei suoi spazi. Io credevo che diventando schiava sarei riuscita ad avere anche il suo amore, ero convinta di riuscire a incatenarlo a me.
‘Quanti cuori hai scopato?’ – gli ho scritto una volta.
Io attendevo un cenno del suo cuore, un battito d’emozione, ma non potevo avere risposte da lui, non dovevo pretenderle, dovevo esclusivamente aspettarlo, desiderarlo, bramarlo. Io avevo bisogno di sentire la mia carne penetrata dalla sua, di sentirmi parte del suo corpo, succhiando la sua saliva, desiderando i suoi pensieri, mentre avevo solo un indirizzo di posta elettronica e un nome. Padrone. Come una foglia lui mi stava accartocciando il cuore, mi stava strappando dall’albero della normalità per sottomettermi esponendomi ai suoi desideri. Io mi sentivo così come una radice strappata dalla terra, da una mano inesperta e trapiantata a caso in un terreno qualsiasi, perché non riuscivo a trovare il nutrimento nell’amore per me stessa. Continuavo a fare l’amore con mio marito due volte alla settimana, ma dentro pensavo già a lui. I movimenti, gli approcci di mio marito ormai li conoscevo a memoria, perché cominciava a sfiorarmi i capelli quando aveva voglia di me, scendeva poi lungo il collo soffermandosi per baciarlo con la lingua, infine giungeva al seno. Mi prendeva il seno in una mano e lo solleticava, tenuto conto che prima mi piaceva tanto, adesso mi dava fastidio. Mi procurava un certo malessere il suo desiderio, non avevo voglia di lui, tuttavia cercavo d’immaginare che potesse essere Padrone nel toccarmi. Io agognavo di concentrare il piacere in ogni angolo del corpo, per far credere a mio marito che godevo ancora delle sue carezze, malgrado ciò pensavo all’altro. Rimuginavo come Padrone avrebbe baciato il mio seno succhiando i capezzoli tra i denti, stringendoli, mordendoli, facendomi sentire prima uno strappo acuto, un dolore fitto e poi un soave piacere, perché Padrone non m’avrebbe di certo accarezzato, m’avrebbe preso.
Mio marito continuava la sua mansione d’amore, m’apriva la vestaglia, m’afferrava per mano conducendomi sul letto. Perché sempre nel letto? Perché non farlo subito lì davanti al televisore o sul tavolo apparecchiato, lasciando che i corpi si mischiassero con gli odori dei cibi appena consumati? Mi portava a letto al buio, come se non avesse più bisogno di vedere il mio corpo, mi spogliava delicatamente così come si spoglia una bambola e si metteva sopra di me. Quanto durava il tutto? Io sentivo sciogliersi dentro di me lentamente gli umori del piacere, lui credeva che venissimo insieme, ma io pensavo all’altro e non sentivo il peso del suo corpo sul mio, non captavo le sue spinte, non percepivo il suo odore. Io volevo con tutta me stessa godere con lui, sentire ancora il nostro piacere mischiarsi, ma mio marito m’amava. Non mi scopava, faceva l’amore con me, ciò nonostante non mi desiderasse più come un tempo, mentre io volevo essere scopata, fottuta, chiavata. Io sognavo Padrone, non m’importava sapere chi fosse Padrone, volevo solo possedere il suo cuore, così come lui voleva padroneggiare la mia mente, scopare la mia mente occupandola, rendermi talmente serva dei suoi desideri da non poter dire di no a qualsiasi sua richiesta. In verità lui possedeva già la mia mente, peraltro io non lo sapevo.
Dopo un po’ di tempo lo riacciuffo nella chat, mi chiama in privato e cerca di me:
‘Rossana, quanti cuori hai scopato, quanti? Dai, vieni, prendilo in bocca, ti piace godere, ancora, sì, sei una piccola troia, spingi puttanella, sto per venire, hai detto alle tue donne, terminando con un ti amo?’.
Io cercavo una risposta, al contrario ottenevo degli ordini. Non mi risponde, starà lì chissà dove leggendo le mie domande, ma non mi risponde. E’ davanti allo schermo del computer, in ufficio forse, mentre i colleghi lavorano o è a casa mentre la compagna cucina.
Lui replica:
‘Preparati, questo è il primo ordine. Disponi una tua foto sdraiata sul letto languidamente abbandonato, con il corpo sulle coperte e la descrizione delle tue fantasie’.
Nessuno prima d’ora m’aveva mai chiesto di descrivere che cosa sognavo quando mi masturbavo. La cosa in quell’istante m’infastidì indisponendomi, eppure il pensiero di riuscire a eccitarlo con le mie fantasie, l’immaginazione di farlo godere con le parole mi esplose nel cervello. Nessuno, infatti, m’aveva sollecitato d’essere me stessa.
‘Perché proprio io?’ – gli chiesi incuriosita.
‘Perché sono il tuo padrone e farai ciò che vorrò, anche quello che non vorrai, vero piccola? Scriverò sul tuo corpo parole d’amore, le inciderò fino a non lasciare libero neppure un centimetro di pelle. Sono silenziosamente nascosto alla vita, ma dentro, dentro di me c’è totale passione’ – riscrisse lui.
