Ero in anticipo, ma faticai a trovare il numero tre di Via dei Tigli. Comunque fui rinfrancata del fatto che l’accesso era del tutto anonimo e non vi si accedeva da una scala, ma dava sul piano strada, attraverso un tortuoso corridoio a più uscite. Quando suonai guardinga e timorosa alla porta, mi accorsi anche che nessuno poteva vedermi, sempre che quel qualcuno non si fosse diretto dove andavo io. Proprio un posto discreto. La signora Luana venne ad aprirmi con un lindo camice bianco.
L’ingresso era una piccola reception formata da un angolo d’attesa con un discreto bancone elegante. Vi erano delle poltroncine e il classico tavolino accanto ad un portariviste che notai conteneva anche qualche sconveniente rivista per uomini.
“Tu sei?”
Mi chiese allungando la mano.
“Mi chiamo Rosa.”
“Hai già pranzato?”
“No, non ne ho avuto il tempo.”
“Allora mangiamo qualcosa insieme. Vieni.”
Mi fece passare attraverso una porta con scritto “privato” e arrivammo in una cucina attraverso un piccolo salottino e ci sedemmo al tavolo. Mi guardò attentamente per un tempo che mi sembrò troppo lungo, poi si alzò prese un vassoio di tramezzini dal frigo, due piatti di plastica, una bottiglia di acqua minerale con due bicchieri e li dispose sul tavolo.
“Hai bisogno di un lavoro extra? Qui il lavoro non ti mancherà certamente. Anzi bella come sei, faranno la coda per inzuppare il biscotto con te.”
In quel momento ebbi un tuffo al cuore e sentii mancarmi le gambe, ma mi feci forza e continuai.
“No, no, non è per questo. Ho bisogno di aiuto. Del suo aiuto.”
Vedevo lo stupore sul suo volto e allora mi confidai, sciorinando tutto quello che aveva dentro, come ad un confessore.
“Mi sono sposata tre mesi fa, ma credo che mio marito non aspetterà ancora per molto e se non cambia qualcosa, credo che penserà seriamente di lasciarmi.”
E le dissi, come un fiume in piena, che mi ero sposata da poco perché che ero innamorata pazza di lui e lui di me e che, finalmente, avevamo coronato il nostro sogno, ma già in viaggio di nozze erano iniziati i nostri problemi.
Ogni volta che mio marito si avvicinava a me, io, pur ardendo dal desiderio, provavo un dolore terribile alle sue manovre e, morale della favola: a tre mesi dal matrimonio ero ancora vergine. Al ritorno del mio scellerato viaggio di nozze avevo fatto tutte le analisi possibili, ma il professore cui mi ero affidata, mi comunicò che non avevo nessuna malformazione e niente di patologico; era una semplice dispareunia di origine psicogena che, com’era arrivata, se ne sarebbe andata via da sola. Mi disse che la mia dispareunia nascondeva un vaginismo d’ordine psichico che poteva derivare da un trauma, da una paura o addirittura da una mia fobia della sessualità. Mi prescrisse delle sedute con una psicologa che io feci, per poi sentirmi dire che probabilmente erano tutti i freni che mi erano stati autoimposti dalla mia rigida educazione che non riusciva a coniugare il mio stato con quello di donna e futura madre e che ……. bla, bla, bla, ……. ma, che col tempo sarebbe andato tutto a posto. Insomma: aria fritta. Ma quando sarebbe finito? Nessuno sapeva darmi una risposta certa. Ancora la sera prima con mio marito avevamo riprovato, ma tutto si era risolto in un altro buco nell’acqua ed un’altra notte insonne a piangere in silenzio. Anzi, no: di buchi neanche l’ombra.
“Ecco, è tutto.”
Ce l’avevo fatta a dirlo tutto d’un fiato. Le avevo detto tutto quello che dovevo!
“La prego, mi aiuti lei. Sono disperata.”
Lei pensò un attimo, mi guardò e disse con un mesto sorriso:
“Capisco, mi sei simpatica, ma non sono né un medico né una missionaria e non ………..” In quel momento, la interruppi per non farle finire la frase.
“Ma io intendo comunque pagarla. Vorrei solo che mi facesse capire e mi insegnasse cosa devo fare per non perdere mio marito.”
