L’estate era iniziata da poco e io ero riuscito a trovarmi un lavoro in un bar di nuovissima apertura vicino casa mia. Era la mia prima esperienza lavorativa seria, con un contratto (anche se a tempo determinato) e tutto il resto, e mi serviva per mettere da parte qualcosa per ultimare gli studi, prima di tentare di ‘spiccare il volo’ nel mondo del giornalismo. Avevo pensato che per un’estate avrei potuto rinunciare alla classica vacanza con gli amici tutta piscina, sole, costumi e liquidi dall’ingente tasso alcolico, ma la mancanza di tutti quegli elementi aveva cominciato a farsi sentire fin da subito. Certo ogni tanto qualche mio amico passava a trovarmi, ma essere io il tipo che gli spillava la birra e non poterla bere con lui era quanto di più simile a una raffinata e perversa tortura cinese sarei mai riuscito ad immaginarmi.
Se non altro però c’era di bello che potevo fare parecchie conoscenze. Non avevo molti amici nel quartiere, e raramente uscivo intorno casa mia, preferendo prendere la macchina e andarmene in centro, o in qualche borgo non troppo lontano, così non avevo mai avuto occasione di vedere in faccia quelli che, in fin dei conti, erano i miei vicini di casa. C’era, per esempio, questo gruppo di ragazzi poco più piccoli di me, che cominciarono a venire al bar pochi giorni dopo l’apertura. All’inizio erano solo ‘Buongiorno’ e ‘Arrivederci’, qualche caffè o un Cremino, ma pian piano cominciarono a sciogliersi con me, capendo che ero un ‘tipo a posto’. Cominciarono a venire più spesso e a rimanere più a lungo, attaccando bottone con me e portando qualche altro amico. A volte si fermavano a vedere una partita al televisore fuori, mi ordinavano qualche birra e, se la situazione del bar lo permetteva, mi invitavano a sedermi con loro. Fu così che un giorno mi presentarono Gina.
Devo ammettere che la prima impressione non fu delle migliori. Era una diciannovenne piuttosto acerba, esile da far paura. Sembrava si potesse spezzare anche solo avvicinandoglisi. Aveva la pelle pallida e un naso aquilino sul viso affilato e sottile, messo ancora più in risalto dal taglio corto, o piuttosto cortissimo, dei suoi capelli nero corvino. La prima volta che venne al bar aveva un paio di jeans scoloriti e una semplicissima t-shirt bianca che, nonostante fosse aderente, evidenziava soltanto una mancanza di curve. Un paio di Converse ai piedi completavano il quadro che non accese la mia immaginazione da florido venticinquenne.
Per lei però doveva essere diverso: sarà stato il fascino del ragazzo più grande, o il fascino del lavoro che facevo, o magari le due cose messe insieme, ma si notava che cercava, discretamente, di attirare la mia attenzione. Passò dall’ordinarmi cedrate e gelati alle birre e ai cocktail, sperando forse di darsi quelle arie da ragazza vissuta, spensierata e trasgressiva che pensava mi avrebbero colpito. Erano carini quei suoi tentativi, mi facevano sorridere e mi lusingavano. Non ero (non sono) un Adone, una bellezza canonica del tipo ‘modello con tartaruga’, e se anche posso essere considerato un bel ragazzo, per via dell’altezza, delle spalle larghe e del viso, non ero mai stato oggetto di attenzioni spasmodiche da parte del gentil sesso. Non che quelle attenzioni non le avessi mai provate, ma Gina con le sue occhiatine e il suo tentare di far colpo mi faceva sentire desiderato, ed era una sensazione che mi piaceva.
