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Lezione serale

Ecco, ci siamo, devo entrare in classe, proprio in quella, l’ultimo anno. Non mi piace quella classe, ci sono cinque o sei ripetenti che fanno i gradassi, disturbano gli altri che poi si lasciano trascinare.
Poi mi capita sempre il venerdì sera, quando la settimana lavorativa finisce e mi sento sempre molto stanca. Per fortuna l’ora di lezione &egrave di cinquanta minuti e quindi durerà molto di meno.
Sono davanti alla porta, vorrei non entrare, ma il dovere mi chiama. Sento i ragazzi in classe che parlano ad alta voce, praticamente tutti insieme. Il risultato &egrave un chiasso infernale.
Forza Marina, fai un gran respiro e apri quella porta. Coraggio, &egrave l’ultimo sforzo settimanale.
Così metto la mano sulla maniglia e apro. Ovviamente solo pochi smettono di parlare, gli altri continuano, incitati dai ripetenti. Qualcuno mi guarda, qualcun altro parla al cellulare, altri giocano col cellulare, altri parlano tra di loro.
L’unica &egrave fare finta di nulla e sedermi alla cattedra come se fosse una normale lezione. Poggio la borsa sulla scrivania col libro di trigonometria accanto e mi seggo.
Ma che stupida, mi dico ancora, proprio oggi ho messo la gonna, anche un po’ corta. Ma sono proprio rimbecillita. La scrivania &egrave aperta davanti e devo fare molta attenzione a non dare spettacolo. L’unica sarebbe restare in piedi, ma ormai sono seduta e non voglio che mi credano imbarazzata.
Comunque, stranamente, appena mi siedo la classe si zittisce. Mi guardo intorno stupita. Cosa &egrave successo? In genere non smettono mai di ciarlare. Vedo i loro sguardi su di me. Li vedo alzare e abbassare lo sguardo, guardano me e ‘ e sotto la cattedra. Certo, avrei dovuto immaginarlo, ora sono intenti a guardare le mie gambe. L’imbarazzo si fa terribilmente pesante. Dovrei alzarmi e fermare lo spettacolo, ma avrei dato il via ad una nuova caciara. Sono indecisa. Certo se non avessi messo la gonna non mi sarei sentita così. Cosa devo fare.
Resto parecchio tempo in uno stato di incertezza, immobile, con mille e mille pensieri che mi passavano per la testa. Quei ragazzi terribili che stavano sempre dietro alle ragazzine ora guardavano le mie gambe. Non che fossero scoperte del tutto, ma certamente non poco.
I due più terribili erano anche seduti al primo banco. Non smettevano di guardare sotto la cattedra e non facevano nulla per nascondere quel loro interesse, tant’&egrave vero che si davano anche piccole gomitate sorridendo maliziosamente.
Oddio, cosa faccio? Certo non potevo restare immobile e in silenzio. Non potevo nemmeno dire loro qualcosa. In effetti la colpa era mia di tutto questo. Forse l’unica soluzione sarebbe stata quella di far finta di nulla. Di fare lezione come se non stesse succedendo nulla.
Così presi il libro e dettai il primo problema che avrebbero dovuto risolvere.
Tutti scrissero, anche quei due al primo banco, ma non avevano nessuna intenzione di svolgere il compito. Continuavano a fissarmi.
Cosa avrei dovuto fare? Continuare a far finta di niente? Riprenderli?
Gli sguardi si facevano più insistenti e, assurdo, una strana sensazione mi stava prendendo. Quegli sguardi così penetranti stavano iniziando a piacermi. Mi appoggiai allo schienale della sedia e mi spinsi un tantino più avanti, come se volessi trovare una posizione di riposo. La conseguenza fu di sollevare la gonna ancora un po’ destando sempre più l’attenzione dei ragazzi. Sentivo il cuore che mi batteva più forte. Quegli sguardi mi provocavano dei brividi, una sensazione che non avevo ancora provato.
Accavallai le gambe e gli occhi erano ancora più decisi e attenti, così anche le gomitate si facevano più frequenti.
