Questo episodio risale a qualche anno fa, dopo che lasciai la provincia dove sono cresciuto per trasferirmi a Milano in cerca di fortuna. Come per tutti coloro che vanno in città portandosi in tasca speranze invece che quattrini, l’idillio inizia a svanire già da subito, quando si tratta di trovare un alloggio: l’unica soluzione possibile per sostenere le spese d’affitto senza patire la fame è condividere un appartamento con chi si trova nelle tue stesse condizioni.
E fu così che, spulciando tra i siti di annunci online, riuscii ad accaparrarmi un posto letto in camera doppia in un appartamento non troppo scadente di una zona non troppo periferica e, almeno apparentemente, con dei coinquilini non troppo rompicoglioni. Nella fattispecie, io dividevo un’ampia – o almeno così diceva l’annuncio – camera doppia con Filippo, un ragazzo poco più vecchio di me che lavorava come tecnico audio, mentre la seconda camera la occupava Roberto, uno studente del politecnico ormai (accademicamente parlando) in dirittura d’arrivo. Cucina, bagno e un piccolo salottino concludono la scenografia.
Nonostante la buona impressione iniziale Filippo si rivelò presto un cazzone completo:i suoi orari irregolari, la propensione a sbattere ogni porta e la musica a qualsiasi ora del giorno o della notte iniziò presto a mandarmi fuori di testa. Forse per questo iniziai a trovare piacevole la compagnia di Roberto, di origine siciliana trasferitosi al nord per studiare in un’università dal nome prestigioso e, magari, farsi quache appoggio per un futuro impego in città. Nei mesi che seguirono ebbi modo di parlare parecchio con lui: comuni problemi e comuni piaceri ci fecero stringere un buon rapporto di amicizia. Per la nostra storiella ora importa soltanto che, in queste nostre conversazoni, venni a sapere – e ci volle un po’ – che Roberto era fidanzato da quasi un paio d’anni: la sua ragazza, Giulia, anche lei siciliana, era al secondo anno di lingue all’università di Palermo e non l’aveva seguito al nord. Ad aggiungere distanza a distanza, c’era anche il fatto che, per migliorare la pronuncia, la sua Giulia coglieva ogni opportunità per passare qualche semestre in questa o quella università estera. Insomma, non si vedevano praticamente mai se non in estate, in Sicilia, e salvo impegni.
Naturalmente, dopo aver notato una certa ritrosia da parte del mio nuovo amico a parlare della sua compagna, non potei trattenermi dall’andare a guardare i suoi profili sui social network! Roberto era un bel giovane, e di conseguenza mi aspettavo una ragazza all’altezza, ma quando vidi le prime foto rimasi senza parole: Giulia era una rossa naturale da infarto, con un visino che dimostrava meno dei suoi vent’anni, occhi castani enormi e labbra naturalmente gonfie e piene che si chiudevano formando un cuore perfetto. Sotto invece aveva un seno proprompente – una quarta, valutai – e un culo perfettamente tondo sorretto da gambe toniche da sportiva. A renderla ancora più intrigante era il fatto che – evidentemente! – era ben conscia delle sue qualità e non ne faceva mistero né coi suoi amici reali né con quelli virtuali, vestendo spesso canotte generosamente scollate con gonne o pantaloncini inguinali, per poi postare abbondante documentazione fotografica su facebook. Guardandola, benedissi con le lacrime agli occhi il periodo della dominazione normanna in Sicilia, che avevo odiato precedentemente per motivi accademici. -Ora capisco perché è così cauto a parlare di lei, pensai.
