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La scuola dei sogni: punizione per una discola
Di tom tom2075@hotmail.it

L’alunna Trimesi Elisabetta era un’autentica peste: arrivava tardi a scuola, non faceva i compiti per casa, correva lungo i corridoi nelle pause dell’intervallo, a volte parlava in classe durante lo svolgimento delle lezioni.
Tutto ciò non poteva essere tollerato, dalle docenti del liceo ‘C. Darwin’. In particolare era la professoressa Ciolfi Laura a non sopportare l’atteggiamento strafottente di quella biondina alta appena da arrivarle alle ascelle. Ne parlò una sera durante un consiglio di classe; i consigli di classe erano sempre stati degli incontri molto lunghi e noiosi, nei quali si parlava solamente di andamenti scolastici, voti, compiti, profitti di questa o quella studentessa e altre cose barbose. Da qualche tempo, invece, i consigli di classe erano divenuti riunioni molto interessanti’almeno da quando le studentesse avevano preso il posto delle sedie, o da quando gli argomenti all’ordine del giorno erano divenuti i nuovi strumenti didattici in uso nel liceo. Strumenti didattici come la tortura, il trampling, il footworship ed altri, naturalmente.
Quella sera la studentessa Trimesi Elisabetta fu convocata per presenziare alla solenne riunione. La professoressa Ciolfi, assieme alle colleghe Argenti Barbara e Lucia Conti, la condusse in una piccola stanza del secondo piano.
‘Bene, sgualdrinella’ disse l’insegnante d’Inglese ‘Adesso la pagherai per tutti i tuoi ritardi e per le tue disattenzioni’
La professoressa Ciolfi somigliava un po’ ad Alba Parietti ed era altrettanto sexy e altera. Con un dito indicò il punto del pavimenti in cui la serva si sarebbe dovuta inginocchiare. La studentessa, terrorizzata, non esitò. Sapeva benissimo che se avesse disobbedito agli ordini di quelle tre meravigliose Dee, non solo sarebbe stata bocciata in tronco, ma neppure un osso del suo corpo sarebbe stato risparmiato.
Elisabetta aveva udito con terrore le storie che si raccontavano a proposito dei cessi personali dei professori, dove a turno venivano incatenate le studentesse più indisciplinate per bere e mangiare feci e orine delle insegnanti. Aveva sentito che più di una studentessa era finita al pronto soccorso dopo essere stata calpestata dalla professoressa Landrigo o cavalcata dalla Argenti. Della Ciolfi non aveva mai sentito brutte storie, ma non vi era dubbio che anche lei, se provocata oltremisura, sarebbe diventata una belva.
‘Sì, Padrona’ disse Elisabetta, inginocchiandosi ai piedi della professoressa.
La Ciolfi si tolse una scarpa, rigorosamente una decolletè col tacco alto, e allungò il piede verso il viso della scema. Elisabetta lo annusò e lo baciò.
La professoressa Argenti rise.
‘Che brava, la nostra leccapiedi’
‘Eh, sì” aggiunse la Conti ‘E’ proprio come le mie schiave. Da principio non volevano neppure inchinarsi alla mia autorità’adesso invece, se non le fermassi, mi leccherebbero le suole delle scarpe persino in classe. E sarebbero ancor più contente di farlo se indossassi scarpe fangose’
‘Ah ah” rise la professoressa Argenti ‘Sono senza ritegno. Le mie invece le tengo più a stecchetto. Se vogliono avere l’onore di leccare i miei piedi o le mie scarpe, devono fare tutto ciò che dico loro. Le mie calzature sono troppo preziose perché possa farle baciare alle prime troietta che incontro’
‘Forza, tu’ disse la professoressa Ciolfi ‘Non ti distrarre’
Sollevò una gamba e colpì la studentessa con il tallone. Elisabetta rovinò sul pavimento.
‘Cazzo fai, bestia?’
‘Scusi, Padrona”
‘Alzati immediatamente!’ tuonò l’insegnante di Inglese.