Scavallai le gambe lentamente, provocando maggiore attenzione. Sentii che il mio basso ventre rispondeva a questa manovra. L’eccitazione compariva improvvisa e sconvolgente.
Lentamente sollevai una gamba portando la punta di un piede sul tallone dell’altro, mostrando di conseguenza una generosa porzione di gambe. Restai qualche secondo in quella posizione cogliendo sul viso dei ragazzi della prima fila un sorriso ammirato. Sentii lo stupore dentro di me e l’eccitazione che mi prendeva.
Diavolo, mi piaceva dare spettacolo, mi piaceva che qualcuno sbavasse per i miei piccoli e semplici movimenti. Da un lato una vocina mi diceva di smettere, di fermarmi prima che succedesse l’inevitabile, dall’altra un’altra vocina mi incitava a proseguire.
‘Falli sbavare quei due ragazzi, falli arrapare, lo vedi che piace anche a te.’
Col cuore che batteva forte ripetei lo stesso movimento con l’altro piede, facendo salire la gonna ancora di più.
Lentamente e maliziosamente ripetei altre volte questo movimento, facendo aumentare di molto l’attenzione dei due ragazzi. Ma anche altri se ne accorsero e presero a guardarmi, forse anche increduli. La loro professoressa tanto temuta e autoritaria in quel momento stava dando spettacolo.
E la cosa mi piaceva sempre più.
Stavo arrivando a un momento di eccitazione incredibile, a un punto di non ritorno.
‘Professoressa ‘ professoressa ‘ una voce al mio fianco mi fece sobbalzare ‘ il mio compito.’
Uno dei ragazzi più bravi aveva finito di fare il compito e me lo stava consegnando.
Lo presi con le mani tremanti e lo misi alla mia destra. Piano piano arrivarono anche gli altri e, sempre tremando, misi un compito sull’altro, cercando di mantenere un certo contegno.
Guardai i ragazzi e dai loro sguardi capii che erano consapevoli del mio stato d’animo e quasi ridevano della situazione.
Il campanello di fine lezione e il bidello che aprì la porta arrivarono in mio soccorso.
Con la testa piena di mille pensieri, mi ricomposi mettendo la gonna al suo posto, mi alzai e uscii dirigendomi di corsa alla macchina.
Vidi i due ragazzi venire dalla mia parte, nervosamente riuscii ad aprire lo sportello, entrare in macchina, mettere in moto e partire.
Andai a casa distrutta, con la speranza che questo episodio fosse finito lì, senza avere delle conseguenze future.
Ma lo speravo davvero? Pensieri

La notte del venerdì dormii malissimo.
Dormii a tratti, svegliandomi di continuo, sudata e terrorizzata.
Avevo ancora negli occhi gli sguardi e le risatine dei miei alunni, di quelli che stavano proprio di fronte a me, i più grandi e i più indisciplinati.
Li vedevo avvicinarsi a me, come in un film dell’orrore, avvicinarsi ridendo e con le mani tese, pronte a toccarmi, a farmi chissà cosa, forse a violentarmi.
‘Stupida, stupida, stupida.’
Era la parola che mi ripetevo di continuo.
Ma come mi &egrave venuto in mente?
Ma cosa pensavo di fare?
E poi al parcheggio, la paura di essere inseguita, la paura che potesse capitarmi chissà cosa.
Mi alzai dal letto fradicia di sudore e andai in cucina.
Avevo la testa che mi girava e la fronte che scottava.
Aprii il frigorifero e presi la vaschetta col ghiaccio. Avevo brividi di freddo, ma la testa era un focolare acceso. Mi sedetti accanto al tavolo della cucina e mi passai più volte la vaschetta del ghiaccio sulla fronte. Provai finalmente un senso di freschezza e di rilassamento.
Pensai che fosse meglio farmi una camomilla per riuscire a dormire.
Come un automa misi il pentolino con l’acqua sul fuoco e presi dal pensile in alto una bustina di camomilla.