‘Io manipolerò questa passione facendola emergere oppure reprimendola secondo i miei desideri. Sarai tu a decidere d’esplodere, hai già perso metà delle sensazioni che potrai provare. Hai dimenticato una cosa fondamentale: rendere succube la tua mente, distruggerla e ricostruirla a mio piacimento. Esattamente questo farò con te. Io t’userò e ti farò sentire usata, ti ridurrai a essere un semplice strumento di piacere e sarà proprio questa la fonte del tuo piacere. Voglio te, le tue emozioni, i tuoi sentimenti, la tua mente, il tuo corpo’.
Io aspetto, lui non mi risponde da oltre dieci giorni, sa molto bene che non riesco a fare altro che pensare a lui. Io m’alzo la mattina, mi faccio la doccia, per la prima volta guardo il mio corpo allo specchio, lo sfioro delicatamente, lo massaggio con creme profumate soltanto per lui. Sono in effetti gesti quotidiani, pure usuali, questa volta li ripeto per lui e mi sento diversa:
‘Lavati come se io ti toccassi, fa’ l’amore con me mentalmente, passati sopra la schiuma al sandalo e comincia a massaggiarti il seno. Lo sentirai indurirsi nella mia mano, i capezzoli diventeranno rossi, appuntiti, toccandoli ti faranno male. Pizzicali, stringili, sono i miei denti che li succhiano, stringili più forte. Fa’ così’.
Io resto più di un’ora nella doccia, fino a quando l’acqua non si raffredda e il vapore fa mancare l’aria. Entro nella cabina, comincio a bagnarmi i capelli, con un gesto della mano li tiro all’indietro e affondo il viso sotto il getto dell’acqua calda. Sento piccole gocce d’acqua penetrarmi nel naso e scivolare sulle labbra e sul collo, per poi colare lungo il corpo, dopo agguanto la spugna, ci passo sopra la doccia schiuma al sandalo che lui m’ha chiesto d’usare e comincio a massaggiarmi il seno. Lo sento inturgidirsi fra le mani, i capezzoli diventano appuntiti, toccandoli mi fanno male. Pizzicali, stringili, sono i miei denti che li succhiano, stringili più forte m’aveva scritto suggerendomi che dovevo fare in quel modo. Io non mi sono mai sentita così bella.
‘Sei sola dentro la doccia, ma è come se io fosse con te, come se tu ne cogliessi l’odore, come se la cabina della doccia fosse troppo stretta per noi due. Immagino i contorni dei nostri corpi, bagnati, sudati, vogliosi. Appoggi la schiena al vetro della doccia, ti senti girare la testa, senti la voglia del mio corpo prendere il sopravvento. Mi desideri. Con la spugna scendi più giù, sfiori l’ombelico, poi le cosce e le natiche, ti ritrovi con una mano in mezzo alle gambe, allarghi le cosce, senti il clitoride pulsare. Con una mano allarghi la fica e c’infili dentro un dito, prima delicatamente, sei bagnata d’acqua e di fluidi, sei bagnata dal desiderio di me, del tuo padrone. Hai in mente il sesso, nient’altro, hai intesta il mio sesso mentre io ti penetro con un dito, in profondità fino a sentirmi. Ti gira la testa, ti manca il respiro, ma continui ad affondare il dito dentro il tuo ventre, senti la fica dolerti, ti mordi le labbra per non gridare di piacere, immagini la mia bocca morderti una spalla. Hai un amante, mi ripeti, ho un amante che vuole scoparmi, ti senti così bella mentre godo masturbandomi. Ed è così forte il piacere che non t’accorgi che l’acqua è diventata fredda, hai i brividi di freddo e di piacere, quando apro la cabina della doccia e vedo il tuo corpo riflettersi nello specchio. Non sei mai stata così bella, non sei mai stata così viva’.
Io dovevo conoscere Padrone, perché questo era il mio pensiero fisso. Dovevo provare a me stessa d’essere capace ancora di farmi scopare, in quanto non mi bastava più essere semplicemente amata. La mia mente non aspirava ad altro che conoscere Padrone, io mi toccavo, mi lasciavo toccare, godevo con Carlo perché godevo di Padrone. Il respiro di Carlo, il suo odore, il suo modo d’amarmi si confondeva con quello che immaginavo di Padrone. Il sangue, le secrezioni, la saliva, gli odori le pulsazioni del cuore tutto mi riportava a Padrone.
Dopo una giornata alquanto affaccendata attendo che mio marito vada a letto, lui ultimamente si è accorto che sono sempre più distratta del solito, ma pensa sia solamente un po’ di stanchezza e di malumore. In seguito mi collego e lo cerco, inviandogli un messaggio su ICQ:
‘Tu potresti essere padrone del mio corpo, ma io potrei succhiarti l’anima’. Lui è in linea, ecco la letterina gialla che lampeggia, al momento sento un fremito forte al cuore:
‘Il tempo farà giustizia di questa frase assegnando ad ognuno il ruolo che gli compete. Per ora, quello che voglio è scopare la tua mente. Qualunque dolore fisico che proverai, sarà tanto più acuto quanto più sarà coinvolta la tua mente. E tu sei già coinvolta. T’innamorerai di me. Sono certo che farò leva anche su questo tuo sentimento, per annientarti totalmente e fare di te la mia troia. Quello che già sei’.
