Da quando mia moglie ed io siamo diventati schiavi di Elisabetta, una ragazzina con la metà dei nostri anni, la nostra vita è completamente cambiata. E’ lei la padrona delle nostre vite, della nostra casa, dei nostri corpi.
Oggi ad esempio ci ha telefonato avvertendoci del suo arrivo nel tardo pomeriggio. In trepidante silenzio mia moglie ed io restiamo in attesa della scampanellata. Eccola, infatti. Elisabetta entra con noncuranza, senza degnarci di uno sguardo, stanca della confusione cittadina va a buttarsi sul divano. Come di consueto mia moglie si precipita a toglierle gli stivaletti per massaggiarle i piedi e nel farlo si accovaccia sul pavimento di fronte a lei. Io Intanto corro a preparare una tisana corroborante. Quando ritorno con la tazza fumante , vedo che mia moglie le ha tolto le calze e, devotamente china su quei piedini candidi le sta leccando tra le dita e sulla pianta. Dietro un suo ordine anch’io mi inginocchio a leccare quei deliziosi piedini accanto alla mia consorte, mentre le nostra padroncina, che intanto ha acceso la televisione, sorseggia lentamente la bevanda.
D’improvviso però mi allontana con un calcio, si alza in piedi , ordina a mia moglie di sfilarle i pantaloni. Mia moglie esegue con febbrile solerzia lasciandole le gambe nude e ad un suo cenno riprende a leccarla cominciando dai piedi e risalendo su su per quelle belle cosce snelle fino alle mutandine.
E’ commovente vedere una bella donna di quarantanni inginocchiata ai piedi di una ragazzina leccarle devotamente e timoratamente le candide cosce. Arrivata dunque alle mutandine ecco che la proprietaria di queste ordina alla mia consorte di sfilarsi pullover e reggiseno rimanendo nuda dalla cintola in su. E’ con una punta di timore che mia moglie esegue: i sui seni sono già tutti costellati di lividi per le passate punizioni. Questa volta però è la nostra padroncina a sfilarsi gli slip e di fronte a mia moglie inginocchiata ordina di continuare a leccarla. Nel contempo apre leggermente le gambe e comincia a orinare sulla bocca e sul seno di mia moglie, la quale geme per la sorpresa e per l’intensità dell’umiliazione, mentre la piscia calda le scende giù per il ventre , le inzuppa la sottana, finisce a terra in una pozza sempre più ampia. Arriva adesso il momento più temuto: ordinato a entrambi di spogliarci nudi, intima a mia moglie di pulirle la fichetta con la lingua, a me di pulire mia moglie, lorda d’orina dal mento alle ginocchia, e a tutt’e due, cosa che non manca di sconvolgerci, di asciugare il pavimento da quel disastro. -E fate presto, che dopo voglio cenare – afferma perentoria la nostra aguzzina. Come negarle qualcosa? Mentre siamo chinati alla lecca sul pavimento, vediamo i sui dolci piedini dirigersi verso la nostra stanza da letto per un breve riposino.
Mentre preparo la cena capisco, dai gemiti trattenuti e dai singulti che mi arrivano dal soggiorno,che Elisabetta sta di nuovo torturando mia moglie. E sono di nuovo i suoi seni ad essere oggetto di attenzione da parte della nostra perversa padroncina. Inginocchiata di fronte a lei, nuda, ha ricevuto l’ordine di non muoversi mentre Elisabetta le strizza i capezzoli e vi conficca le unghie. Per fortuna la cena é pronta e le sevizie vengono sospese. Naturalmente a tavola si sta su due livelli: la nostra padroncina seduta normalmente, e noi, sotto, entrambi nudi. Fungiamo da poggiapiedi mentre cerchiamo, accucciati, di mangiare dalle nostre scodelle poste sul pavimento. Non possiamo usare né posate né mani, e quindi ci arrangiamo con la bocca, a completare la nostra condizione di animali domestici.