Avevo lo sguardo fisso nel vuoto, rivolto ad un infinito oltre le pareti della casa, oltre un ipotetico orizzonte che non potevo certo vedere, verso pensieri sempre più forti, sempre più martellanti.
Il rumore dell’acqua che bolliva mi fece trasalire, con le mani tremanti mi preparai la camomilla e, seduta vicino al tavolo, iniziai a sorseggiarla.
Il mio sguardo non percepiva nulla, solo le figure nella mia mente e solo tanti, tantissimi pensieri che entravano e uscivano, passavano senza fermarsi, lasciandomi nella mente qualche parola, qualche sensazione assurda per me ancora inconcepibile e incomprensibile.
Cominciavo anche a ragionare, ma era nell’ordine naturale delle cose.
La mia mente matematica e logica cominciava ad avere il sopravvento, ma il ragionamento, i pensieri, le sensazioni, quel turbinio di cose che si muoveva nella mia mente mi mettevano paura, tanta paura da farmi addirittura tremare.
Mi ero fatta guardare, ammirare, con sfrontatezza.
Di certo non ho impedito nulla, non mi sono fermata, non mi sono coperta, non ho fatto nulla per impedire che mi guardassero.
E poi quella vocina, quella che mi spingeva a continuare, ora la sentivo ridere, ridere di me.
‘Ma perché stai a rovinarti il cervello ‘ mi diceva con sarcasmo ‘ era chiaro che lo volevi, ti volevi far guardare e ti piaceva che lo facessero. Quindi ora &egrave inutile che ti tormenti.’
Certo, quella vocina aveva ragione, il ragionamento filava a meraviglia: se avevo fatto quello che ho fatto sicuramente mi piaceva ‘ ma perché poi mi piaceva?
‘Dai che ti piace ‘ ecco ancora quella vocina ‘ scommetto che in classe ti sei anche bagnata. E scommetto che anche ora ti stai bagnando.’
Mi guardai intorno, quella vocina mi sembrava davvero reale, anche se sapevo che era la mia mente a parlarmi.
Sì, la mia mente.
Ma allora, se la mia mente mi diceva quelle cose ‘ allora ‘ allora mi piaceva davvero e ‘ e mi piace anche ora?
‘Ci stai pensando ‘ ancora lei, la vocina perversa ‘ lo so che ci stai pensando, perché ti piace, non &egrave vero?’
‘Ma cosa vuoi da me? ‘ mi stupii a parlare con quella voce, una voce senza corpo ‘ cosa vuoi che faccia?’
‘Apri le gambe, passati un dito tra le grandi labbra e capirai.’
Come un automa feci quello che i miei stessi pensieri mi dicevano di fare. Mi toccai tra le gambe e sentii le dita bagnarsi.
Tolsi immediatamente la mano e guardai le mie dita bagnate.
‘Oddio, no, no, no.’
Dissi quasi con disperazione.
Le mie dita erano la prova. Quei pensieri, quello che avevo fatto, quello che provavo, quello che ‘ oddio, mi stavo eccitando davvero.
‘Non &egrave possibile ‘ dissi senza parlare ‘ io non sono così, non può essere così!’
Guardai la tazza di camomilla ancora piena a metà e decisi di berla subito, dovevo calmarmi, dovevo dormire, forse la notte mi avrebbe fatta star meglio, forse il sonno mi avrebbe liberata da certi pensieri.
Finii di sorseggiare la camomilla cercando di non pensare. Posai la tazza nel lavello e aprii l’acqua fredda. Mi sciacquai il viso e mi asciugai con lo strofinaccio.
Mi sentii meglio.
Volevo dormire, dormire e non sognare.
Domani sarebbe stato un giorno migliore.
Andai in camera mia, mi misi nel letto, spensi la luce, mi sistemai sotto le coperte e mi addormentai.

Il sabato e la domenica, bene o male, passarono.
Passarono con tranquillità e a volte anche con molta serenità, anche se ogni tanto mi tornavano alla mente quei momenti che a volte maledicevo e altre, mio malgrado, no.
Mi sembravano strani i miei pensieri.