‘Dove sei?’ – gli rispondo io invano, anche perché non m’aspetto che sia in linea, che mi risponda subito.
‘Sono qui, raccontami che cos’hai fatto. Hai fatto l’amore con tuo marito pensando a me? Ti sei fatta scopare da lui nel solito letto o l’hai provocato? Hai voglia di fare l’amore, vero, d’essere scopata senza tregua, con furia o lentamente? Rossana, io voglio la tua mente, voglio scopare la tua mente e fottere il tuo corpo. Voglio vederti. Incontriamoci, segui le mie istruzioni’.
‘Aspettami’ – però lui non mi risponde più. Segue un allegato con un file dove mi dà le indicazioni per raggiungerlo. E’ arrivato il momento, l’appuntamento è fissato all’Hotel Splendor a Teramo. La stanza sarà la numero tredici, troverai ciò che desideri, ovvero me’.
Lui m’ha trascinato là, io lasciato che mi trainasse nel suo desiderio. Ho preso il treno dalla stazione di Roma e ho seguito le sue indicazioni, i suoi ordini. Lui m’avrebbe aspettato all’hotel Splendor di Teramo. Tutto era già stato prenotato e pagato, il portiere dell’albergo m’ha sorriso come se sapesse che io ero una delle tante che lui aveva condotto lì. Ero andata dal parrucchiere, avevo ravvivato il colore nero dei miei capelli, avevo laccato le unghie di mani e piedi d’un colore rosso accesso e preparato la biancheria intima. Lui m’aveva persino intimato come dovevo vestirmi, sul letto m’aveva preparato quello che dovevo indossare, non avevo mai avuto dei regali così. Non mi ero mai sentita così. Un tubino argentato lucido come la carta stagnola, appariscente, attillato, niente reggiseno, un perizoma nero, un paio di calze nere velate con la riga dietro, una guerriere nera, trasparente, le scarpe nere con un tacco alto argentato e una piccola cinta a catenella intorno la vita con un anello che pendeva. Quella era stata la cosa che m’aveva fatto acquistare, mandandomi a comprarla in un negozio d’intimo di Roma, dove avevo dovuto subire lo sguardo insistente del commesso che mi aiutava a provarla e a stringerla in vita. Lui sapeva per quale ragione sarebbe servita.
In quel momento mi sono guardata allo specchio, non ero più Rossana, ero un’entità diversa, ero l’immagine riflessa di quello che avrei voluto essere: una completa e fiera femmina in calore. Sul letto c’era anche una chiave, era della stanza attigua, lui m’aspettava lì al buio. Sentivo il mio respiro affannoso rimbombarmi nelle orecchie, sentivo l’odore del mio sudore appiccicarmi i vestiti, cercavo d’immaginare come potesse essere fisicamente, forse non importava, perché io lì semplicemente per me stessa, dovevo soltanto aprire la porta. Non avevo più pensieri, solamente voglia di scappare, ma il desiderio di poter finalmente sentire il suo odore, baciare la sua pelle, scoprire i suoi occhi era più forte che qualsiasi paura. Ho cercato a tentoni l’interruttore della luce, mi sentivo come se fossi cieca, giacché mi trovavo in una stanza sconosciuta, in una città non mia, in una stanza d’albergo dove tutto odorava di disinfettante e di polvere. Ero cieca, toccavo i mobili cercando d’orientarmi, cercando di seguire la sua voce per raggiungerlo. Lui era lì:
‘Non accendere la luce, ascolta la mia voce, lasciati guidare. Io sono il tuo padrone’ – m’ha sussurrato in un orecchio bloccandomi la mano prima che toccassi l’interruttore.
La sua stretta era forte, con due dita riusciva quasi a bloccarmi il polso, nel cervello sentivo pulsare le vene, il suo profumo mi è penetrato nel naso insieme alla sua lingua che mi baciava il collo. Ho avuto paura che le sue mani mi stringessero il collo, stavo per fare l’amore con uno sconosciuto, con il mio amante virtuale, ma lui amabilmente m’ha sussurrato:
‘Vieni Rossana, fammi vedere come ti sei vestita’.
Dopo m’ha fatto avvicinare al davanzale della finestra, ha acceso una luce dietro le mie spalle. Il contorno del mio corpo si è riflesso sul vetro della finestra, era il contorno d’una femmina in calore, successivamente m’ha fatto piegare e m’ha sollevato la gonna tastandomi i glutei:
‘E’ stata brava la mia serva, sei già bagnata vero Rossana? Fammi sentire la fica umida’.
Lo ero eccome, ero bagnata, terrorizzata all’idea di non piacergli. Io ero Rossana e lui Padrone. Due anime che si erano incontrate per una notte sola o per sempre dentro i sogni:
‘Adesso appoggia le mani sul davanzale, piegati, mostrami le natiche, sì, così da brava cucciola’.
Con una mano m’ha fatto aderire completamente al davanzale quando un improvviso dolore ha bloccato il mio respiro, tranciando di netto ogni pensiero. Ha cominciato a colpirmi le natiche con una specie di paletta di legno piatta, io ho cercato d’urlare, ma lui con un gesto della mano m’ha rivoltato il viso infilandomi la lingua in bocca succhiandomi i pensieri e il cuore, non permettendomi altro che di respirare. Era quello che volevo. Sentirlo.