Da allora, un po’ per il piacere di metterlo in imbarazzo e un po’ perchè effettivamente Giulia sembrava tutt’altro che santa, pungolai spesso Roberto chiedendogli se fosse così sicuro della sua fedeltà, se non era possibile che in tutti qui viaggi all’estero si fosse concessa qualche scappatella, ecc. Poi si sa, tra amici queste cose si possono dire, no? Io credo di sì, anche se, data la sensibilità di Roberto su questo tema, ammetto che qualche volta mi è capitato di spingermi un po’ oltre con le battute, e facendo intendere più o meno direttamente che, per quel che ne poteva sapere lui, Giulia poteva benissimo essere un’indiavolata pompinara. Anzi, il fatto che Roberto si chiudesse a chiave in camera circa una volta alla settimana quando la chiamava su skype mi faceva pensare che alla micetta non fosse indifferente la mancanza di un bel cazzo. Non ricordo esattamente cosa gli dissi e quando, ma è indubbio al povero fidanzatino questi miei pensieri rimasero impressi, come ebbi modo di scoprire in seguito.
La svolta in questa piccola storia, quello che la rende (spero) degna di essere raccontata, avvenne intorno a fine luglio di quell’anno. Giulia, tornando da londra, si sarebbe fermata a Milano una settimana da noi, così da permettere a Roberto di dare l’ultimo esame della sessione e poi partire insieme verso Palermo. Allora, c’era parecchia eccitazione nell’aria: lui era euforico, per l’arrivo della ragazza e per l’esame, e così io, che, pregustandomi l’ora in cui avrei visto quello splendore,nei giorni precedenti mi faci più di una sega incollato al suo profilo facebook. Filippo invece passava le notti in studio e il giorno a dormire.
Quando Roberto tornò con Giulia a casa ero sul divanetto in salotto a leggere. All’affacciarsi dei due posai il libro e mi avvicinai, presentandomi.
-Ciao, sono Giulia – rispose.
Alta poco meno di me, aveva un viso che calamitava gli sguardi, anche per il colore acceso dei suoi capelli mossi. Era esattamente come nell’immagine che mi ero costruito dalle sue foto, con in più una certa aura positiva, di persona semplice e solare. In quella torrida giornata indossava pantaloncini estivi e una maglietta colorata molto leggera che le lasciava scoperto l’ombelico. Benché fosse visibilmente stanca e sudata per il viaggio emanava un profumo particolare, quasi dolce, che – più avanti negli anni, con più esperienze alle spalle – scoprii caratteristico delle ragazze rosse.
-Certo, Roberto mi ha parlato molto di te – dissi con un sorrisetto un po’ ironico. – Ma prego, accomodati pure – aggiunsi indicando il divano – fa come fossi a casa tua.
-Tranquillo, non preoccuparti, adesso ti lasciamo in pace che sistemiamo tutto questo carico di bagagli – disse Roberto, terminando la festa prima ancora che iniziasse.
Così mentre si avviavano in camera feci solo in tempo ad ammirare le sue sode gambe abbronzate e, con quest’immagine in testa, ripresi a leggere.
I due piccioncini rimasero praticamente tutto il tempo -almeno quando io ero a casa e non al lavoro o in università – chiusi nella loro stanza a tubare, salvo poi uscire per andare a cena fuori e rieinfilarsi a letto appena tornati. La settimana scorreva e, tra le rotture che mi procurava Filippo e la frustrazione per non aver potuto guardare per bene Giulia, il mio umore si faceva sempre più nero.
Venerdì mattina mi svegliai ancora un po’ stordito con il vociferare stranamente mattiniero di Roberto e Giulia che in cucina stavano facendo colazione. Ci volle un po’ a rimettere assieme i pezzi, ma in qualche minuto capii: venerdì, il giorno dell’esame, e l’ultima buona occasione per vedere Giulia che l’indomani sarebbe partita. Così, per quanto ancora un po’ intontito, dopo una sciacquata al viso, raggiunsi la coppietta in cucina.
-Buongiorno!
-‘giorno, risposi. – E’ il grande giorno, da domani sarete liberi! In bocca al lupo Bob!
Mentre versavo il caffè la osservavo con la coda dell’occhio. Anche un pigiama con fantasie da bimba di una taglia più grande riusciva a nasconderle le tettone, che anzi formavano evidenti morbide colline, schiacciate tra le sue braccia e il tavolo. E che sguardo da cerbiatta! Avrei detto che i suoi occhioni sembravano diretti verso di me, ma forse era solo l’angolatura del mio sguardo a farmi questo scherzo. Forse mentre mi beavo del suo splendore mi fu rivolta qualche domanda, ma quando tornai nel mondo reale c’era un silenzio leggermente imbarazzato. Non ci feci caso, dopotutto ero ancora ubriaco dalla sera precedente, che volevano da me!