Dopo un paio di settimane durante le quali la vedevo ogni pomeriggio, servendole a volte una Tennent’s, a volte un Cuba Libre, lei mi disse che sarebbe partita per andare in vacanza con i suoi: sette giorni di mare sulla costa adriatica. Il giorno prima che andasse via le chiesi, scherzando, se aveva intenzione di tradirmi al mare. Ridacchiai al battere perplesso di ciglia e all’arrossarsi del viso che furono la sua risposta. Ridendo le dissi che, se voleva prendersi qualche birra in un altro bar poteva farlo, ma che poi avrebbe dovuto dirmelo. Batté le ciglia ancora una volta, poi mi sorrise, dicendomi che l’avrebbe fatto senz’altro. Furono sette giorni noiosi: la mancanza di Gina al bar si faceva sentire, e mi mancava quel suo lusinghiero occhieggiare nella mia direzione mentre portavo le consumazioni agli altri tavoli, o la sua voce quando cercava di attirare la mia attenzione atteggiandosi con gli amici. Quando si ripresentò al bar a vacanza finita rimasi a bocca aperta. Si era lasciata crescere un poco i capelli, che adesso portava in un’acconciatura intrigante a coprirle la fronte e il collo. Era abbronzatissima, ma sorridente e briosa come sempre. Aveva forse messo su un chilo o poco più che non faceva che donarle e soprattutto si presentò fasciata in un abito con gonna lunga fino alle caviglie e spacco laterale a far intuire le gambe, lunghe e lisce, cotte dal sole. Ai piedi portava un paio di sandali con una zeppa appena accennata che ottenevano il risultato di slanciarla ancora di più.
Mi salutò spigliata, con due baci sulle guance e mi chiese una birra. Poi, visto che la serata era molto tranquilla, mi disse se non mi andasse di prenderne una anche io e di sedermi con lei. Non me lo lasciai ripetere, le portai al tavolo due Tennent’s già stappate e mi accomodai al suo fianco. Parlammo per un’oretta del più e del meno: la sua vacanza, il mio lavoro, l’università, poi mentre scorrevamo sul suo cellulare le foto fatte al mare mi cadde l’occhio su una in particolare che la ritraeva in costume (un bikini da cardiopalma). Era di spalle, dritta in piedi, le braccia allargate a simulare il volo sullo sfondo di un tramonto violaceo, ma la vera opera d’arte era il suo culo. Un mandolino assolutamente perfetto, una visione poetica, catartica. Mi persi con gli occhi nel seguire la linea curva di quel capolavoro, nell’apprezzare l’audacia del tanga che scompariva immediatamente nel solco tra quelle dolci collinette. Rimasi a bocca aperta probabilmente, accorgendomi che non avevo mai guardato veramente Gina come avrei dovuto. Quando il suo dito passò sulla foto, facendola scorrere a quella successiva, stavo per gridarle di fermarsi. Mi controllai a stento, alzando lo sguardo verso di lei. Era arrossita. Evidentemente la mia reazione non le era passata inosservata.
Mi slanciai in avanti a coprire quei pochi centimetri che ancora separavano le nostre labbra e la baciai, con trasporto, con voglia. Lei non esitò nemmeno per un istante: sentii la sua bocca schiudersi, la sua lingua farsi audace, mulinando contro la mia in una danza lussuriosa. La volevo. Diavolo se la volevo. Scesi a baciarle il collo, mordicchiandole il lobo dell’orecchio, prima di sussurrarle ‘Andiamo dentro dai.’ Non si fece pregare. Si alzò, senza staccarsi dalle mie labbra, mi gettò le braccia al collo e si fece praticamente trasportare dentro allo spogliatoio riservato al personale. Appena chiudemmo la porta a chiave si sbrigò a togliermi la polo, cercando di continuare a baciarmi in ogni secondo. Quando non poteva raggiungere le labbra la sentivo cercare di arrivare a un qualunque altro brano della mia pelle. Era passionale. Era una furia. Le slacciai la cintura che fermava il vestito in vita, poi le tolsi le spalline, facendolo cadere. Sotto aveva un tanga quasi inesistente, e soprattutto nessun reggiseno. Le piccole tette a coppa di champagne si ersero in tutta la loro bellezza di fronte ai miei occhi, con i capezzoli induriti dall’eccitazione. Me ne impossessai con la bocca, baciandoli, leccandoli, mordendoli, mentre le mie mani artigliavano quel culo perfetto che avevo visto in fotografia solo un attimo prima e che avevo cominciato subito a desiderare prepotentemente.