‘Ti ricordi? Qualunque dolore fisico che proverai sarà tanto più acuto quanto più sarà coinvolta la tua mente. E’ questo che intendevo. Stai cominciando a godere. Non appena il tuo sedere sarà sufficientemente rosso e gonfio ci passerò la lingua sopra, leccherò il tuo buchetto nero, lo riempirò di saliva e ti prenderò. Ora, qui, aperta davanti ai miei occhi, la catenella che ho legato in vita adesso titilla, quello è il simbolo del suo potere su di me’.
Io stavo già godendo, volevo gridare, ma il mio corpo si ribellava, sentivo il dolore in ogni piega del corpo, delle scosse che sconquassavano il mio corpo a ogni colpo, ma contemporaneamente cercavo la sua bocca, desideravo farmi penetrare dal suo odore in ogni singola cellula ed ero bagnata. Non ero mai stata sodomizzata, la paura m’attanagliava rendendomi incapace di muovermi, ma il desiderio di sentirlo dentro di me, di provare un desiderio ancora più forte mi rendeva conciliante e docile. Lui era adesso la mia liana, lui era la liana sulla quale io mi ero attaccata per desiderare. A lui non importava nulla, non di me almeno. Voleva solo vincere, dominare il corpo e soggiogare la mente. Giocava. Io non ero mai stata così desiderosa di cazzo, mio marito mi amava, ma non sentiva le mie esigenze, ero sua moglie, non più la sua donna. Con Padrone invece più sentivo il dolore arrivare al cervello e più una scossa elettrica mi fece sobbalzare fino dentro il cuore. Era desiderio. Lo volevo. Ero andata lì per quello. Per il suo modo di farmi desiderare il cazzo. Non conoscevo nulla di lui, al di fuori dei messaggi di posta elettronica che c’eravamo scambiati, ma sentivo già d’amarlo con tutto il corpo. Stavo vivendo un amore: quello per me stessa e per il mio corpo. Il mio corpo sembrava liquefarsi sotto il desiderio, avvertivo spiccatamente il dolore dei colpi sulle natiche, ma anche un bruciore in mezzo alle gambe e la voglia d’essere presa lì, subito, sul davanzale di quella finestra. Era come se fossi diventata un’enorme fica pulsante. Tutto il mio corpo non desiderava altro che lui:
‘Ora sei pronta. Senti le natiche bruciarti, vorresti che ci passassi la lingua sopra, vero? Piegati ancora di più sul davanzale e lascia abbandonate le braccia lungo il corpo. Ti prenderò così’.
‘Fammi girare, voglio vedere come sei fatto. Voglio il tuo viso, voglio vedere i tuoi occhi’ – replicai io entusiasmata e infervorata.
‘Non mi sembra d’averti mai chiesto che cosa vuoi e sai il perché? Non m’importa. Ti distruggerò psicologicamente, per il fatto che tutte le tue certezze e la tua sicurezza svaniranno in un attimo e potrai sentire quel dolore. Il piacere della sottomissione è un dolore assurdamente e incredibilmente dolce. Ecco lo senti? Sto per entrarti dentro. Io scoperò la tua mente e ti sentirò: gemere, sentire ancora le spinte. Dentro. Io sono il tuo Padrone. Nient’altro’.
Lui si mette un dito in bocca, lo bagna di saliva e me l’infila nel culo per allargarlo prima di prendermi. Spinge dentro con forza, quella che sperimento è una sensazione bislacca e insolita. Sento l’umidore della sua saliva dentro di me e allo stesso tempo i muscoli dell’ano che si stringono contro il suo dito allargandosi in seguito per accoglierlo maggiormente. Io non so se sia precisamente desiderio, perché non ho mai provato una sensazione simile. Lui spinge ancora il dito più in profondità, in quel frangente mi pare di raggiungere una consapevolezza nuova del mio corpo. Adesso son aperta al suo desiderio, tenuto conto che non m’accorgo quasi quando sfila il dito, perché sono bagnata anche dietro. Percepisco qualcosa che cerca d’entrare, che spinge prepotentemente i miei fianchi, al momento mi sta sodomizzando. All’inizio sembra che l’ano debba lacerarsi, io cerco di stringere i glutei per impedirgli d’entrare, di farmi male, ma ecco che scivola dentro di me, sento il sudore colarmi sulla schiena, dei brividi freddi, un crampo allo stomaco, ecco che scivola ancora, lui urla invasato ti fotto, sono aperta ora, sento le sue palle sbattermi sulle cosce mentre il suo cazzo è dentro di me, in profondità, sento le ovaie dolermi, ingrossarsi, sento il suo cazzo dentro e fuori pompando calore e piacere, sennonché lui si stacca all’improvviso lasciandomi smarrita:
‘Adesso succhiamelo’ – mi ordina.