Stette in silenzio per un tempo che a me parve lunghissimo, poi riprese:
“Va bene, proviamo. Diciamo cinquanta euro a seduta, ma tu dovrai essere come creta nelle mie mani e dovrai fare tutto ciò che io ti dico. Cominciamo da ora. Spogliati.”
La guardai spalancando gli occhi.
“Su, su, forza!”
In quel momento stavo pensando se fuggire o fare quello che mi aveva chiesto, ma dovevo vincere la scommessa con me stessa.
Mentre cominciai a spogliarmi, lei cominciò la sua lezione.
“Lo sai che la maggior parte delle puttane, quando decidono di smettere, sono le migliori infermiere e badanti che ci siano? E sai perché? Perché conoscono bene sia il loro corpo, sia il corpo degli uomini e sanno rapportarsi bene con quella realtà. Non hanno remore a fare cose che per la maggior parte delle persone sono disdicevoli e sconce. Leccheresti il culo di tuo marito? Vedrai che presto ti piacerà fare anche quello. Noi, e anche tu vedrai, lo lecchiamo anche agli estranei e cosa vuoi che sia per noi pulire dei culi, quando fino a ieri l’abbiamo fatto con la lingua. Ecco perché siamo le più attrezzate a fare poi le badanti ed infermiere.”
Io mi ero fermata rimanendo in mutandine e reggiseno abbastanza atterrita da quella premessa.
“Dai, dai. Togli tutto. Da oggi sei apprendista puttana e non credere che sia un disonore per una donna ed una moglie.”
Feci uno sforzo immane a non piangere e a non fuggire via a gambe levate; ero scossa dal linguaggio che non mi era abituale e che non condividevo, ma soprattutto da ciò che stavo facendo.
Ora ero completamente nuda.
Mi guardò con gli occhi che le sorridevano, mi prese la mano e mi condusse nel salottino in mezzo alla stanza, poi si sedette su una poltrona e mi guardò attentamente.
“Sei proprio una gran bella figa. Domani tagliamo tutto questo bosco informe che hai in mezzo alle gambe e poi cominciamo gli esercizi per far contento tuo marito. Girati.”
Mi sentii arrossire e mi girai dandole le spalle.
“Hai proprio un bel culo! Ora allargati le chiappe con le mani.”
No! Quello non potevo proprio farlo!
“Dai, cosa aspetti?”
Dopo quel richiamo, scoppiai in un pianto dirotto. Tutta la tensione che avevo soffocato fino a quel momento, aveva improvvisamente rotto gli argini. Anche lei se ne accorse e mi venne vicino. Mi coprì con una vestaglia e mi sussurrò all’orecchio:
“Non era una richiesta per metterti in imbarazzo o per dare il colpo di grazia alla tua dignità. Gli uomini amano particolarmente il nostro buco del culo, ma quando è bello rosa e noi donne l’abbiamo spesso scuro, così però fa un brutto effetto, ma si può intervenire a schiarirlo. La chirurgia estetica fa miracoli oggi col laser. Voglio migliorare la strafiga che già sei. Vieni che ti mostro la casa.
Io ancora singhiozzando la seguii, ma capivo che lei cercava un diversivo per stemperare la tensione che si era creata.
“Come vedi, gli ambienti sono divisi in due parti alle quali si accede dalle due porte che sono nell’ingresso. Qui, siamo nella parte privata, dall’altra porta nella reception si accede alla parte clienti. Ora sta venendo tardi. Fra poco ho un appuntamento e il lavoro aspetta anche te. Rimettiti in sesto.”
Lei mi accompagno in bagno e mi lasciò aggiungendo:
“Questo è il mio bagno personale e qui non verrà nessuno. Se senti suonare, fermati e aspetta, finché non mi senti andare in camera, poi esci tirandoti la porta alle spalle. Ci vediamo domani alla stessa ora. Ricordati di mettere cento euro sotto il vaso sulla mensola dell’ingresso, prima di uscire; cinquanta per la lezione e cinquanta per il materiale didattico che ti darò domani. Ciao.”
Chiuse la porta e mi lasciò sola.
