Seduto sulla riva aspetto’ L’essere pescatore richiede pazienza, infinita pazienza. L’acqua davanti a me è increspata appena da piccole onde, che rifrangono i raggi luminosi. Il mio paniere ora è vuoto, piccoli pesci vi sono transitati. Hanno abboccato all’amo, li ho catturati, assaporato le loro carni e poi li ho rimessi in libertà. Il piacere di affondare i denti nella loro bianca carne, sentire il loro odore così caratteristico è un piacere riservato a pochi o forse che pochi sanno apprezzare.
Mentre penso a questa e a mille altre cose, la coda dell’occhio scorge uno strano riflesso nel blu dell’acqua, un riflesso d’argento. Volgo lentamente lo sguardo e ti vedo. Sembra quasi tu mi stia sfidando, ti muovi sinuosa nel tratto di acqua davanti a me. A prima vista potresti essere un esemplare maschio, ma no’ sicuramente sei femmina. Difficile capire la tua razza, perché riesci a mimetizzarti tra l’acqua e il fondo. La tua fugace apparizione provoca in me un brivido sensuale.
In un attimo sei scomparsa. Mi chiedo se tornerai o forse se sei esistita.
Nei giorni seguenti ritorno al mio posto, aspettando con la canna il tuo arrivo. Nel frattempo ogni tanto abbocca qualcosa, ma è te che aspetto. E tu arrivi, puntuale. Mordi il mio amo trascinando la mia lenza, ti lascio giocare, tiro un po’ quando vedo che ti allontani. Mi accorgo che il tuo labbro superiore è trafitto da un amo attaccato ad un sottile filo, quasi trasparente. Ecco lo sbaglio, penso, mai lasciare che l’amo rimanga nel labbro: si staccherà prima o poi.
Intanto ti vedo ingoiare il mio di amo, e fuggire. La sera lascio la canna appoggiata sulla riva, osservando il filo che parte dal mulinello scivolare via, ma senza strapparsi.
Passano i giorni, e tu ritorni in ognuno di essi. Arrivi fino quasi a riva, lasciandomi riavvolgere la lenza, dalla timidezza dei primi giorni sei passata ad una sicurezza più decisa, sai che non voglio farti mancare l’acqua e l’ossigeno. Ma capisci che voglio catturarti.
Mi avvicino al riva, allungo una mano. L’argento delle tue scaglie sembra vivo. Ho notato che hai cambiato la pelle, ora so la tua razza, so esattamente cosa sei. Il mio amo è giù, scomparso in te, è il trait d’union che ti lega, tramite il filo di nylon a me. Il filo è sottile ma resistentissimo, non si spezzerà ne sono certo. L’altro amo è ancora lì, piantato appena. Mi accorgo che a poco a poco sta per cadere.
Preparo sulla riva quella che so sarà la tua nuova dimora. Faccio apposta a farmi vedere mentre lo faccio, voglio che tu capisca’
Una sera, mentre seduto guardo l’acqua mi raggiungi. Ti adagi su letto di rami qui di fianco. Sorrido.
Delicatamente individuo il punto preciso, sollevo le tue squame e inizio a mangiarti.
Gusto prelibato, di carne speziata. Profumi di conchiglia, di mare. Non strappo i pezzi, ti addento lentamente, assaporandoti a fondo. La mia lingua scivola sulla tua carne, ma anche sulle tue scaglie.
Le dita corrono sul tuo corpo, si insinuano nella tua bocca, nelle tue branchie’
Poi ti rimetto in acqua, libera di nuotare via se vorrai.
Seduto sulla riva aspetto’ L’essere pescatore richiede pazienza, infinita pazienza.
Sei tornata, e non più ripartita. L’amo sul labbro è sparito, ma dalla tua bocca fuoriesce il filo che ti lega alla mia canna. Nuoti qui, vicino a me. Vieni a farti mangiare, lentamente e sensualmente’ Ho notato una cosa bellissima, appena mangio un pezzo di te, subito ricresce: potrò nutrirmi di te senza paura che tu scompaia.
Ora sei mia. Legata indissolubilmente a me. Le mie dita disegnano il tuo corpo, grattano le squame contro il loro verso, per il piacere di sentirle schioccare.
Ora sei mia’ schiava.