Io cerco di rimettermi in piedi, sento i glutei bruciare e i muscoli dell’ano pulsare infiammati, sono golosa del suo cazzo, perché lo desidero come se volessi mangiarlo. Vorrei sentirlo dentro di me, allargare la fica con le mani, appoggiare il sedere sul davanzale della finestra e dirgli prendimi, ti voglio dentro, voglio sentirmi piena di te. Padrone in maniera insperata mi legge nel pensiero:
‘Non ancora, voglio che me lo lecchi fino all’asta cominciando dalle palle, voglio penetrarti in gola con il mio cazzo, ubbidisci’.
Io mi giro trovandomi davanti al suo desiderio, è d’un colore rosso acceso, con la punta del glande congestionata. Dio, che voglia che ho di sentire il suo cazzo appassionato tra le mie labbra. M’inginocchio davanti a lui, però con una mano m’impedisce di sollevare la faccia per guardarlo, immagino che i suoi occhi siano neri e penetranti, due piccoli nei luccicanti di desiderio con le pupille dilatate, ma tanto non ho bisogno di sapere com’è fatto, io lo amo già semplicemente desiderandolo e comincio a leccargli le palle, le prendo in bocca come due piccole mele. Il suo cazzo è davanti al mio viso, risalgo con la lingua lungo l’asta, indugio sopra la vena turgida, pulsa, vibra dentro la mia bocca:
‘Non ti fermare, non ora, prendilo in bocca, stringilo con i denti, che brava la mia piccola puttanella’.
Stavo diventando un’altra persona, per qualche ora ero chiunque io volessi essere, adesso ero una femmina. Apro la bocca e cerco d’ingoiarlo tutto, devo fargli sentire che sono come lui mi vuole. Sono la sua serva. Come una sciocca mentre succhio il suo cazzo penso al rossetto rosso che sulle mie labbra si sta sbavando, indugio con gli occhi sul suo membro, è rosso di desiderio e di rossetto, anche il suo membro ha un buon sapore, tutto il suo corpo ha un sapore di sesso. O forse è solo il mio desiderio. In quel momento non volevo essere la sua schiava, stava avendo me, volevo essere io la più forte, io ero la padrona del gioco, padrona di rallentare o d’accelerare il suo orgasmo. In quel momento desideravo solo sentire la sua pelle sfiorare la mia, le sue labbra baciare le mie, il suo odore confondersi con il mio, perché ero tutta un pulsare di sensazioni che mi facevano tremare con una foglia che il vento lacera e trascina. Ero trascinata dall’amore, di lui conoscevo unicamente l’odore assieme al desiderio d’annullarmi. Il tempo non scandisce i miei pensieri, non so se sono passati minuti o ore da quando ho cominciato a succhiare il suo cazzo. Sento le labbra intorpidite, ma voglio farlo godere nella mia bocca, perché è come se godesse dentro il mio cuore. Le labbra socchiuse assomigliano a un cuore, pulsano come un cuore, bramano come un cuore, sentono l’amore e il desiderio con la stessa intensità d’un cuore. Io ero bocca e cuore. In quel momento. Uniti. Bruscamente avverto un rantolo soffocato:
‘Sì, sto per sborrare, mi stai succhiando l’anima piccola, sei davvero deliziosa’.
Un getto tiepido e aspro m’invade la gola, scende tra le mie labbra, mi cola sul seno. Lui mi ha sborrato in bocca, il suo desiderio, parte del suo corpo, ora è dentro di me. Ora finalmente posso guardare i suoi occhi, vedere se è soddisfatto di me. Non era però come me lo avevo immaginato per tutti questi giorni, ma non m’importava. Lui era il mio Padrone, io avevo scopato il suo cazzo. Lui è alto, con le spalle tornite da nuotatore, i capelli sono neri e leggermente brizzolati, tirati all’indietro con il gel e due occhi ingenui. Tondi, grandi, neri, contrastanti con il suo modo d’essere. Non ho il tempo di mettere a fuoco i pensieri né di chiedergli se anch’io gli piaccio, se sono stata come lui mi desiderava, perché speditamente m’intima:
‘Sistemati, dobbiamo uscire, ci aspettano’.
Percorriamo pochi chilometri d’automobile sino a raggiungere la periferia. Stavamo uscendo dalla città, mi sentivo inquieta, avevo scelto d’uscire dalla mia solita vita, ma ora non sapevo cosa pensare. Alla periferia di Teramo in una stradina buia, in mezzo alla campagna, tra divani e materassi abbandonati, mattoni gettati, water, scatoloni, preservativi usati, ci troviamo di fronte a un’enorme villa isolata tra verdi prati ben curati, circondata da un alto muro e da un cancello in legno scuro. Qui le donne vendono il cuore solo per il piacere del corpo, gli uomini dimenticano di essere mariti o compagni e godono, mi fa notare astutamente e finemente lui:
‘Voglio andare via, so già che non mi piacerà’ – ribatto fermamente io abbozzando una serrata difesa.
‘No, tesoro, tu sei qui per questo, sei la mia schiava, questo è il posto più indicato per te. Voglio sentirti godere, voglio vederti mentre fai godere. Tu sei mia e di chiunque io voglia, non dimenticarlo. Entra’.