Elisabetta era ancora intontita. Provvidero allora la Argenti e la Conti, che si fecero ai lati della disgraziata e iniziarono a tempestarla di calci e ginocchiate in tutto il corpo. La Ciolfi indossò le sue scarpe e si unì alle amiche, per dar loro manforte di fronte alla laida puttana che arrivava sempre tardi a scuola. Bisogna portare rispetto alle insegnanti!
‘Toh, cagna’!’
‘Assaggia i miei tacchi, troia!’
‘Leccami le suole degli stivali’lecca, lecca, cagna schifosa’!’
‘No’Padrone’vi prego”
‘Cosa preghi, lurida infame? Devi essere grata a noi professoresse, ti stiamo dando ripetizioni di disciplina gratuite’puttana! Non capisci l’onore che ti stiamo facendo, impartendoti lezioni private? Maiala! Cagna! Ora toglici le scarpe a tutte e tre e annusa i plantari!’ ordinò la Argenti.
Elisabetta attese che le sue tre Dee si fossero accomodate sulle sedie e poi, a ciascuna di loro, sfilò con somma cura le calzature e le annusò. L’operazione fu più difficile con la Conti, che indossava degli stivali alti al ginocchio ed il cui interno era pervaso da un odore abbastanza corposo.
Infilò ugualmente il visino nel collo del primo stivale e inspirò profondamente.
La Conti la guardò dall’alto e disse ‘Le piace’
‘Annusa proprio di gusto’ ammise la Argenti.
‘Strano’li ho indossati per diversi giorni senza toglierli mai, anche senza calze’ormai ero sicura che fossero due autentiche bombe chimiche! Invece nulla’questa qui va pazza per l’odore delle mie scarpe sudate. Buona a sapersi!’
Sollevò un delicato piedino e lo andò a posare sulla testa della studentessa, premendo con decisione verso il basso. La faccia di Elisabetta si infilò ancor più profondamente nello stivale.
‘Annusa, cagna’annusa’è buono l’odore dei piedi sudati della tua professoressa, vero? Bastarda. Te lo farò respirare anche mentre dormi. Alla fine non potrai farne a meno. Diventerà una droga, per te’
‘Va bene. Adesso, però, direi di passare ai fatti’ disse la professoressa Ciolfi, che fino a quel momento si era mantenuta calma e distaccata.
‘Elisabetta Trimesi, sei stata giudicata colpevole del più spregevole delitto che si possa commettere in questa scuola. La mancanza di rispetto per noi, che siamo le tue Dee e Signore’
‘Ma no, Padrona’io”
Il piede della professoressa Argenti si mosse velocissimo e colpì la stronza alla gola.
‘Silenzio, puttana!’ gridò la professoressa Conti ‘Come ti permetti di interrompere una Padrona nell’atto della formulazione delle accuse?’
‘M’mi scusi, Padrona”
Ma la Conti era ormai partita. La rabbia le era giunta fin sopra i capelli. Afferrò la cattiva studentessa per i capelli e la trascinò davanti alla collega Argenti, che non aspettava altro. A piedi uniti, la professoressa d’Italiano assestò un violento calcio in faccia alla sgualdrina, mandandola a gambe all’aria. Subito la Conti la fece rialzare.
‘Professoressa Ciolfi, questa piccola strega ha offeso lei’ disse la Argenti ‘La massacri come più le va”
‘No, amiche mie!’ disse la Ciolfi ‘Questa cagna bastarda merita una punizione esemplare. Venite con me’
Si fecero rimettere le scarpe e si fecero lucidare le suole dalla lingua della puttanella, poi la condussero fuori a quattro zampe. La portarono nel corridoio dove incontrarono le altre insegnanti. Vi erano anche le bidelle, la preside e l’infermiera della scuola.
‘Amiche mie, siamo qui riunite per insegnare a questa lavativa l’importanza della disciplina e del corretto vivere. E’ compito di ciascuno di noi rispettare gli altri. Quindi, affinché questo sia d’esempio anche alle altre serve del liceo, questa cagna perversa verrà condannata alla punizione delle falangi’
La punizione delle falangi! Di cosa si tratterà, si domandò Elisabetta con il terrore stampato in volto.