Gina gemeva piano, spaventata all’idea che un cliente potesse entrare e sentirla, ma non riusciva a resistere alla voglia: le sue mani continuavano a percorrere il mio corpo, cercando di slacciarmi i pantaloni e di impossessarsi del mio cazzo. Cercai di darle una mano in modo inconsulto, ma, preso dalla passione, sembravo incapace di fare altro che continuare a stringere il suo culo e baciarla ovunque. Lei si staccò improvvisamente da me, mi scoccò uno sguardo lascivo e mi sussurrò:’Lasciami fare.’ Cadde in ginocchio sul suo stesso vestito, sbottonandomi i pantaloni e tirandoli giù insieme ai boxer in un colpo solo. Il mio cazzo svettò fiero, eretto, eccitato. Gina non lo prese nemmeno in mano. Si lanciò famelica, con le labbra, cominciando da subito un pompino magistrale: alternava colpetti di lingua a profonde leccate, mandandomi in visibilio. Era fantastica, era erotica, era lussuriosa. Ma continuavo ad avere il pensiero fisso del suo culo a rimbombarmi in testa.
La presi per i corti capelli e la costrinsi ad allontanarsi dal mio cazzo. Lei alzò gli occhi per guardarmi con un’espressione a metà tra il voglioso e il deluso, e incontrò il mio sguardo che le imponeva di fare ciò che le dicevo.
‘Alzati e girati.’
Eseguì immediatamente, ben più consapevole di quanto avrei potuto immaginare di cosa io avessi in mente. Appoggiò una mano al mio armadietto e inarcò la schiena, spingendo il culo in fuori, verso di me, fino a toccare con la sua pelle di pesca il mio cazzo ancora estremamente sensibile. Le tolsi bruscamente il tanga e mi inginocchiai per leccarle la fica bagnata. Aveva un buon sapore, dolce.
‘Scopami ‘ mi disse ‘ Scopami subito.’
Mi alzai senza aspettare ancora e entrai dentro di lei in un solo, brutale colpo. Se voleva trattenersi, non ci riuscì. La sentii mandare un grido liberatorio, di piacere e soddisfazione.
‘Sììììììì’
Cominciai a spingere, pompandola forte, scopandola, proprio come lei mi aveva chiesto di fare. Lei inclinata in avanti, malferma sulle sue zeppe appena accennate, gemeva e implorava, assecondando i miei colpi con movimenti del bacino:’Spingi, spingi, spingi, non smettere, non smettereeeeeee’. E chi ne aveva la minima intenzione? Aumentai il ritmo, penetrando sempre più in profondità la sua fica stretta e calda così languidamente bagnata mentre lei continuava a venirmi incontro a ogni colpo, come a cercare di non farmi uscire. Le pizzicai un capezzolo, ricevendo in risposta un gemito seguito da un grido ben più forte quando mi spinsi di nuovo dentro di lei.
‘Non ti fermareee. Scopami. Scopami. Scopami. Scopami.’
Lo ripeteva in loop, persa nel piacere, con il fiato rotto dallo sforzo di tenersi in piedi mentre le gambe sembravano volersi sciogliere dal piacere. Io spingevo ormai come in trance, perso nel piacere. Perso in lei. Le mie mani scivolavano sulla sua schiena liscia, sulle sue gambe abbronzate, la tenevano per i fianchi quando aumentavo d’improvviso il ritmo facendola gridare e poi stringevano quel culo favoloso, così sodo. Mi fermai solo un attimo per prendere sulla panca che stava alle mie spalle l’olio idratante che la titolare del bar (quel giorno per fortuna era in vacanza) si passava sul viso alla sera. Gina gemette la sua disapprovazione e si voltò a guardarmi, ma quando mi vide con la boccetta in mano gli occhi le brillarono di lussuria. Ripresi a spingere, facendola gemere di nuovo mentre le lasciavo cadere della gocce d’olio sulla schiena incurvata e prendevo a spanderle sul suo culo fenomenale con le mani, massaggiandola e scaldandola ad ogni passaggio. Lasciai cadere altre gocce, continuando a massaggiarla e scoparla contemporaneamente, mentre con le dita passavo sul suo buchino. Avevo deciso che quel culo doveva essere mio. Lo sentii abbastanza morbido e, mentre spingevo di nuovo il mio cazzo nella sua fica bagnata, lo penetrai con l’indice. Lei si inarcò e gridò.