Un grande atrio circondato da grate di legno con finti fiori di lilla che scendevano dalle pareti conduceva alla porta della villa. Sembrava d’entrare in una discoteca, ma nell’ingresso c’era un silenzio ovattato, direi signorile. Due ragazzi ci hanno chiesto se volevamo lasciare i cappotti al guardaroba, io mi sentivo così nuda e vulnerabile che ho rifiutato chiudendomi ancora di più il cappotto, ma Padrone con un gesto me l’ha sbottonato rapidamente infilandomi una mano tra le cosce. Avevo i vestiti incollati al corpo per la paura e la pelle macchiata dal desiderio di Padrone, che poche ore prima mi era scivolato addosso. Due ragazze con un trucco appariscente, con i capelli biondi vestite di nero e con una collana dorata con un pendente a forma di cerchio ci attendevano al bancone:
‘Benvenuti nel nostro club, mi servono i vostri documenti e dei soprannomi che userete per chiamarvi all’interno del locale. Qui nessuno ha più un’identità, perché potete essere chi volete una volta entrati. Leggete attentamente le istruzioni di comportamento: è la donna che decide e dirige il gioco. Al piano bar sono a vostra disposizione aperitivi e cocktail. Prego. Buona serata’.
Professionalità e cortesia. Ho bisogno di bere, ghiaccio tanto ghiaccio, ho la gola in fiamme, ho bisogno di stordirmi ancora di più. Due ragazzi ci hanno aperto un’altra porta introducendoci nel locale. Tutto è in penombra, gli occhi fanno difficoltà ad abituarsi, io afferro la mano di Padrone stringendogliela, perché ho bisogno di sentirmi rassicurata:
‘Non preoccuparti mia piccola Rossana, vieni, seguimi’.
Io sto per tradire me stessa. Non mi riconosco più. Ho paura, ma ho voglia di cazzo, il pensiero d’entrare in un luogo dove l’amore è soltanto desiderio del corpo mi terrorizza e mi eccita insieme. Sto per godere del mio corpo nella sfrenata passione del sesso, sto per tradire l’affetto ben rodato d’un un rapporto tranquillo. Padrone è già stato lì, forse ci porta le sue amanti, forse annienta completamente la loro voglia d’essere amanti, per diventare solo schiavo del suo desiderio, chissà. Ora ci sono io, freddo e ghiaccio, sento freddo dentro, perché ghiacciata è la bibita che sorseggio, una vodka alla pesca. Io l’ingoio giù in un sol fiato, sento un calore bruciarmi lo stomaco, tuttavia mi sento meglio. Stanotte sono la sua serva, la sua amante per godere. L’atrio della villa s’apre con un enorme salone isolato dal resto del locale da finte palme, cespugli di plastica, statue romane, piccoli ruscelletti e ponticelli di legno. E’ la riproduzione d’un giardino interno con le statue di Afrodite, Eros, Venere e Psiche, da stagliarsi con il loro bianco gessato anche se il salone è in penombra. Le pareti sono dipinte con scene mitologiche, rappresentano tutte scene d’amore. In una c’è un satiro che s’accoppia con una ninfa, lui ha gli occhi rivolti all’indietro stravolto dal piacere, lei è languidamente appoggiata sull’erba.
Intorno a me c’è tanta gente, voci confuse parlottano, ma non riesco a distinguerli che cosa tramano, la musica di sottofondo è molto alta, tutto è confuso, poco illuminato nascosto, silenzioso. Dal salone s’estendono una serie di stanze, sono impersonali, una in fila all’altra, tutte uguali, come le stanze d’albergo, con i letti duri con una coperta scura, i muletti simili a quelli delle uscite d’emergenza, coperti da foulard per lasciare che filtri solamente una luce opaca e tantissimi fazzoletti, fazzoletti in ogni stanza ordinatamente appoggiati sui comodini. Padrone, tenendomi stretta la mano senza parlare mi conduce per visitare ogni stanza, lui si muove agilmente al buio. Alcune stanze sono vuote, in altre ci sono coppie che parlano o bevono qualcosa. Attraversiamo un corridoio completamente buio, è molto stretto, mi pare quasi di dover camminare strisciando lungo le pareti. In fondo c’è qualcuno appoggiato alle pareti, sento il suo respiro, una mano sconosciuta cerca di sfiorarmi, Padrone si ferma e la lascia indugiare sul mio corpo. La mano mi scivola sui vestiti, non mi tasta, scivola solamente via sul mio corpo senz’indugiare:
‘Appoggiati al muro’ – è la prima frase che Padrone mi rivolge da quando siamo entrati.