-Be’, mentre io sono a fare l’esame tu torna pure a letto a riposare, disse Roberto
-Va bene, anche se ormai il caffé mi ha svegliata. Al massimo guarderò un po’ di tv, rispose.
E così dicendo si allontanarono, in modo un po’ ridicolo – avrei riso se non fossi stato troppo nervoso per averla vista così poco anche stavolta! – con lui che la prende a braccetto e la riporta in camera.
Nell’uscire, ripassò per la cucina: -E a te buon lavoro se non torno prima!
Non risposi neppure, se non con una smorfia che poteva dire tutto e il suo contrario. Quando finii la sequela di maledizioni sulla mia malasorte e sulla fortuna altrui, recitate mentalmente come una litania mentre lavavo dei piatti sporchi lasciati da Filippo la notte precedente, probabilmente Roberto era già di fronte all’aula dell’esame.
Mi andai a fare una doccia per cercare di darmi una svegliata e ritrovare un po’ di voglia di vivere. Nell’andare verso il bagno passai davanti alla camera dove si trovava Giulia e, come ormai prevedevo, era ben chiusa, anche se si sentiva il brusio di un programma televisivo che indicava che molto probabilmente la signorina era sveglia.
Una volta pulito e attivo, decisi che ormai tanto valeva approfittare della momentanea calma della casa per studiare, e così feci, immergendomi nella lettura per un’oretta, finché fu ora di prapararmi per andare al lavoro, sarei uscito un ora prima del solito, quel giorno, perché dovevo sbrigare degli affari in Banca. Dopo essermi cambiato, mi diressi in bagno per lavarmi i denti prima di uscire. Ma questa volta la porta della camera di Roberto non era chiusa! Non era neppure aperta, è vero, ma lasciava uno spiraglio di una decina di centimetri sull’interno – con questo caldo deve averla lasciata così lei per far passare un po’ d’aria , pensai – comunque abbastanza per farmi intravedere il corpo di lei stesa supina sul matrimoniale guardando la tv. La visuale spaziava dal seno, con alcune ciocche più lunghe di capelli rossi ad adornarlo, coperto da una t-shirt azzurra taglia xl che, scendendo fino alle cosce, nascondeva l’intimo ma annunciava la felice scoperta di due gambe tornite lasciate libere alla misera brezza che era riuscita a ricavare lasciando accostata la porta. Ero al settimo cielo, e cominciava a prudermi l’uccello.
-Ehi, non serve che stai li sulla porta, guarda che puoi entrare. Non mangio mica!
-Merda, se io non vedo i suoi occhi, non significa che lei non possa vedermi – pensai, ed ebbi una stretta al cuore che mi fece sembrare un secondo un secolo. Poi feci un passo avanti, scostai la porta del tutto ed entrai. Non sapevo davvero cosa dire, credo addirittura di essere stato un po’ rosso in viso dall’imbarazzo, ma fu lei a continuare:
-Io e te dobbiamo parlare sai!, disse con tono tra l’arrabbiato e il canzonatorio.
-Dimmi allora
-Roberto mi ha detto che fai allusioni sconvenienti su di me – risatina, – non dovresti mettergli in testa certe idee al mio cucciolotto.
-Cose sconvenienti? Noo- minimizzai, – magari qualche battutina per prenderlo in giro. E’ così riservato su di voi, lo sapevi?
– Lui mi ha riferito qualcosa di più.
-Cosa ti ha riferito? Ma sai, Roberto esagera sempre.
-Mi ha detto che dici che ho una “faccia da pompini”, e chissà quanti ne faccio quando non sono con lui.