‘Sììììììììììììì. Continua!’
Lentamente le feci scivolare dentro anche il medio, poi l’anulare, senza mai fermare i miei colpi, anche se adesso la scopata si era fatta più lenta, più cadenzata. Quando pensai che fosse pronta, uscii da lei e puntai il cazzo sul suo culo. Alzai gli occhi verso di lei e la vidi voltata verso di me, mentre guardava con la lussuria negli occhi il mio cazzo poggiato sul suo culo. Era bellissima, arrossata e stravolta dal sesso, con quell’aria vogliosa sul viso.
‘Voglio guardarti mentre mi inculi.’ mi disse con voce carica d’erotismo.
Mi feci prendere dalla frenesia. Il suo corpo nudo, il suo linguaggio, la sua voglia, mi accesero e spinsi il cazzo dentro di lei, violandola. Dovetti soffocare il suo grido di dolore mettendole una mano sulla bocca spalancata e fermarmi per lasciarla abituare alla mia presenza dentro di lei. Dopo qualche secondo la sentii mordicchiarmi le dita. Tolsi la mano e lei mi disse semplicemente:’Fammi il culo’.
Cominciai a spingere, dapprima con lentezza, poi sempre più veloce in modo sempre più selvaggio mentre lei cominciava pian piano a gemere, tenendo sempre gli occhi fissi sul mio cazzo che spariva nel suo culo per uscirne un attimo dopo. La stavo tenendo per i fianchi, ma mi sembrò che stesse per cadere, così allungai un braccio e glielo passai intorno ai seni per sorreggerla. Mi accorsi che si stava tenendo con una sola mano, mentre con l’altra era corsa al clitoride, per masturbarsi mentre la inculavo. Cominciò anche a spingere il culo verso di me, a venire incontro alle mie spinte. Sentii il piacere che cominciava a montare dentro di me. Stavo per venire, ma non feci in tempo a dirglielo che un suo grido di piacere mi pervase le orecchie mentre il suo corpo si contraeva negli spasmi di un orgasmo devastante. Non riuscii a tenerla, il suo corpo sudato mi sfuggi e lei cadde in ginocchio mentre le gambe le tremavano ancora incontrollate. Si voltò verso di me, sorridente, a guardarmi, con il cazzo congestionato e ancora eretto. Sorrise.
‘Vienimi in faccia. Voglio sentirla calda. Dammela tutta in faccia.’
Non me lo feci ripetere. Bastarono due colpi di mano per esploderle tutto il mio piacere sul viso. Aprì la bocca per accogliere qualche fiotto di sperma, per assaggiarmi, mentre qualche schizzo le colpiva anche il seno. Caddi seduto sulla panca, devastato dall’orgasmo, mentre lei rimase in ginocchio a terra. Recuperò un po’ dello sperma che le era caduto sul seno con l’indice dall’unghia laccata di nero e se lo portò alla lingua, gustandolo con aria deliziata a beneficio della mia lussuria. Poi si alzò e si andò a sciacquare il viso al lavandino dello spogliatoio, senza negarmi la visione celestiale del suo culo perfetto, mentre si piegava. Ci rivestimmo e uscimmo di corsa, dopo un ultimo ardente bacio. Con Gina era stata una esperienza fantastica, ma mi resi subito conto che qualcosa era cambiato. Non si fece vedere per qualche giorno, e quando tornò mi chiese imbarazzatissima di parlare. Mi disse che stava con un tipo da tre anni, che le sembrava una follia buttare tutto al vento, che non voleva. La rassicurai, cercando di dirle che se quella era la sua decisione io me la sarei fatta andar bene, ma che avremmo avuto un ottimo ricordo da condividere, e che comunque potevamo rimanere amici come prima, ma non ci fu niente da fare. Smise di passare a prendere la sua birra e il suo cocktail, e anche i suoi amici rimasero perplessi da quella sua decisione repentina. Io ero dispiaciuto per davvero: ero sincero quando le avevo detto che volevo rimanerle amico, perché la sua compagnia mi piaceva molto indipendentemente dal sesso, che era stato fantastico. Ma se quella era la sua scelta, l’avrei dovuta rispettare e così continuai a lavorare al bar come se nulla fosse successo, e come se non avessi mai conosciuto Gina.