Sono sempre stata una donna decisa: se una cosa la vedo bianca &egrave bianca e basta. Non torno mai indietro nelle decisioni che, una volta prese, sono legge per me.
Eppure ‘
Eppure i pensieri di quei giorni si accavallavano di continuo.
A volte mi disprezzavo, a volte mi perdonavo, altre mi davo della stupida e altre ancora mi sentivo eccitata.
Ma, come dicevo, anche la domenica passò e mi ritrovai ad iniziare la settimana con animo e pensieri molto diversi dal solito.
Ritorno a scuola

Quel lunedì, tutto sommato, mi sentivo meglio, forse il pensiero che non avrei dovuto fare lezione in quella classe mi dava un certo senso di sicurezza.
In ogni caso non sarei passata nemmeno davanti a quella classe, per cui il pericolo di incontrare quei ragazzi era davvero minimo.
Quella mattina il sole splendeva e non faceva freddo, per cui decisi di vestirmi in maniera adeguata, camicetta con gilet di cotone e gonna, forse un po’ corta per le mie abitudini, ma, guardandomi allo specchio, non mi sembrava poi tanto. La gonna era di poco sul ginocchio e sicuramente molto meno corta di quelle che indossavano anche alcune mie colleghe.
Decisi quindi che l’abbigliamento era perfetto e andai a scuola.
La giornata era tiepida e mi dissi soddisfatta della scelta dell’abbigliamento, mi sentivo bene e guidai tranquilla e serena.

A scuola mi recai subito in presidenza e poi nell’aula professori per prendere i registri. Avevo lezione in un paio di classi abbastanza tranquille e con alunni al di sopra della sufficienza.
Salii le scale che mi portavano al piano delle prime aule e presi il corridoio per raggiungere le aule.
‘Ciao prof.’
L’improvvisa voce alle mie spalle per un attimo mi prese alla sprovvista, comunque mi girai sorridendo pensando che fosse un mio collega.
Ma il mio sorriso si spense subito quando incrociai gli occhi di uno di quei ragazzi, proprio il più grande, quello che dava a tutti dei problemi.
‘Buon ‘ buon ‘ buon ‘ balbettai abbassando lo sguardo ‘ buongiorno’
‘Peccato che oggi non sei con noi ‘ disse dandomi sfrontatamente del tu ‘ ma domani sarà diverso.’
Non gli risposi, non so perché, eppure avrei dovuto metterlo a posto, fargli capire che non era quello il modo di rivolgersi alla propria insegnante.
Non feci nulla, rimasi immobile con il capo chino davanti a lui.
‘Però domani avremmo piacere che mettessi una gonna più corta ‘ continuò senza problemi ‘ hai belle gambe e non devi nasconderle.’
Alzai per un attimo la testa e cercai i suoi occhi. Volevo dirgli di non permettersi più di rivolgersi a me in quel modo, con quel tono e non darmi più del tu.
Fu un attimo solo, non riuscii a sostenere il suo sguardo e abbassai immediatamente gli occhi e la testa.
‘Devo ‘ devo ‘ farfugliai ‘ devo andare in classe.’
‘Vai prof ‘ disse lui con un sorriso compiaciuto ‘ vai tranquilla, ci vediamo domani e ricordati quello che ho detto.’
Si girò e raggiunse le scale scomparendo alla mia vista.
Io rimasi ferma, quasi stordita, come se avessi ricevuto un colpo allo stomaco.
Lentamente alzai lo sguardo e mi sentii risollevata nel vedere che quel ragazzo era scomparso.
Con la mano tremante mi sistemai i capelli come se avessi la sensazione che si fossero spettinati, tirai un forte respiro e andai verso la classe che mi aspettava.
La lezione non fu facile, mi veniva in mente sempre quel ragazzo, la sua arroganza, il suo atteggiamento da superuomo, il suo sentirsi al di sopra di ogni cosa e il suo rivolgersi a me come se fossi una sua sottoposta o, peggio, una sua sottomessa.