Ok, a questo punto sarei dovuto essere davvero nervoso ma in realtà Giulia non sembrava arrabbiata. Così il mio stato d’animo era più confuso che agitato. Ci fu un istante di nulla imbarazzato, poi, trascinandosi col busto dalla parte del letto più vicina a dov’ero aggiuse:
-Dai, davvero ti sembro una gran pompinara? Secondo te lo tradisco ogni volta veramente? insomma, guarda che ragazza dolce che sono..
-Non so, dovresti dirmelo tu. Lo tradisci? – azzardai, col coraggio dell’idiozia.
Silenzio. Guardandomi fisso con i suoi occhioni nocciola spalancati si avvicinò ancora più al bordo del letto fino a metteri in ginocchio sul letto seduta sulle caviglie. Con amo le mani mi prese per il bordo superiore dei calzoncini che portavo, infilando indice e medio tra la mia pelle e il tessuto dei boxer, e con un leggero strattone mi costrinse ad avanzare un altro mezzo passo. Scorrendo le dita raggiunse subito il bottone e la cerniera, che si aprì. Un altro gesto deciso e pantaloncini e boxer furono a metà coscia, lasciandomi col pube scoperto a pochi centimetri dal suo viso.
Ero incredulo, ipnotizzato dal suo sguardo che mai si era staccato dai miei occhi durante tutta l’operazione. Il cervello non aveva ancora realizzato ciò che stava accadendo, e conseguentemente il corpo non aveva reagito, tanto che il cazzo era ancora penzolante tra le mia gambe, come se non avessi gradito la sua iniziativa. Ma per mia fortuna la cosa non bastò a scoraggiarla. Sempre nel silenzio, che si faceva ogni secondo più pesante, allungò lentamente la lingua fuori dalle labbra socchiuse, come un serpente che esca dalla tana, fino ad appoggiarne la punta alla base del mio pisellino moscio, scorrendolo verso l’alto fino alla cappella. Alla prima, sguì una seconda leccata, ugualmente lenta a giudicare dal numero dei miei sospiri che, appena udibili, la scandirono nel silenzio. Dopo, avevo l’uccello duro come la roccia, che puntava dritto verso il nasino a patata di Giulia.
– Allora? non hai ancora risposto. Pensi davvero che sia una pompinara?
Prima che potessi parlare, sempre che avessi trovato qualcosa di non troppo stupido da dire, con le mani appoggiate ai lati del mio sedere e un solo rapido gesto del collo, si infilò il cazzo tra le labbra per tutta la sua lunghezza e arrivò a toccare il pube con la punta del naso. Rimase così un secondo, poi invertì il movimento e cominciò la risalita con un leggero risucchio, dalla base fino al glande – ma senza lasciarselo scappare – e sempre con le labbra perfettamente aderenti all’asta. Un altra pausa per prendere fiato e approfittare della posizione per guardare nei miei occhi come stava andando. Ancora: dentro, pausa, fuori, pausa. Ad ogni nuova infilata le pause diminuivano, così che il ritmo stava crescendo sempre più e i rumori, all’inizio appena percettibili, si aplificarono, e ogni risucchio e ogni suo respiro per prendere fiato divennero chiaramente udibili, mandandomi in visibilio.
– Che troia! – sospirai, come in trance.
Come lo dissi, Giulia estrasse si fece uscire l’uccello di bocca, che sembrò una bottiglia stappata. La subitaneità di quel gesto mi stupì: – Merda, non dirmi che si è offesa! – pensai. Ma nulla era più lontano dal vero: mostrò la sua gioia per la mia affermazione prendendo il cazzo alla base con la destra e facendoselo sbattere sul viso quattro o cinque volte con aria libidinosa. Da qui ci fu un cambio di trattamento: la destra iniziò a segarmi a ritmo sostenuto, mentre la sinistra mi massaggiava i testicoli, e solo la cappella rimaneva nella sua bocca con la lingua che la spennellava in ogni direzione. Per essere più comoda Giulia si era accovacciata in una mezza pecorina sul letto, e la maglietta risalita mi permise di notare portava un tanga di pizzo bianco. Le chiappe rotondissime e sode erano abbronzate quanto le gambe, segno che evidentemente era abituata a prendere il sole in tanga. Questo pensierò mi provocò un brivido al cazzo che scorse come una scossa lungo tutta l’asta, insieme ad una mezza sborrata che, con un attimo di concentrazione, riuscii a trattenere. Ma il culo era troppo lontano e così allungai il braccio sinstro per toccare il seno destro di lei: lo soppesai e tastai per bene, finché trovai il capezzolo già duro che doveva essere bello grosso per sentirsi attraverso la stoffa grossa di quella t-shirt di scarsa qualità. Lo presi tra il pollice e la seconda falange dell’indice, stinsi, tirai.