Un giorno stavo pulendo la macchina del caffè quando entrarono due bambini piccoli, strillando e saltellando in direzione del frigo dei gelati. Non era una scena inconsueta per cui non ci feci tanto caso, ma continuai a pulire la macchina in attesa che un papà annoiato arrivasse a richiamare le due scimmiette urlatrici e a farmi delle scuse di facciata per l’inconcepibile fracasso che facevano. Rimasi sorpreso però quando a varcare la porta fu una mia vecchia compagna di classe del liceo, Alice, che non vedevo da anni. Avevamo avuto una piccola tresca adolescenziale, una di quelle cose candide e ingenue fatte di tanti baci mal dati e petting più o meno spinto. Mi riconobbe anche lei e mi salutò con un gran sorriso, mettendosi subito a chiacchierare e spiegandomi che i due pargoli che ancora urlavano nonostante avessero già il gelato tra i denti, erano bambini suoi. Li chiamò ‘gli unici buoni risultati di un grosso sbaglio’ La cosa mi mise per un attimo in soggezione: lei mamma single e io che ancora facevo caffè e spillavo birre in attesa di poter conseguire una laurea, ma fu un attimo che passò immediatamente, quando il maschietto spiaccicò metà del suo Cornetto Algida sui pantaloni bianchi della mia amica. La scenetta di lei che lo rimproverava e lui che faceva finta di essere pentito fu divertente, ma non abbastanza da farmi passare inosservata la ragazza che stava entrando. Occhi scuri e profondi, lunghi capelli castani legati a coda di cavallo, un viso dai tratti dolci e appena abbronzato, ma soprattutto un fisico stratosferico: curve morbide e generose, evidenziate dal leggero abito di lino chiaro che le arrivava a metà coscia, un seno dirompente messo in mostra da una scollatura profonda quanto bastava a essere intrigante ma non volgare e due gambe chilometriche, snelle, messe in risalto dai sandali con il tacco alto che portava. Mi immobilizzai per un secondo mentre si avvicinava al bancone sorridendomi.
‘Hai ordinato per me?’ chiese, senza guardare nessuno in particolare. Per un istante pensai che la domanda, benché senza senso, potesse essere rivolta a me. Cominciai a lambiccarmi il cervello per mettere insieme una risposta accettabile, ma fu Alice a venirmi in soccorso, rispondendo:’No, non ho ordinato niente nemmeno per me. Lorenzo ha deciso di farmi questo scherzetto.’ E si indicò i pantaloni bianchi, irrimediabilmente macchiati di cioccolata. Lo splendore al bancone si voltò e guardò la macchia con espressione divertita, poi sorrise:’Mamma ti uccide.’
Alice sembrò intuire la mia confusione e fece le presentazioni ufficiali:’Sim, hai mai conosciuto mia sorella Clara? Clara lui è Sim, un mio compagno di scuola.’
Clara mi allungò la mano affusolata al di sopra del bancone e mi sorrise calorosamente, inconsapevole del fatto che, inclinandosi in avanti mi stava dando la possibilità di gettare uno sguardo nel suo decolté. Ripresi fiato e un minimo di senso del linguaggio, e per non fare la figura dell’allocco inebetito chiesi:’Allora, Alice e Clara, cosa vi faccio?’
‘Per me un cappuccino al vetro ‘ rispose Alice, tornando con gli occhi a esaminare la macchia sui suoi pantaloni ‘ per Cla”
‘Io vorrei qualcosa di strano ‘ la interruppe lei ‘ Ce l’hai Sim?’