‘Vado a chiamare le altre merde che abbiamo messo in castigo’ disse la Landrigo ‘Così imparano”
‘E’ giusto. Come si dice’colpirne una per educarne cento!’ esclamò allegramente la Mantovani, dall’alto dei suoi lucidi stivali bianchi col tacco alto. Erano stati appena leccati dalle suole alla tomaia da quella sorta di minorata cerebrale che aveva nome Francesca Barbugi della 5′ F.
Le stupide furono disposte in fila ai lati del corridoio; tutte tranne Elisabetta, naturalmente, alla quale fu invece ordinato di mettersi in ginocchio davanti alla porta e di appoggiare le mani sul pavimento.
‘Adesso ascoltatemi bene, cagne luride e indisciplinate. La punizione che sta per abbattersi sulla vostra compagna potrebbe capitare a ciascuna di voi, un prossimo domani, se mancherete di rispetto al corpo insegnanti o oserete disattendere le nostre giuste richieste. Adesso noi ce ne andiamo. Voi rimarrete qui a pulire i pavimenti e le aule fino a domani’anche i bagni dovrete pulire. Dopo che ce ne saremo andate telefonerete alle vostre famiglie’quelle che vi hanno così malamente educate’e direte loro che vi tratterrete a dormire dalle vostre compagne, affinché la vostra assenza non desti sospetti’ le istruì la professoressa Travagli, di Educazione Fisica ‘Resterà qui anche la cagna che vedete inginocchiata davanti alla porta, anche se lei non vi aiuterà a fare le pulizie. Il perché vi sarà chiaro fra poco, care sgualdrine. Alla fine della punizione delle falangi non riuscirà più a muovere un solo dito, ve lo posso assicurare’
E dicendo questo, lei e tutte le insegnanti della scuola si misero a ridere sinistramente. Elisabetta sentì il sangue gelarsi nelle vene.
La professoressa Landrigo diede il via alla punizione. Si avvicinò alla sventurata fino a raggiungerla.
‘Allora, bellezza’sembra che oggi tocchi a te. L’altro giorno ho ridotto a ossa rotte e sangue la tua degna compare della 4’A. Non mi ha neppure regalato grandi soddisfazioni. Vedi di resistere un po’ più di lei’anche se si tratta di una raccomandazione inutile. Finché non avrai sorbita l’intera punizione, non te ne andrai da nessuna parte’
Salì con un piede sulle manine di Elisabetta, badando bene a calpestare le articolazioni delle falangi con il tacco. I piedi della professoressa Landrigo erano ben fatti. L’insegnante aveva molto buon gusto nella scelta delle proprie calzature. Le ossa di Elisabetta furono schiacciate da decolletè numero 39 con tacco alto, ben lucide e dal profilo elegante. Le mani della studentessa erano snelle e aggraziate, le dita molto sottili. Avvertì la cartilagine sbriciolarsi sotto il peso della docente e le ossa che stridevano dolorosamente le une contro le altre. La professoressa Landrigo non si limitò a salire con tutto il suo peso sulle mani della cagna, ma ruotò a lungo i piedi in modo da provocare ancor più male alla sottomessa.
‘Ah ah, cagna! Fa male, eh? Te l’avevo detto che al termine della punizione non saresti riuscita neppure a tenere in mano un manico di scopa! Ah ah’!’
Discese dalle mani martoriate della vacca come un angelo da una nuvola. Con un ultimo gesto di disprezzo, sollevò all’indietro la gamba destra e centrò la bocca di Elisabetta con il tacco. La studentessa si ritrovò con il labbro sanguinante.
Toccava adesso alla professoressa Mantovani.
Elisabetta contò le donne’le Dee che ancora avrebbero dovuto punirla erano non meno di venti! Se anche le bidelle si fossero aggiunte a quella tortura, sarebbero state almeno venticinque. Era già allo stremo. La professoressa Mantovani era una bella donna di una quarantina d’anni, forme mediterranee e capelli castani. I suoi stivali non impiegarono molto, a presentarsi alle dita di Elisabetta. La piccola indisciplinata avvertì chiaramente le proprie unghie che si spezzavano sotto la risata della sadica insegnante. Quando fu scesa, imitando il saluto della collega, anche la professoressa Mantovani lanciò un calcio in faccia alla studentessa, che accusò il colpo senza emettere fiato.