Mi diedi una lavata al viso e mi vestii in fretta e furia; stavo per uscire quando sentii il campanello dell’ingresso suonare e mi ritrovai in preda al panico. Rimasi immobile in ascolto attentamente con l’orecchio appoggiato alla porta sentendo delle voci allegre, ma non capii niente a causa delle porte chiuse; poi mi parve di sentire una porta che si chiudeva e poi più nulla. Aspettai ancora qualche minuto che mi parve un’eternità e dopo essermi mossa con circospezione e aver messo i soldi sotto il vaso in modo che non si vedessero, uscii in fretta come una ladra, sperando di non incrociare il cliente. Aprii col batticuore, ma nessuno era in vista e velocemente m’incamminai al mio negozio. Che liberazione!
Ero piena di dubbi. Chissà se avevo fatto bene. Nel tratto per raggiungere il negozio avevo come l’impressione che tutti mi guardassero, sapendo cosa avevo combinato e a fatica riuscii a scacciare quel pensiero maligno. Capii, però che non erano tanti gli elementi per decidere se andare avanti o interrompere e mi dissi che non dovevo pensarci più per il momento, ma se non facevo nulla avrei certamente perso mio marito.
Devo dire che mi sentivo molto emozionata e tesa, ma soddisfatta; cosa avrebbe detto e fatto Francesco, se avesse saputo? Mi resi conto che questo era qualcosa che non avrebbe potuto mai essere anche suo e mi rattristò pensare di cominciare ad avere dei segreti con lui. Forse avrei fatto bene a dimenticare i soldi che avevo lasciato sotto il vaso e piantare tutto. Ebbi l’impressione di essere proprio come un cane che si mordeva la coda.
UNA SCOLARA SPECIALE – LA SECONDA LEZIONE – 3
Il giorno dopo, alle dodici e venticinque suonai il campanello e lei si presentò come il giorno prima, con il camice bianco immacolato che si tolse entrando nella parte privata.
Mi accompagnò in cucina, dove sul tavolo aveva già sistemato un vassoio con tramezzini e pizzette e una Coca-Cola grande con due bicchieri.
“Accomodati.”
Presi il borsellino e feci per pagare la lezione, ma lei a quel punto mi fermò:
“Pagherai domani. Ho bisogno di verificare alcune cose che domani ti dirò.”
Non capii il significato della frase, ma ero troppo tesa per replicare; riposi comunque il borsellino a posto, ma quella cosa in sospeso mi allarmò non poco, Cosa stava pensando di propormi?
Lei si rivolse ancora a me e disse indicandomi la sedia.
“Serviti pure.”
Lo disse prendendo un tramezzino subito imitata da me.
“Hai mai fatto un pompino a tuo marito?”
Feci ogni sforzo a non farmi strozzare dal morso a quel tramezzino che non riuscivo più a mandare giù e masticando a fatica scrollai la testa con diniego.
“Tuo marito ti ha mai leccato la fica?”
Sempre masticando e cercando disperatamente di fermare le lacrime che ce la stavano mettendo tutta per uscire, ripetei la scena di prima.
“Sai cos’è un ditalino?”
Quel tramezzino cominciava a diventarmi indigesto e non riusciva ad andare giù. Risposi ancora col capo. Prima dissi di sì, ma subito dopo, sempre col capo, feci segno di no.
“Che risposta è questa? Insomma tu hai mai goduto in vita tua? Sai cos’è un orgasmo?”
Ingoiai con fatica quel boccone indigesto.
“Sì, so cos’è un orgasmo e anche cos’è un ditalino. Avevo, credo, quindici anni quando provai a farlo, ma mi fermai subito, perché ero terrorizzata dal perdere la verginità per sbaglio con le mie dita e non l’ho più fatto da allora. Però a volte, a letto, mi fregavo col cuscino tra le gambe fino a farmi arrivare all’orgasmo, ma è stato molto tempo fa. Il sesso, a dire il vero, non ha mai rappresentato qualcosa d’importante per me e ne sento ora tutto il peso.”
“Pazzesco. Ma da che mondo sei uscita?”
Riempì due bicchieri con la bibita, mangiammo ancora qualche pizzetta, bevemmo e poi disse:
“Vieni, andiamo in bagno, che non abbiamo troppo tempo e ci sono un sacco di cose da fare.”