‘Che si intende per strano?’ replicai, insicuro.
‘Sorprendimi’ mi rispose, con uno scintillio che avrei definito ‘complice’ negli occhi.
Non avevo moltissima esperienza dietro al bancone, e non ero capace di fare cocktail più complessi di un vodka-Red Bull, e quindi mentre preparavo il cappuccino di Alice, mi lambiccai il cervello cercando di capire cosa potevo inventarmi. L’ispirazione mi arrivò in un lampo, al ricordo di una vacanza in Salento fatta con gli amici un paio d’anni prima. Buttai un cubetto di ghiaccio in un bicchiere, ci aggiunsi dello sciroppo alla mandorla e un caffè. Mescolai solo per un attimo, poi portai tutto al tavolo fuori.
‘Un cappuccino per la bella mammina ‘ feci appoggiando la tazza sul piano di metallo ‘ e un caffè mandorlato per la bella zietta.’
Lei mi guardò con aria sorpresa:’Se è buono ti meriti un premio aggiuntivo.’
Tornai dentro ridacchiando e lasciandole sole con i bambini. Dopo un po’ rientrarono, Alice pagò il conto e si avviò fuori con i pargoli vocianti, dicendo alla sorella che la aspettava in macchina. Lei le rispose con un ‘arrivo subito’ e poi si voltò a guardarmi.
‘Ti avevo detto che se era buono avresti avuto un premio’ mi disse allungandomi un tovagliolo sul bancone. C’era scritto un numero di telefono, il suo evidentemente.
‘Magari ti viene voglia di chiamarmi. Stasera.’ disse passandosi inequivocabilmente la lingua sulle labbra carnose messe in risalto da quel rossetto così intenso. Non aspettò nemmeno che rispondessi, ma si avviò fuori, chiudendosi la porta alle spalle.
Passai il pomeriggio a lavorare distratto, pensando a Clara e alle sue curve mozzafiato, mentre guardavo il numero scribacchiato sul tovagliolo ogni cinque minuti. Finalmente verso le nove di sera, quando ebbi un po’ di respiro, riuscii a chiamarla. Ci furono due lunghissimi squilli, poi’
‘Pronto.’ La sua voce calda dall’altro lato della linea mi fece sobbalzare, e solo in quel momento mi accorsi di aver pensato per tutto il giorno che mi avesse dato un numero falso.
‘Pronto Clara. Sono Sim. Del bar. Non so se ti ricordi.’
‘Certo che mi ricordo. Mi stavo chiedendo quanto ti ci sarebbe voluto per deciderti a chiamare.’
‘Ti andrebbe di vederci?’ Oh cazzo! Non mi ero immaginato nemmeno io che suonasse così diretta e imperativa quella domanda. Sapevo di aver fatto un passo falso, mi stavo già maledicendo mentalmente per aver sprecato l’occasione, ma lei mi rispose senza esitazioni e con voce squillante:’Sì. Vengo da te al bar?’
Balbettai una risposta affermativa, e le dissi che la aspettavo. Prima di riattaccare la sentii sussurrarmi:’Se mi farai qualcos’altro di strano ti darò un altro premio.’
Arrivò dopo i dieci minuti più lunghi della mia vita. Un velo di trucco appena accennato, capelli setosi sciolti sulle spalle, occhi magnetici e un abito aderente che lasciava alla fantasia una parte davvero esigua del lavoro di immaginarsela nuda. Si avvicinò al bancone ancheggiando elegantemente sui tacchi vertiginosi. Non sculettando come una sciacquetta senza gusto, ma ancheggiando, in una maniera raffinata e sensuale.