Mentre mangiamo, in questa relativa pausa che ci viene concessa, ritorno con il pensiero alle vicende che ci hanno condotto, mia moglie e me, a tutto questo.
Quando la assunsi come segretaria in prova nella mia piccola ditta, Elisabetta era una una ragazza dall’aspetto sveglio , molto carina e di una bellezza elegante, priva di quelle procacità vistose delle quali invece è fornita mia moglie , che è sempre stata una bella donna molto corteggiata. Invece Elisabetta era tremendamente carina ma di una bellezza delicata, anche se non priva di una certa altezzosità.
Vedendomela intorno per tutta la giornata cominciai a provare di settimana in settimana un lieve turbamento, ma lieve, e sono certo privo di conseguenze se non fosse stato per quello che le i avrebbe fatto in seguito.
In un tardo pomeriggio di un giorno lavorativo, quando in ditta non vi erano rimasti che lei ed io, si alzò dalla scrivania ed entrò in bagno. Non mi accorsi subito che aveva lasciato la porta semichiusa Ma dai rumori che mi arrivavano limpidi alle orecchie mi accorsi presto di quella che d’ acchito giudicai una dimenticanza. Decisi di far finta di nulla. Sentii distintamente il tintinnare argentino dell’orina della mia impiegata, e dopo qualche tempo lo scroscio risolutivo dello sciacquone. Lei uscì subito dopo, mente continuavo a fingere indifferenza. Con la coda dell’occhio però mi accorsi che si stava avvicinando alla mia scrivania. Si accostò. Intravidi nella sua mano un pacchettino candido. Di colpo me lo mise sotto il naso e sulla bocca, e vi premette. Era la carta igienica appena usata per nettarsi. L’odore pungente si fece strada dalle mie narici fino al cervello. Non so perché ma non mi mossi, mentre un’emozione vivissima si impadroniva di tutto il mio essere. Continuò a tenere premuto quel pacchetto odoroso per una decina di secondi, ed io a respirarci dentro, finché mi liberò da quel bavaglio gettandolo nel cestino accanto. ‘Il mio orario di servizio è finito, posso andarmene?’ disse, non senza una punta di sarcasmo. Io feci di sì con la testa, incapace di emettere il benché minimo suono. Il cuore mi martellava sin nelle orecchie. Era appena uscita quando mi accorsi che il telefono squillava insistente. Era mia moglie. Mi ricordava la cena dai nostri amici e si raccomandava che ritornassi in tempo. Distrattamente la rassicurai, chiusi la comunicazione e mi preparai per uscire. Ma già col cappotto indossato una forza oscura mi bloccò a mezzo la soglia. Rientrai nell’ufficio ma prima chiusi la porta a chiave. Come in un sogno andai verso il cestino della carta straccia. Ritrovai il pacchettino gettato da Elisabetta poco prima, e lentamente mi chinai per raccoglierlo. Tra le dita ne percepii la consistenza morbida e la lieve umidità, mentre nei pantaloni accadeva reazione di cui avrei dovuto vergognarmi. Indugiai un poco con quel pacchettino in mano, poi mi risolsi: lo premetti di nuovo sul viso, inspirando. Di nuovo quell’odore sconvolgente. Mi snudai il pene e presi a masturbarmi sempre tenendo quel bavaglio sul naso e sulla bocca, talvolta baciandolo. Venni gemendo, schizzando dentro il cestino, in una congestione di godimento ed umiliazione.
Passai quella serata distratto, assente, come in una sorta di torpore.
L’indomani, quando rientrai in ufficio, avevo deciso di ostentare indifferenza, come se nulla fosse successo.