‘Dai che ci pensi con piacere ‘ ecco ancora quella vocina ‘ ti piace quel ragazzo e ti piace anche come ti tratta.’
Cercai di mantenere un atteggiamento distaccato, cercai di pensare alla classe, agli alunni, alla lezione, cercando disperatamente di scacciare dalla mia mente quel pensiero.
Feci fare ai ragazzi un po’ di pratica con esercizi presi da un mio libro in modo da non sembrare impacciata durante la lezione, ma questo non mi impedì di pensare, pensare, pensare.
Quello che mi rendeva più nervosa era il fatto di non essere stata in grado di rispondere per le rime a quel ragazzo, eppure sono sempre riuscita a zittire e a mettere a posto tutti quelli che si comportavano con me in modo non appropriato.
Presi la scusa che non volevo creare scandalo nella scuola. Se avessi risposto per le rime, probabilmente lui avrebbe alzato la voce e di conseguenza l’avrei alzata anche io.
Ma questa non era la verità, lo sapevo benissimo.
Pensai a tante altre cose, forse ero stata presa alla sprovvista, ma anche questo non mi fece stare meglio, anche questo non giustificava il mio atteggiamento.
‘Non essere bugiarda con te stessa ‘ di nuovo la vocina ‘ lo sai bene che cerchi solo delle scuse per giustificare quello che provi. Sii sincera con te stessa!’
Ma non &egrave possibile, non &egrave possibile che io possa pensare che la cosa mi piace, io non sono così, sono una seria professoressa, sono diversa.
Alla fine decisi che la cosa non avrebbe più avuto un seguito. Decisi che l’indomani avrei indossato dei pantaloni e nemmeno attillati. Di sicuro non avrei ripetuto lo spettacolo indecoroso del venerdì sera.
Questo pensiero mi tranquillizzò parecchio, tanto che trascorsi il resto della lezione anche con un bel sorriso stampato sul mio viso.
Al suono della campanella raccolsi gli esercizi svolti, misi tutto nella mia borsa e uscii dalla classe.
Superato l’uscio, mi guardai a destra e a sinistra temendo di incontrare ancora quel ragazzo.
Vidi solo i professori che dovevano cambiare classe e mi incamminai verso quella dove avrei tenuto l’altra mia lezione.
Davanti alla porta mi guardai ancora attorno, poi, son un sospiro, entrai in classe.
‘Dimmi la verità ‘ sempre quella vocina ‘ ci sei rimasta male che non ti ha aspettata.’
Mi fermai un attimo. Mi diedi anche della matta. Mi sembrava quasi di impazzire. Ma com’&egrave possibile che una parte di me possa desiderare cose così assurde. Eppure quella vocina doveva per forza far parte di me, del mio intimo, del mio subconscio.
Cercai di scacciarla, ma mi risuonò ancora una volta come una risatina.
Volevo fuggire via, andare a casa, farmi una doccia ghiacciata, ma il dovere mi richiamava all’ordine e in quel momento c’era una lezione da fare.
Mio malgrado mi sedetti alla cattedra e iniziai a interrogare qualcuno.
Gli alunni lì erano di un ottimo livello, per cui l’interrogazione e la successiva spiegazione fu assolutamente tranquilla e senza intoppi.
Uscendo dalla classe mi ritrovai tra la folla di studenti che guadagnavano l’uscita. Istintivamente abbassai lo sguardo cercando di non guardare nessuno negli occhi.
Andai in sala professori e posai registri nel mio armadietto.
Ero ancora frastornata e dovetti sedermi per qualche momento su una sedia vicino al tavolo dei colloqui.
Avevo lo sguardo fisso nel vuoto.
Ma cosa mi stava succedendo?
Era mai possibile che un ragazzino, anche se praticamente ventenne, mi facesse star così male?
Mi sembrava chiaro cosa volesse da me.
Ma io cosa volevo?
Avrei dovuto reagire, questo &egrave vero, ma perché non l’ho fatto?
Perché non ho reagito?
‘Perché ti piace!’
Ancora la solita vocina, ma questa mi sembrava più chiara, più nitida, più vicina, più logica.