‘Ah, vedo che sei una dura!’ esclamò la Dea ‘Peggio per te!’
E sbam un altro calcio. Questo fu ancora più forte del primo e venne inferto di punta. Elisabetta crollò a terra.
‘Subito in piedi!’ ordinò impietosamente la professoressa Argenti ‘E rimetti le mani come sai! Ora è il mio turno’
La punizione della professoressa di Italiano non ebbe nulla da invidiare a quella delle due colleghe precedenti. Elisabetta cominciava a pensare che al termine della tortura, le sue dita non sarebbero mai più tornate come prima.
Dopo la Argenti toccò a Cinzia, la bidella del pianoterra, poi alla professoressa di Educazione Fisica, quella di Latino e quella di Diritto. Ciascuna di loro ebbe un intero minuto per schiacciare le dita e le mani della ragazza e per assestare uno o più calci sul suo viso.
La professoressa Ciolfi fu l’ultima. Siccome si trattava della docente che aveva insistito perché la troietta fosse punita, fu anche quella che si sbizzarrì maggiormente nella tortura.
I suoi tacchi terribilmente affilati affondarono senza pietà nella carne dei palmi di Elisabetta, prima dalla parte dei dorsi e poi dalla parte dei palmi. Non fu risparmiato nessun dito. Mentre i suoi piedi distruggevano quanto restava delle mani già logore e sanguinanti della sventurata, la professoressa Ciolfi le tenne per tutto il tempo i capelli con una mano, affinché la merdarella stesa al proprio cospetto non tentasse cose stupide come sottrarsi al giusto castigo.
Elisabetta era distrutta. La Ciolfi infierì con gusto su di lei, prendendola a calci in faccia. Alla fine, vedendola sdraiata sul pavimento sudicio della scuola, le salì con tutti e due i piedi sulla faccia e le infilò i tacchi nelle guance.
‘Hai imparata la lezione?’
‘S”
‘Rispondi, puttana!’ ordinò la padrona, ancora in piedi sulla faccia della povera troietta.
‘S’sì’pa’dro’.nnn’.aaahh”
‘Sì?’
‘La’pre’..eg”
‘Va bene, s’è fatto tardi e devo tornare a casa. Una tua collega, quella scrofa di Falvia della 4′ B dovrebbe avermi preparato gli involtini. Se questa volta non sono cotti a puntino, la lego fuori e la lascio congelare tutta la notte, poi la sveglio a calci in bocca e le faccio mangiare la mia popò!’
Scese dalla testa della studentessa e se ne andò.
La bidella Clarissa chiuse a chiave la porta della scuola.
‘Pulite tutto a dovere, stupide!’ ordinò la bidella, poco più che trentenne ‘Ah, anche i bagni, devono essere fatti. Noi non li puliamo più, visto che ci siete voi mangiamerda professioniste’
Ed in coro le studentesse esclamarono ‘Sì, padrona Clarissa. Buona serata, padrona Clarissa. Trascorra una buona notte!’
La bidella rise della dimostrazione di leccapiedismo delle sguattere. Poi, vedendo che la brava Elisabetta non aveva dato il suo saluto come le altre, si avvicinò ad essa e con sadico piacere le tirò un calcio in faccia.
‘E tu non saluti, maleducata? Non è servita a nulla, la punizione?’
‘S’sì, padrona Clarissa’buona serata, padrona Clarissa”
‘Baciami i piedi’
Elisabetta obbedì.
La bidella rise.
‘Ciao ciao, puttanelle. A domani!’
E se ne andò dopo aver spento tutte le luci. Le serve avrebbero lavorato al buio.

Per commenti, suggerimenti o altro scrivete a tom2075@hotmail.it. Chi non lo fa è interista’

Autore Pubblicato il: 31 Dicembre 2008Categorie: Senza categoria0 Commenti

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