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Ci sono momenti nei quali verità solidamente costruite ed elevate a dogmi di una personale ed indubitabile fede vengono messe in dubbio dagli eventi. Uno di quei momenti è ora che le mie braccia ti stringono con tutta la loro forza, quasi a volere strizzare il succo della tua giovanile freschezza. Nell’attimo vissuto, tu sei l’immagine di una eterna giovinezza da fissare, immutata, nel ricordo che verrà. Ho cancellato ogni altra illusione e ipocrisia, sono, mi sento vero, sottomesso ai soli istinti primordiali che l’evoluzione naturale ci ha dato. L’amicizia, la comunanza d’intelletti quali vie per giungere all’unione dei corpi, scrollandosi di dosso presunte bestialità, non sono che dorature sul gesso del dei miei pensieri. Noi siamo animali e non basta quel poco di più che ci è stato dato per ritenerci così diversi dagli altri esseri viventi.
Siamo in piedi. Le fantasie oscene della tua mente ti hanno abbarbicata a me a cercarmi attraverso i vestiti, a sentire contro il tuo ventre il mio sesso che, ancora una volta, ritrova gradualmente la sua vigoria. Nella mia mente di vecchio è scomparsa ogni vergogna, ogni paura di fallimento. Non mi paragono ad un eroe antico, ma, al pari di uno di essi, preferisco morire sconfitto piuttosto che rinunciare alla battaglia.
Le mie mani passeggiano indolenti sul tuo culo, ne percepiscono le sporgenze e l’elasticità, riempiendo il mio cervello di lussuriose anticipazioni. Le dita scorrono per individuare il sotterraneo rilievo delle tue mutandine sotto il tessuto dei tuoi pantaloni; ma nulla tradisce, al tatto, la loro presenza.
Anticipando il piacere del controllo del tuo abbigliamento intimo, m’inginocchio ai tuoi piedi per toglierti le scarpe. Poi ti afferro e ti sistemo, alta su una sedia, simile ad una statua di dea sul suo piedistallo. La cerniera scorre mentre tu, per reggerti ti appoggi alle mie spalle. Le mossette che tu fai, per agevolarmi nello sfilarti i jeans, hanno il rituale dell’eterna danza della femmina che invita il maschio ad entrare nel proprio utero.
Due piedi che muovono, birichini, le dita dentro due calze di cotone bianco che salgono a fasciare fino al polpaccio due gambe lisce. Là dove terminano, s’insinua fra loro un minuscolo triangolo di stoffa. Ecco spiegato l’arcano: le mutandine ci sono, ma dietro c’è solo un cordoncino che si lega a quello della vita per sostenere il tutto.
Poso in un canto l’ingombro dei miei occhiali prima di abbracciare le tue gambe come uno schiavo che chiede grazia alla sua sovrana. Il ciuffetto morbido del tuo pube è lì, davanti ai miei occhi. Si rivela, grazioso e sbarazzino, come un nero capretto del film ‘Fantasia ‘ di W. Disney seminascosto dietro un cespuglio. Scosto il tuo perizoma, bacio il tuo curato ciuffetto di peli, cerco di arrivare con la bocca alla tua fighetta per sentirne il sapore, per sollecitarne gli umori. La posizione è scomoda, tu ti spingi contro di me, le gambe allargate, ma con scarsi risultati. Fingo di perdere l’equilibrio e mi butto a terra, tu mi sei sopra . Sei tu adesso che armeggi per sfilarmi i pantaloni. Mi fingo succube e consenziente. Ma, non appena il mio cazzo può giostrare in libertà, mi libero di te per togliermi anche tutto il resto e poi rincorrerti recitando il ruolo del bruto assatanato che ti strappa gli abiti di dosso, ti morde seni e chiappe , ti sventola davanti alla faccia il suo uccello. Per poco, poi ci ritroviamo per terra abbracciati. Il pavimento è freddo e duro, meglio un letto. Lì sopra le nostre bocche si scambiano silenziose promesse, si esplorano mentre la tua mano mi massaggia pene e scroto e la mia penetra sempre più profonda nella tua vagina.
Solo per pochi istanti prima di guidarmi dentro di te.

è il risultato, a mio avviso piuttosto scadente di una giornata solitaria di pioggia. Qui ormai piove praticamente senza sosta da più giorni. Probabilmente anche per il freddo (16’ c) che l’umidità rende più percepibile, il mio eros sembra avermi abbandonato assieme alla immaginazione. Avrei voluto descrivere una immaginaria scopata fra noi ( Ho bisogno di una persona reale per ragionare sulle cose del sesso e non ho chiesto il tuo permesso per nominarti la mia protagonista ideale). Avrei voluto farlo attraverso uno scambio di battute, un dialogo diretto. Però ho subito constatato che non so recitare anche la tua parte e che, per recitare la mia, ho bisogno delle tue imbeccate. Mi era anche venuto in mente di impostare un qualcosa di oscenamente carnascialesco tramite immagini. Volevo usare allo scopo la mia figura, anche per confermarti che non ho remore nei tuoi confronti e che mi fido di te. Ma anche qui il freddo, forse peggiorato dall’età, mi è stato nemico.

Autore Pubblicato il: 16 Settembre 2013Categorie: Racconti Erotici0 Commenti

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