Mi venne di scuotere la testa per scacciare questi pensieri.
Una bella doccia fredda, ecco quello che mi ci voleva: una doccia fredda.
Mi alzai con decisione e uscii dalla sala professori.
Mi guardai intorno, ormai erano andati via quasi tutti, restava solo qualche professore.
Uscii dalla scuola e andai nel parcheggio a prendere la macchina. Mi sedetti e accesi il motore. Mi fermai un attimo e pensai ancora a quello che mi aveva detto quel ragazzo. Doveva essere pazzo se pensava che lo avrei accontentato. Misi la cintura di sicurezza e partii.
All’uscita del parcheggio mi ritrovai di fronte quel ragazzo. Rallentai e quasi mi fermai mentre lui, sorridendo, mi fece l’occhiolino e, ruotando l’indice della mano destra, mi fece capire che ci saremmo rivisti l’indomani.
Lo guardai solo un attimo perché ancora una volta non riuscivo a mantenere il suo sguardo, ma forse non ci sarei più riuscita.
Poi premetti l’acceleratore e mi allontanai.
Durante il ritorno a casa ero molto distratta, tanto che sbagliai strada almeno un paio di volte, eppure era un percorso che facevo ogni giorno ormai da qualche anno.
Mi mordevo le labbra e cercavo di scacciare quello strano senso di eccitazione che mi prendeva.
Ad un semaforo rosso mi guardai per un attimo le gambe, la gonna un po’ sopra il ginocchio. In un attimo decisi di tirarla un po’ più su, così mi sollevai dal sedile quel poco che bastava per farmi tirar su la gonna. Ora l’orlo era un po’ più di metà coscia. Sorrisi, forse aveva ragione, non devo nascondere le gambe.
Il semaforo divenne verde e io ripartii.

Shopping

A casa mi sentivo molto meglio, la vocina non la sentivo più e quindi decisi che avrei passato la sera a fare un po’ di shopping.
Ancora non sapevo cosa comprare, ma il girare per i negozi e guardare un po’ di vetrine mi aveva sempre elettrizzata, e anche allora era una di quelle volte.
Preparai un pranzo leggero e mi stesi sul divano per riposare un po’, prima di prendere il caff&egrave.
Mi sentivo bene, sì, ma nello stesso tempo ero ancora un po’ nervosa.
Volevo chiudere gli occhi per far riposare un po’ anche la mente, ma non ci riuscivo.
La vocina, quella stramaledetta vocina era ritornata e continuava a martellarmi il cervello.
‘Ti piace, non &egrave vero? ‘ continuava a ripetere ‘ dai, su, ammettilo che ti piace.’
Mi rigiravo sul divano di continuo, maledetta vocina, perché continuava a tormentarmi?
Ad un certo punto il silenzio, finalmente, ero di nuovo sola e, finalmente, riuscii a chiudere gli occhi.

La sveglia suonò.
Avevo dimenticato di averla preparata. Mi stiracchiai e guardai l’ora. Giusto in tempo per prepararmi e per andare. Lo shopping era più che un divertimento per me.
Presi un bel caff&egrave, mi lavai e tornai in camera mia per prepararmi.
Solito problema: cosa mettermi per uscire?
Guardai sul letto quello che avevo indossato la mattina per andare a scuola.
Tutto sommato potevo anche mettere le stesse cose, sarei dovuta andare a misurare dei vestiti, delle scarpe. In fondo quel vestito era abbastanza comodo per questo scopo. Decisi di rimetterlo.
Non volevo far tardi, volevo godermi tutto il pomeriggio in giro per negozi. Chissà se avrei trovato qualcosa che mi piacesse.
Come d’abitudine mi guardai allo specchio prima di uscire. Tutto sommato per un pomeriggio di shopping andava più che bene, e poi quel sorriso che vedevo nello specchio mi diede una ulteriore carica.
Non indugiai oltre, presi la borsa, aprii la porta e uscii.