‘Cosa hai in serbo per me?’ mi chiese con voce calda e con uno sguardo ammiccante. Per tutta risposta presi un bicchiere e le feci un Irish Coffee. Bevemmo insieme, il whiskey caldo mescolato al caffè e alla panna cominciò quasi da subito a darci alla testa. Parlammo di noi. Mi disse che aveva diciotto anni, ma che non vedeva l’ora di finire la scuola e andarsene via. Mi raccontò di quanto le piacessero i suoi nipotini. Mi sembrava che il viso di lei si avvicinasse sempre di più al mio, come se lei stesse facendo forza sugli avambracci per spingersi verso di me. Mi scappò lo sguardo sul suo seno: due tette perfette compresse tra il bancone e le sue braccia, gonfie come ad implorare di uscire.
‘Ti piacciono così tanto?’ la sentii chiedere.
‘Ehm’ Cosa?’
‘Sim, sei sempre imbambolato a guardarmi le tette. Quindi ti piacciono no?’
Diventai improvvisamente rosso come un semaforo. Mi ero fatto beccare come un dodicenne arrapato di fronte ai canali erotici notturni. Ma lei non si era allontanata: era ancora lì, a qualche centimetro da me, con le labbra pericolosamente vicine alle mie.
‘Sai ‘ mi disse all’improvviso ‘ visto che il drink era buono meriti il tuo premio. E mi sembra che tu l’abbia già scelto.’
E senza darmi tempo di fare o dire qualcosa si abbassò la parte superiore del vestito e subito dopo si slacciò il reggiseno. Il Paradiso si aprì di fronte ai miei occhi. Due tette bellissime, finalmente libere da costrizioni, si ersero davanti ai miei occhi, sode ed erette a sfidare la legge di gravitazione universale, con le areole grandi e scure e i capezzoli rigidi. Sbarrai gli occhi mentre una prepotente erezione si faceva largo nei miei pantaloni.
‘Clara” provai a dire, ma lei mi baciò. Fu un bacio ardente, appassionato, erotico. Non avrei potuto negarle niente dopo aver sentito come era in grado di baciare.
‘Chiudi il bar, dai.’ mi disse.
Mi affrettai a spegnere le insegne e a girare la chiave nella toppa, prima di voltarmi verso di lei e catturare le sue labbra con le mie. Feci cadere a terra il suo tubino aderente mentre le mie mani andavano a cercare le sue tette grandi e morbide. Mi persi nella sensazione sublime che la sua pelle liscia donava alle mie mani, mentre le mie dita le pizzicavano leggermente i capezzoli. Lei armeggiò per qualche secondo con la mia cintura e poi si liberò dei miei pantaloni. Rimasi in boxer e la spinsi all’indietro verso il tavolo da biliardo al centro del bar. Lei non oppose resistenza ma si stese sul panno verde, illuminata dalla lampada appesa al soffitto era una visione celestiale. Le tolsi immediatamente il tanga rosso e mi tirai giù i boxer rivelando la mia eccitazione. Lei mi guardò negli occhi e si leccò le labbra.
‘Che aspetti? ‘ mi disse ‘ Chiava la tua troietta!’
Entrai dentro di lei e cominciai da subito a spingere con forza sempre crescente. La martellavo di colpi forti, soprattutto perché non riuscivo a farne a meno, la sua fica era stretta e bagnata, avvolgeva il mio cazzo, lo massaggiava mentre si faceva strada in lei. Era una sensazione sublime. Lei gemeva forte, incoraggiandomi a continuare. Mi allacciò le gambe dietro la schiena e cominciò a chiedermi di spingere più forte.
‘Sbattimi. Sbattimi dai! Sono la tua troia! Sbatti la tua troia!’
La visione delle sue grandi tette che sobbalzavano al ritmo con i nostri colpi era quasi ipnotica, e non riuscii a fare a meno di andarle a stringere con le mani. Erano così morbide. Così grandi. Presi le sue gambe e me le appoggiai sulle spalle, cominciando ad affondare in lei con foga, causandole grida di godimento sempre più alte.
‘Sììì! Così! Così mi apriii!! Ahhhh! Sbattimi!! Sbatti la tua puttana!’
Sembrava che l’idea di essere chiamata troia o puttana la eccitasse di più, così incominciai a farlo anche io.
‘Ah, guarda quanto sei puttana ‘ le dissi ‘ guarda come ti fai sbattere. Come una troia!’