Me lo sussurra, non lo ordina, io mi lascio trascinare, la vodka che ho bevuto mi fa sentire euforica, desiderabile, bella, disponibile. Sono la schiava del suo desiderio, sono Rossana, il suo nettare preferito. Io m’appoggio al muro, Padrone mi solleva leggermente la gonna, m’allarga le gambe infilandoci in mezzo una delle sue, i nostri corpi assumono la forma di una x, io lascio cadere le braccia lungo il corpo facendo scivolare il desiderio lungo ogni cellula del corpo. E’ buio, voglio vivere ciò che sorge spontaneamente da me: desiderio. Padrone mi fa vibrare. Perché è tanto difficile amarsi? Perché Carlo non si è mai accorto di me? O forse mi ama, ma mi tradisce con altre, realizza le sue fantasie con altre come sto facendo io? Padrone è davanti a me, m’afferra un seno palpandolo, facendolo scivolare fuori dal vestito. Il tubino è elasticizzato, le forme del mio corpo risaltano esplodendo. Chissà se anche il mio cuore ha preso una forma? Lo sento pulsare nelle tempie. Niente è in ordine dentro di me né la coscienza né il desiderio. E’ tutto confuso, rivoltato, mi sento osservata, sento i respiri di altre persone accanto a noi, i loro profumi, è tutto un odore mischiato nauseante, di profumi, liquori, di creme, di dopobarba, di shampoo insieme. La pulizia del desiderio. Forse nel corridoio ci sono uomini e donne che s’annusano l’un l’altro sfiorandosi. Non m’importa sono qui per godere, Padrone mi offre:
‘Tu sei mia e di chiunque io voglia. Ti amo. In questo momento. Ti amo donna’.
Una bocca afferra il mio seno e lo succhia delicatamente, ha labbra morbide, io socchiudo gli occhi per assaporare il piacere, anche se il buio m’impedisce di vedere. Sono labbra femminili, le sento. Sono le labbra che ho sempre immaginato, soffici, premurose, poiché mi succhiano, non mi fanno male, sanno come leccare. Sento, odoro solo i corpi, sono in mezzo a loro, il muro m’impedisce di cadere. Una mano forse la stessa che aveva cominciato a sfiorarmi m’allarga le gambe, m’accarezza le cosce, risale verso l’inguine, io cerco di spostarmi, sento un profumo femminile penetrarmi le narici, non voglio essere toccata da una donna, non ancora, Padrone mi è accanto, non deve temere e m’aiuta a sfilare le mutandine. Sento l’odore del mio corpo, non posso negare a me stessa il desiderio: sono bagnata, sudata, eccitata. Un dito cerca d’insinuarsi dentro di me, mi solletica il clitoride, entra dentro, scivola dentro non riuscendo a soffocare un gemito. Sento un qualcosa in mezzo alle gambe, lo desidero, afferro al buio il membro di qualcuno, è bollente, duro, vibra. E’ Padrone, solo lui può prendermi. – tu sei mia e di chiunque io voglia, lasciati andare, fatti toccare, annusare, leccare, ma solo io ti prenderò. Ho le gambe spalancate, l’elastico delle calze autoreggenti mi stringe le cosce, le segna, le evidenzia. E’ buio, nessun può vedere nulla, solamente sentire. Fatti guardare, toccare, apri le gambe, ti voglio prendere, ora in piedi. Il suo cazzo mi penetra senza dover allargare la bocca del desiderio, sono completamente arrendevole.
Bastano poche spinte e mi sento sciogliere. Vorrei gridare che lo amo, lui lo sa che sono cosi, ma non gl’importa, una lingua mi penetra in bocca, non è la sua, ha il sapore d’un sigaro, la saliva m’impasta la bocca, mentre altre mani m’accarezzano. Due, tre persone, non so, sento mani dappertutto, forse sono solo io che amplifico le sensazioni, il mio corpo brucia, avvampa, arde, ma dentro, dentro di me c’è’ solo Padrone. Un getto caldo, libero e denso mi riempie quasi subito. Mi tremano le gambe, non mi reggo in piedi. Ghiaccio, ho bisogno di bere, ancora. Attraversiamo il corridoio, adesso m’accorgo della musica, delle persone che chiacchierano, ballano, sorridono, s’incontrano, si sfiorano e si perdono. Nel vuoto dei loro corpi e della solitudine. Ora noto la solitudine, tanto abbandono Un isolamento rumoroso quello che si consuma sulla pista della discoteca, un’emarginazione silenziosa di corpi che si consuma nelle stanze separate. Solitudine dell’ometto con la pancetta cinquantenne, pochi capelli che si butta in pista per farsi vedere, che s’avvicina alla ragazza del locale che balla per sentirsi ancora un uomo piacente. Lei fa finta d’esserne attratta, balla, gli gira intorno, si struscia sul suo corpo, gli sfiora il viso con i capelli profumati, alza una gamba evidenziando i tacchi vertiginosi e l’assenza delle mutandine. Lo eccita. Quello è il suo mestiere, per poi scomparire e cominciare a ballare con un altro. Gli fa annusare il suo corpo. Solitudine del ragazzo che ha lasciato a casa la fidanzata, la camicia nera, opaca, incollata al petto lascia trasparire il dorso e la catenina con un ciondolo a cuoricino spezzato, la giacca di pelle nera, il capello impomatato, nero, lucido, gli occhi brilli e la voglia di godere, perché sa che può piacere, giacché è giovane.
Sa che il suo cazzo potrà soddisfare, il suo corpo vibra, si muove sicuro nella discoteca, sa ballare, ondeggiare i fianchi, visto che lascia una scia del suo profumo. Le ragazze gli vengono incontro, lo bramano, lo illudono, sono solamente le ragazze del locale. Intrattengono, scaldano i corpi, si danno solo con il ballo. Solitudine d’alcune coppie sposate o forse solo indifferenti l’uno all’altro. Precisamente come me e Carlo. Lui non sa del mio desiderio, non sa del mio essere schiava innamorata, del mio essere qui, io forse non so della sua vita segreta. Perché è così difficile amarsi?