Passammo per la porta della zona clienti attraverso un salotto molto ben arredato che conteneva riproduzioni di incisioni erotiche del ‘700 che di fatto erano rappresentazioni di una sfrenata pornografia che portarono la temperatura del mio disagio al calor bianco. Il bagno era più grande del salottino, dove mi aveva fatto accomodare il giorno prima. Si capiva che quel posto per Luana costituiva una stanza da lavoro. Una vasca con idromassaggio per almeno quattro persone, posta a filo del pavimento occupava gran parte del locale; davanti alla vasca, appeso a metà della parete, c’era un televisore immenso, mentre sulla parete opposta vi era appesa la riproduzione di un quadro che seppi in seguito essere “L’odalisca bionda” di Boucher che io immaginai come un bravo pittore, ma sicuramente anche come un vecchio sporcaccione.
Prese un telo da bagno bianco e lo stese su una sorta di triclinio in raso, molto elegante e quasi barocco. “Spogliati e poi sdraiati, che torno subito.”
E uscì.
Tornò dopo breve, con un piccolo catino fumante in mano che mi porse ed un fagotto nell’altra che posò sul ripiano della toeletta. Mi si avvicinò sorridendo con una bomboletta, un paio di forbici ed un rasoio e si sedette sul bordo dov’ero sdraiata io.
“Dai che facciamo pulizia.”
Lei tolse il lembo del telo col quale mi ero pudicamente coperta, accarezzandomi i peli del grembo come a sistemarli e io provai a dire:
“Ma cosa dirò a mio marito quando mi vedrà?”
“Che ti sei fatta bella per lui, ma devi imparare che nelle tue cose lui non deve mai entrare; devi sempre lasciarlo ogni tanto a bocca aperta nelle cose del sesso, altrimenti si adagerà e poi, pian piano perderà il ritmo. La voglia di sesso va curata e rimpolpata giorno per giorno.”
Probabilmente sarebbe passato del tempo prima che Francesco si accorgesse che ero depilata; del resto non mi aveva mai vista lì.
Iniziò con le forbici, finché poté, poi mi massaggiò con una crema idratante ed emolliente.
La sentivo armeggiare su di me in zone dove quasi anch’io avevo remore a toccarmi, poi cominciò ad applicare la schiuma dolcemente con i polpastrelli delle sue dita. In quel momento mi sentii illanguidire; forse non è il termine giusto, ma sentii che ciò che stava facendo, aveva un certo effetto su di me.
“Non aver paura, vedo che ti stai rilassando; sento anche, che il tuo corpo reagisce così perché sta bene. Guarda i tuoi capezzoli. Ti stai bagnando; me ne accorgo da come si scioglie la crema vicino alla fessura. È del tutto normale e vedrai che riuscirai ad uscirne dal tuo calvario.”
Poi mi passò delicatamente il rasoio e dove prima c’erano i peli, ora rimaneva una pelle liscia ed infantile.
Mi fece girare e mettere bocconi, allargandomi i glutei che ormai anche per me erano le chiappe.
“Aspetta, vuoi che mi allarghi da sola le chiappe?”
“Ah, ah, ah! Addirittura; ricordi ieri? Comunque hai un culo rosa che è tutto da baciare, ma vedrai che tuo marito ci farà anche dell’altro e non solo quello. Togliamo un po’ di peluria anche qui e abbiamo finito.” Guardai il quadro dell’odalisca e notai che quell’istante ci aveva colto quasi nella stessa posa, ma anche qualcosa d’altro ci univa: anch’io ero sulla strada per diventare una cortigiana.
Dopo un quarto d’ora e dopo aver ispezionato e ritoccato, dove necessario, dalle gambe alle braccia, dalle ascelle alla schiena, prese un panno umido, lo passò sulle parti trattate, mi spalmò ancora della crema e mi fece alzare.
“Guardati ora.”
Mi portò davanti allo specchio. Ora si vedevano bene le mie parti intime; sembravano in rilievo, dettagliatamente morbide e gonfie, in realtà erano della forma naturale, ma tutto quel “bosco” davanti, non mi aveva mai permesso di rendermene conto prima. Quando mi muovevo un po’ di più quelle mie labbra nascoste si aprivano e lo specchio di fronte mi faceva intravvedere qualcosa di apparentemente umido, di un colore rosso cremisi. Sembrava carne viva e avrei voluto esplorarla, ma, per pudore rimandai a dopo quella curiosità; almeno fino a quando avrei potuto farlo in solitudine.