‘Sììì! Sono una troia sìì! Devi sbattermi forte! Devi chiavarmi così!’
Ero già al limite. Sentivo che se avessimo continuato con quella scopata sublime sarei venuto subito, era troppo eccitante guardarla sotto di me mentre godeva. Così mi fermai e uscii da lei.
Clara guaì la sua disapprovazione, ma quando la costrinsi a scendere dal tavolo da biliardo dandole della puttana si affrettò ad eseguire. La feci piegare a novanta, premendole le tette contro il tavolo dove me la stavo sbattendo fino a un attimo prima. Le afferrai i lunghi capelli stringendoli nella mano e poi mi chinai a leccarle la fica grondante di umori. La sentii respirare pesantemente mentre la mia lingua giocava con le piccole labbra, risaliva fino al clitoride per sfiorarlo solo per un attimo prima di tornare indietro. Irrigidii la lingua per penetrarla, sentendomi il palato invaso dal suo sapore, gustando la dolcezza dei suoi umori, beandomi della sensazione che mi davano i suoi gemiti e i suoi sospiri. Con la mano libera le diedi uno schiaffo sul culo sodo ricevendo in risposta un grido deliziato. Poi, senza avvisarla, infilai due dita nella sua fica, mentre le leccavo il clitoride. Venne con un ululato, le gambe le cedettero un attimo per gli spasmi. Mi alzai, e di nuovo senza avvisarla, glielo infilai dentro, mentre ancora gemeva. Il gemito diventò un grido.
‘Sìììììì!!! Chiavami!!’
Ricominciai a spingere, ma molto lentamente, perché sentivo l’orgasmo vicino. Lei allungò le mani all’indietro, mi artigliò il culo e mi spinse violentemente contro di lei. Si voltò a guardarmi, il viso sconvolto
‘Sono la tua troia? Sono la tua puttana?’
‘Sì’ le risposi estasiato
‘Allora sbattimi come si sbatte una puttana!’
La tirai per i capelli le afferrai una tetta e cominciai a cavalcarla selvaggiamente. Lei gridava, io gridavo, era una scena animalesca. Sentii il piacere che mi montava dentro e riuscii solo a grugnire:’Vengo!’
‘Dentro, dentro. Vienimi dentro. Dentro alla tua puttana.’ implorò lei.
Mi piantai dentro di lei, profondamente, un’ultima volta, e l’orgasmo mi travolse. Il mio cazzo pulsò, schizzando due, tre , quattro getti potenti dentro Clara, dentro ‘la mia puttana’. Mi accasciai su di lei, privo di forze, senza riuscire a uscire da quel rifugio caldo e accogliente che era la sua fica’
‘Cosa cazzo state facendo?’
La voce ci fece sobbalzare mentre Alice spuntava dalla porta di ingresso che, evidentemente, non avevo chiuso bene nella foga. Clara sgranò gli occhi, cercando di coprirsi alla bell’e meglio con il suo vestito, che avevamo lasciato cadere di fronte al bancone. Io invece rimasi fermo in piedi, nudo, di fronte a una madre di due bambini. Cazzo che imbarazzo.
‘Clara, vaffanculo, sei una puttana. Ti devi sempre prendere tutto quello che voglio io vero?’ sibilò Alice con voce malevola. Quell’epiteto, che sembrava eccitarla tanto pronunciato da me mentre facevamo sesso, le fece abbassare lo sguardo mentre tentava di rivestirsi velocemente, dimenticando ora uno ora l’altro indumento.
Alice si voltò verso di me:’Sai Sim, credevo mirassi più in alto. Ero venuta qui perché volevo provare a vedere se poteva nascere qualcosa tra noi, come ai vecchi tempi. Vedo che mi ero sbagliata.’
Prese la sorella per il polso e la trascinò in piedi, avviandosi alla porta. Prima di uscire dal bar (e dalla mia vita per sempre) si voltò e mi disse:’Se scoparti lei ti è piaciuto, ricordati che una scopata con me non te la saresti mai dimenticata.’