Il cuore si specchia ogni giorno nel corpo dell’altro senza riconoscersi. Solitudine delle coppie annoiate. Lei è una donna ancora piacente, si muove sicura in mezzo alla pista muovendo i capelli fluenti giallognoli come una parrucca poco acconciata, con un vestito leopardiano, sente caldo, lo tira su, mostra le giarrettiere, il culo prominente, il seno abbondante, lui con la barba lunga incolta, i capelli arruffati, seduto su d’una panca in fondo alla sala, si tocca il cazzo, annoiato, solo, senza il coraggio di scendere in pista a ballare, di farsi vedere. Non è eccitato, è solamente solo. Solitudine dei ragazzi e delle ragazze del locale mascherati per l’inizio del carnevale, le ragazze sono tutte vestite da Rane, Barbie, leonesse, gattine, con tute attillate, trasparenti, i ragazzi sono Machi, Tarzan, un lavoro vale l’altro, non si guadagna molto ma si può sempre rimediare un extra per un sorriso o per una sfioratina, sono dei bei ragazzi abbronzati con i corpi scolpiti, il sorriso pulito, sono i nostri ex compagni di classe, ragazzi normali. La musica da discoteca è dello scorso anno, ma nessuno sembra accorgersene, perché tutti sono presi solo da sé stessi, dal desiderio di sentirsi ancora dentro. Loro sono venuti in gruppo per rimorchiare, hanno pagato per divertirsi, per sentirsi adulati, per avere donne, per trasgredire senza le loro ragazze della comitiva. Non hanno capito come funziona il gioco, avvicinano tutte le donne, cercano di rimorchiare con frasi volgari, ridono, sghignazzano, forse hanno bevuto troppo, cercano di tastare tutte le ragazze, le guardano con gli occhi lucidi, le bramano come una merce, si sentono padroni dei loro corpi.
Non hanno capito come funziona il gioco del desiderio. Rumoreggiano, cercano di farsi riconoscere, sono intimiditi dal sesso e lo volgarizzano. Il jeans sdrucito e la camicia bianca, l’orecchino, la collanina con la medaglietta della squadra del cuore che luccica sul petto imberbe. I ragazzi del locale li avvicinano e li calmano, ma loro vogliono donne. Sarà per un’altra volta. Escono. Hanno pagato per niente. La ragazza da sola è venuta per vivere. Alta, capelli biondi a caschetto, fasciata con una gonna lunga e una camicia azzurra che rende evidente il suo corpo snello, le gambe magre. Cerca d’avvicinarsi a tutti gli uomini. Sorride. I suoi braccialetti tintinnano sui polsi, sembra una piccola farfalla smarrita. Si piace, si guarda compiaciuta riflettendosi in tutti gli specchi della pista da ballo, si muove felinamente intorno ai divanetti, guarda, ammicca, si struscia contro le colonne del finto patio, gira intorno agli uomini. Lei è una donna, e loro i maschi devono desiderarla. Per un po’ ballano insieme, gli uomini le toccano il seno sodo, le mettono una mano sul sedere sollevandole la gonna. Un piccolo rigonfiamento pende tra le gambe. E’ un uomo e donna insieme. Anche lei è sola. Pochi uomini la vedono ancora come una donna. E’ un travestito. Ora sento la sua delusione. I nostri sguardi s’incrociano, sembra chiedermi conforto, sembra volermi chiedere conferma del suo essere femmina, ma non è così. E’ soltanto un essere a metà, sola con il suo essere donna dentro un corpo maschile. Si siede in un angolo del locale, su d’un divanetto nascosto al buio. Io la seguo con lo sguardo, mi sembra di sentire le sue lacrime dentro il cuore. Ora guarda solo il desiderio degli altri sfogarsi in attesa che qualcuno voglia amarla, per quello che realmente è. Vuole essere donna, solamente una femmina, ma non è facile farsi accettare. Soltanto adesso m’accorgo che tutto sa di vecchio, di finto e di falso: contraffatto l’amore, fasulle le piante di plastica lucida, imitata la pelle dei divanetti, illusorio il piacere, ingannevoli i vestiti eccessivi, inattendibili i gemiti, perché qua dentro si gode per forza per sentirsi vivi, per sentirsi qualcuno.
Al momento m’accorgo rendendomi conto che è quasi l’alba, il locale comincia a svuotarsi, le donne hanno il trucco sfatto e gli occhi accerchiati d’abbattimento e di stanchezza, gli uomini con le camicie macchiate di sudore e i calzoni di sperma colato devono tornare a casa, fintanto che i possidenti del locale offrono regalando a tutti i presenti la colazione mattutina. Adesso si ritorna alla normalità, in quanto è stato soltanto un effimero, falsificato, finto e precario focoso accanimento d’amore.
Per farla breve, io ho malgrado ciò goduto, sì, ho goduto notevolmente rallegrandomi lungamente fra le mani del mio Padrone. Domani, infatti, a ragion veduta sarò nuovamente e spensieratamente l’abitudinaria Rossana.
{Idraulico anno 1999}