Fermai la macchina in uno di quei grandi parcheggi al di fuori dell’isola pedonale al centro della città. Mi guardai nello specchietto, come al solito, per controllare il leggerissimo trucco che ero solita avere, scesi dalla macchina, feci scattare la chiusura e l’antifurto col telecomando e mi avviai verso il centro, verso quello che da tempo ormai era diventato un enorme centro commerciale a cielo aperto.
Mi piace fare shopping, mi &egrave sempre piaciuto, mi rilassa e mi permette di essere sempre alla moda, come credo che piaccia a tutte le donne.
Passai oltre qualche negozio di cianfrusaglie, di quelli che vendono solo cose cinesi o di pessima imitazione e mi recai direttamente al mio negozio preferito, quello che aveva un po’ di tutto, dalle scarpe a vestiti da sera e persino intimo di gran gusto.
Entrai e cercai la commessa che conoscevo, quella che mi aveva sempre dato degli ottimi consigli senza peraltro farmi spendere una fortuna.
Non la trovai al banco dove era abitualmente, al suo posto una nuova commessa, mai vista prima, ma con un sorriso davvero simpatico e accattivante.
Le chiesi della mia commessa e mi rispose che era in ferie per un breve periodo, che sarebbe tornata più o meno tra una decina di giorni e che sarei dovuta ritornare per trovare lei.
Per la verità non me la sentivo di lasciar passare altri dieci giorni. Ero uscita per guardare e magari acquistare qualcosa di nuovo e non volevo perdere l’occasione. Le chiesi se fosse libera e, al suo sì, le chiesi di consigliarmi qualcosa per rimodernare il mio guardaroba. Nulla di molto costoso, ovviamente, ma tanto per avere qualcosa di nuovo da indossare.
Si mise subito a mia disposizione facendomi girare tra gli stand pieni di vestiti, gonne, camicette davvero molto belle. Mi fermai un attimo a guardare delle gonne di cotone molto leggero e molto signorile, proprio del tipo che si addiceva al mio carattere.
‘Mi permetta ‘ mi interruppe la commessa ‘ per lei ci vorrebbe qualcosa di più allegro, qualcosa che faccia risaltare il suo fisico. Lasci perdere queste cose così serie, io le consiglierei qualcosa di più giovanile, di più allegro appunto.’
Senza pensarci su le chiesi di farmi vedere qualcosa, così mi portò vicino uno stand di gonne, camicette e vestiti di vari colori, c’era qualcosa anche di blu, di nero, di bianco, ma di un taglio e di un design che sarebbe stato benissimo ad una ventenne, non certo a me.
‘Non deve buttarsi giù ‘ mi disse la ragazza ‘ lei ha tutti i numeri per non sfigurare, anzi molte giovanissime perderebbero tantissimi colpi con lei.’
Le chiesi di mostrarmi qualcosa da indossare per andare a scuola, dove insegnavo, qualcosa di moderno, leggero e sobrio al tempo stesso.
‘Con il fisico che si ritrova ‘ riprese la commessa ‘ farà sicuramente girare la testa ai suoi alunni, specialmente ai più grandi!’
Chinai la testa e cercai di evitare di guardarla negli occhi. Sentii le guance farsi di fuoco e immaginai di essere arrossita.
‘Credo di aver visto giusto ‘ continuò ‘ sicuramente la guarderanno e cercheranno di indovinare cosa c’&egrave sotto i suoi vestiti. Io sarei portata a consigliarle qualcosa di più frivolo, qualcosa che li renda felici di averla come insegnante. Insomma valorizziamolo questo corpo così ben fatto.’
Così mi mostrò dei vestiti molto belli, per la verità, ma anche molto corti, forse non eccessivi, ma certamente più corti di quelli che mi permettevo anche d’estate per il mare.
Mi invitò a misurarli senza problemi, per primo mi propose un vestito con corpetto aderente, abbottonato dal collo alla vita e con la gonna plissettata che, a vederla, mi sembrava davvero corta. Comunque accettai il suo invito e entrai nel camerino per cambiarmi.