“Hai una figa perfetta, bella da vedersi. E ora provati questo; speriamo di non essermi sbagliata con le misure.” Prese un corsetto nero molto romantico, ornato di pizzi, molto frou-frou, con inserti stringati rosa che prima ancora di indossarlo mi fece l’effetto di un frivolo addobbo peccaminoso. Non dissi nulla e lasciai che mi aiutasse ad indossarlo. Luana abbottonò i gancetti dietro, poi lo adattò perfettamente al mio corpo, regolando e tirando gli inserti a stringa sul davanti e riuscì ad enfatizzare incredibilmente la morbidezza delle mie curve. Poi fu la volta delle calze. Avevano una balza più scura anch’esse nere con inserti rosa in sintonia col corpetto. Non avevo mai usato calze che prevedessero l’utilizzo del reggicalze per essere sostenute e queste erano con la riga dietro che finiva in un fiocchetto ricamato sulla balza; il mio, era il regno dei collant, ma, con l’aiuto di Luana, riuscii ad indossarle senza troppa fatica. Ho una tremenda vergogna a dirlo, ma mi piacevo. Mi ero sbagliata tuttavia sulla mia prima definizione: il corpetto era molto più che peccaminoso, a partire dalle coppe del seno, che non erano coppe, ma semicoppe. Erano piuttosto rigide, anche se all’apparenza sembravano di un morbido pizzo trasparente. Mi stringevano quel tanto il seno da proiettarlo in avanti e poi lo sorreggevano da sotto, lasciando scoperti i capezzoli e tutta l’areola. Non erano previste mutandine e il corsetto abbastanza corto poneva in primo piano le nuove fattezze della mia vagina, anche se quella ormai, anche per me, non era più la mia vagina, ma la mia fica, che veniva enfatizzata e valorizzata dal contrasto tra il suo biancore latteo e il nero delle calze e del corsetto. Mi vidi come la personificazione del peccato. Avevo una tremenda vergogna e non volevo neppure sussurrarlo a me stessa, ma mi erano bastati due giorni per modificare di molto il mio metro di giudizio sulla moralità in genere e soprattutto sulla mia; questo sì che mi spaventava. In quella casa vivevo ogni attimo avvolta nella mia vergogna intima, ma mi accorgevo che l’asticella del mio limite si stava continuamente alzando. Era davvero questo che volevo? Fin dove mi sarei spinta? Fin dove sarei arrivata? “Guardati. sei favolosa.”
Si avvicinò e prendendomi i capezzoli tra i pollici e gli indici delle due mani li sfregò energicamente fino a indolenzirmeli e con terrore mi accorsi che quegli stimoli mi facevano effetto non solo nella zona del petto; anche i capezzoli ora puntuti e voluminosi erano proiettati in avanti.
Luana prese un rossetto a stick, ritoccò lievemente i capezzoli e con due dita sfumò, fino ad ottenere un accentuata colorazione rosea.
“Questo è resistente all’acqua. Se fossi un uomo, guardandoti così, mi farei una sega.”
A quella battuta arrossii violentemente, ma mi sentivo segretamente soddisfatta della mia immagine. “Questa sarà la tua tenuta standard, quando sarai qui. Arriverai, ti cambierai e starai sempre in quel modo. Devi abituarti a saperti vedere così e come hai potuto constatare qui gli specchi non mancano.”
Aveva ragione. Ero più che nuda e devo dire che quasi non ci facevo più caso.
“Vieni, cammina pure scalza. Ora ti mostro il resto dei locali. Come ti ho detto, gli ambienti sono divisi in due parti: la parte privata e la parte riservata ai clienti. All’ingresso, come hai visto ci sono due porte una, quella con scritto “privato” dà sul salotto che hai visto, da cui si accede alla cucina, alla mia camera personale e ad un piccolo servizio che hai già utilizzato; dall’altra porta si accede ad un altro salotto, a questo bagno, a tre
camere, ognuna fornita di un angolo con lavandino e bidet e ad un ripostiglio normalmente chiuso. Ogni tanto viene anche qualche amica che mi aiuta nel lavoro, quando è richiesto.