-Ahh – fece, dolorante, alzando il viso verso di me. Mi prese le mani con le sue – forse per impedirmi di continuare così – e se le poggiò dietro la nuca, invitandomi implicitamente a darle il ritmo della pompata, mentre lei torno a prenderlo in bocca. Questo ennesimo gesto da troia consumata m fece perdere la testa -mi hai invitato a prendere il comando, non sai cosa ti aspetta! – e iniziai un vero e proprio facefuck, dapprima lento e superficiale per poi imporle gradatamente con le mani maggiore profondità e velocità. Più acceleravo, più le sue mani si stringevano alle mie natiche e il suo viso si faceva rosso, ma null’altro mi dava da pensare che il trattamento non le fosse gradito, e di sicuramente non era la prima volta che lo subiva – certo non da Rob, pensai -.
Quando raggiunsi il ritmo più alto che la difficoltà di coordinare il gesto delle mani e l’affondo del bacino mi permetteva e la profondità fu tale da sentire ad ogni affondo il rumore trattenuto del riflesso faringeo, giunsi al culmine del piacere e, tenendole la testa inchiodata alla mia pancia, le venni direttamente in gola. Fu una sborrata davvero potente: di ciascuno dei tre schizzi riuscii chiaramente a percepire il percorso del seme dalla base del cazzo fino all’espulsione violenta. Dopo, il bacino e tutta la zona del basso ventre, uccello compreso, fu percorso da degli scossoni involontari mentre Giulia alzava la testa per riprendere finalmente fiato. Nella foga della pompata le avevo scompigliato i capelli ma era comunque stupenda: tracce di bava sulle labbra, gli occhi lucidi e il viso ancora rosso la rendevano simile ad una bambina che piange. Ma Giulia era tutt’altro che dispiaciuta.
-Allora? – disse infine, asciugandosi col braccio le labbra.
-Te ne vai già via domani? Dovreste rimanere ancora un po’. – Il suo sorriso si tramutò in una risata sincera.
-Adesso almeno non hai più dubbi no? Ma non dirlo al mio cucciolotto, che ci rimane male. Se fai il bravo chissà… potrei dover ripassare qualche giorno qui da voi, ogni tanto.
Nel dire ciò si alzò, mi diede un ultima tastata alle palle ancora scoperte, un bacio sulla guancia e andò in bagno chiudendo la porta a chiave dietro di lei.
Si era fatto tardi, e ormai dovevo andare direttamente al lavoro senza passare in banca. Rimisi i calzoncini, passai in camera a raccogliere il cellulare, notando Filippo che russava della grossa a quell’ora – com’era sua abitudine – e me ne andai prima che Giulia uscisse dalla toilette.
Li rividi sono il giorno dopo all’ora di pranzo quando stavano per uscire. Ero in cucina con Filippo a preparare qualcosa da mangiare – ciascuno per sé – e Roberto e Giulia, carichi di valigie, si avviavano alla porta.
-Ciao ragazzi, ci rivediamo i primi di settembre credo, in ogni caso ci sentiremo!
-Ciao, grazie dell’ospitalità – fece Giulia.
Io mi avvicinai, diedi una calorosa stretta di mano a lui augurandogli buone vacanze, e due baci sulle guance a lei.
-E’ stato un piacere – le dissi.
Filippo, che aveva solo lanciato un – ciao!- da lontano, si rivolse a me solo qualche secondo dopo che i due avevano chiuso la porta dietro di sè.
-Oh zio, ma è quella la tipa del Bob?! Che pezzo di figa!
-Eh..