Mi spogliai e misi quel vestito, cercando di guardarmi allo specchio per vedere come mi stesse. Certo il vestito era molto bello e anche la stoffa era davvero di ottima fattura, ma lo specchio troppo vicino non mi dava la possibilità di guardarmi bene. In ogni caso la gonna quasi a metà coscia mi sembrava davvero troppo corta, pensai di toglierlo quando, all’improvviso, si aprì la tenda del camerino e la commessa, con voce tranquilla mi disse:
‘Certo qui non riesce a guardarsi bene, le conviene venire qui fuori, ci sono specchi a distanza giusta che le permettono di osservarsi senza problemi.’
Non volevo contraddirla, per cui la seguii all’esterno e mi guardai a uno degli specchi posti alla giusta distanza. Il vestito era bello, sì, ma era davvero corto, almeno dal mio punto di vista. Lo dissi alla commessa.
‘Ma sta scherzando ‘ mi disse sorridendo ‘ secondo me &egrave invece anche troppo lungo. Il suo corpo e le sue gambe hanno bisogno di essere valorizzati, non di essere nascosti. Forse con delle scarpe col tacco un po’ più alto sarà perfetto, anche se io lo preferirei più corto.’
Mi girai verso di lei e la guardai quasi con meraviglia, ma non dissi nulla, anzi mi guardai ancora allo specchio per osservarmi meglio.
‘Metta queste ‘ disse la commessa porgendomi delle scarpe col tacco altissimo, molto più alto delle mie ‘ vedrà come si valorizzerà tutto l’insieme.’
Mi indicò una sedia dove avrei potuto sedermi per cambiare le scarpe. Mi sedetti e lei mi si accovacciò ai miei piedi aiutandomi, proprio come una perfetta commessa.
Quando mi alzai mi sentii immediatamente più alta, era una sensazione strana, ma, in ogni caso, piacevole.
Mi specchiai e rimasi quasi a bocca aperta. Certo la mia figura si slanciava ancora di più, ma la gonna era salita ancora un po’. Credo che iniziai ad arrossire perché sentivo le mie guance farsi più calde.
‘Lo vede che avevo ragione? ‘ proseguì la commessa ‘ Ora sì che il suo corpo inizia a valorizzarsi e le sue gambe a slanciarsi ancora di più. Certo sarebbe stato meglio una gonna più corta, ma si può sempre rimediare.’
‘Ancora più corta? ‘ dissi con meraviglia ‘ Non ho mai portato abiti così corti né tacchi così alti, mi vergogno un po’.’
‘Ma via, cosa dice ‘ incalzò ‘ io sarei orgogliosa di avere un fisico come il suo. Inoltre vedo che ha già degli ammiratori.’
Finì la sua frase indicandomi con lo sguardo l’interno del negozio dove qualche uomo mi osservava quasi con piacere.
Avrei voluto correre in camerino e ricambiarmi, ma la solita vocina mi fermò.
‘Non fare la stupida, resta qui e fatti ammirare, lo so che piace anche a te e anche la commessa se n’&egrave accorta.’
Un leggero sorriso comparve sul mio viso, un sorriso che non passò inosservato alla commessa.
‘Lo vede che avevo ragione ‘ disse ‘ a ogni donna piace essere ammirata, specialmente a una donna bella e sexy come lei.’
A quelle parole mi misi a ridere e con me la commessa. Pensai che fosse una gran furbacchiona e che ci sapesse fare con le clienti, ma a me piaceva quel suo modo di fare, per cui seguii i suoi consigli.
Quella sera comprai quel vestito, un paio di gonne più corte, due paia di scarpe e anche dell’intimo molto frivolo, compresi due perizoma quasi inesistenti.
Tornai a casa allegra, con la vocina che mi canticchiava canzoni divertenti nella testa. Pensai persino che forse non avrei mai indossato quelle cose, ma finii i miei pensieri con un bel ‘mai dire mai’.

Autore Pubblicato il: 7 Maggio 2016Categorie: Racconti di Dominazione, Racconti Erotici Etero0 Commenti

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