Se tu dovessi per necessità dover entrare nella zona clienti quando c’è qualcuno, indosserai per tua sicurezza questa maschera, finché tu stessa non te la sentirai di farti vedere spontaneamente. Tu sei un bellissimo fiore e con un trucco un pochino più accentuato saresti perfetta. Faresti soldi a palate. Pensaci! Intanto provati la maschera.”
Ecco un’altra volta con la proposta di lavoro e sapevo che non sarebbe stata l’ultima volta, ma in quanto a farmi vedere senza maschera poteva certamente scordarselo.
La maschera mi stava bene, soprattutto perché la sua appendice di seta ricamata, scendeva a coprirmi i lineamenti del viso.
Poi suonò il campanello dell’ingresso. Io caddi in preda al panico. Sentivo il cuore che mi martellava nelle tempie e non sapevo che fare.
“Ecco l’avvocato Fabiani, un mio ottimo cliente. Vieni, voglio presentartelo.”
“No, no! La prego.”
Sussurrai per non farmi sentire.
“Solo un attimo, la pubblicità è l’anima del commercio. Su! Su! Devi prendere confidenza col tuo corpo. Devi vincerti e superare queste invisibili barriere.”
Mi prese per mano e mentre io cercavo di tirarmi indietro divincolandomi, lei aumentò la stretta, trascinandomi verso la porta d’ingresso.
“No, no! Non posso. Non in questo stato.”
Quasi urlai sottovoce.
“Non essere in ansia. Sei perfetta e non dire una parola, lascia che parli solo io. Dai, lasciati spostare un attimo, altrimenti quando apro la porta, tutti potrebbero vederti da fuori.”
Approfittando del mio smarrimento alle sue parole, lei aprì l’uscio. Mi ritrovai alla presenza di un uomo che non era mio marito ed io ero peggio che nuda. Sentii un groppo in gola che mi esplose in un grumo acido. Mi dissi che dovevo farmi forza e che non potevo svenire proprio in quel momento.
“Accidenti che piacevole sorpresa, cara Luana.”
Disse guardandomi da capo a piedi, soffermandosi con lo sguardo sui punti cruciali.
“Che meraviglia!”
“Ciao, avvocato. Questa è Maona, ma per ora non parla una parola d’italiano.”
L’avvocato mi prese la mano e mi fece il primo baciamano della mia vita.
“Non serve che parli italiano o qualsiasi altra lingua per quello che vorrei fare io della tua bocca, cara, e faremo in modo che il proverbio che dice che non è educazione parlare con la bocca piena diventi il tuo motto e la tua bocca, ne sono sicuro, sarà sempre piena. Dimmi, che cosa è? È una sorpresa per me?”
“Ah, ah, ah! No. Mi spiace. Volevo solo presentartela, perché ti rifacessi gli occhi, ma deve scappare in gran fretta. È di partenza. Se ci sarà una prossima occasione vuoi che ti metta in nota?”
“Ma certamente e vi voglio tutte e due assieme. Tu e questo rarissimo fiore.
È qui solo occasionalmente?”
“Sì, ma potrebbe darsi che si possa godere ancora della sua presenza.”
“Sì, appunto, cara Luana. Godere è proprio la parola giusta?”
Tutti e due risero a quel doppio senso; io non potevo: avevo tutti i muscoli tesi e bloccati!
Poi Luana fece una cosa che non mi aspettavo, alla quale rinculai lievemente, più per la sorpresa che per altro.
Mi passò due dita sulla fessura affondando leggermente nella figa e poi le mise sotto il naso all’avvocato che chiudendo gli occhi, annusando esclamò:
“Che dolce fragranza! Ecco il nettare degli dei.”
“Bene, ora Maona deve andare e anche noi.”
L’avvocato ripeté ancora il rito del baciamano e raccomandandosi a Luana di tenerlo presente, dandomi un’ultima compiaciuta occhiata, si ritirò con lei nella stanza.
Mi sentivo tutto un tremito interiore che non mi dava tregua.
Mi passai anch’io il dito sulla fessura e l’annusai e sentii il mio odore che non era più la solita puzza, ma, come aveva detto lui, per la prima volta mi sembrò davvero una piacevole fragranza.
Ero diventata una puttana a tutti gli effetti! Per l’avvocato certamente si!
Stavo scardinando tutti i miei punti fermi. Cinque minuti dopo ero già in strada per raggiungere il mio negozio.