Elisabetta quella mattina parve assecondarmi nella mia decisione di far finta di nulla. E per tutta la giornata in effetti non ci furono problemi. Ma a sera, di nuovo soli in ufficio, lei andò di nuovo in bagno. Stavolta però chiudendo la porta dietro di sé. Dopo poco udii lo scroscio dell’acqua e lei uscì. Io ormai pensavo che nulla sarebbe più successo, invece lei si avvicinò di nuovo alla mia scrivania. Aveva le mani vuote, questa volta. Giunta vicino a me prese un pacchetto di fazzoletti di carta che tenevo d’abitudine sul tavolo, ne estrasse uno, lo aprì un poco e.. se lo portò sotto la gonna, aprendo un poco le gambe. Stette così qualche secondo, come frugando, poi lo ritrasse. Lentamente me lo avvicinò al viso. Io ero come paralizzato. Mi premette il fazzoletto delicatamente sotto il naso e sulla bocca. L’acuto odore si ripresentò, sconvolgente. Una scomposta erezione si fece strada nei miei pantaloni e quella streghetta con la sua manina tenendomi sempre sotto il naso il fazzoletto mi slacciò la patta, sì insinuò all’interno mi estrasse il cazzo. Il cuore mi sembrava scoppiare. Delicatamente cominciò a menarmelo e quando in men che non si dica schizzai sulla scrivania il frutto della mia eccitazione e della mia umiliazione sentii che rideva. Col fazzoletto si ripulì le dita e mantenendo un leggero perfido sorriso mi infilò il fazzoletto in bocca. Poi come la sera prima rapidamente uscì.
Da quella volta si susseguirono episodi di umiliazione innumerevoli e le mie giornate passavano ormai in attesa di quei momenti. Una sera mi disse di trovare una scusa con mia moglie per trattenermi in ufficio fino a ora tarda, poi mi portò in bagno, mi fece inginocchiare di fronte a lei e abbassatasi le mutandine si sedette e cominciò ad orinare. Rialzatasi si tenne alta la gonna (era la prima volta che le vedevo la dolce fichetta) e non senza una certa arroganza mi disse: ‘stavolta la carta igienica sei tu’. Io obbedii e le passai per la prima volta la lingua sulla fessura umida. Ricordo che provai un senso di nausea al sapore acre, mentre lacrime di umiliazione mi bruciavano gli occhi, mentre nei pantaloni sentivo il pene inturgidirsi velocemente. Mentre leccavo sentii che rideva divertita rendendo più cocente la mia vergogna e la confusione nella quale ero precipitato. Quando ritenne d’avermi umiliato abbastanza mi fece rialzare assestandosi gonna e mutande poi mi estrasse il pene dai pantaloni stringendolo tra quelle dita sottili e da lì mi tirò per ricondurmi in ufficio. Mi fece avvicinare al bordo della scrivania e me lo iniziò a menare. Con l’altra mano intanto afferrò il ritratto di mia moglie che tenevo sul tavolo, lo avvicino al mio pene, e me lo accarezzò finché non venni sul volto sorridente della mia consorte. Stavolta non potrei trattenere un gemito per l’umiliazione e il piacere insieme, mentre la sua risata di scherno mi accompagnava. ‘Che bella donna’ , disse appoggiando di nuovo la fotografia al tavolo e lasciandomi ansimante e spossato a rimirare il quadretto. Ma non era finita. Mi fece inginocchiare, portò la fotografia vicino alla mia bocca e mi ordino di ripulirla con la lingua. Una volta finito lei rispose la fotografia sul piano del tavolo e andò verso lo schedario. Ne ritornò con alcuni documenti. Uno era il suo contratto di assunzione gli altri due erano i contratti di due mie dipendenti fidate che lavoravano con me da almeno quindici anni. Sul suo contratto modificò lo stipendio, naturalmente aumentandolo, cambiando anche la dicitura da tempo determinato a tempo indeterminato, mentre sugli altri due mi fece scrivere ‘licenziato’. Quella sera mi masturbò ancora, questa volta obbligandomi a eiaculare sul quadretto della mia laurea che tenevo appeso alla parte. Ormai avevo perso ogni dignità e controllo su me stesso, ma anche, contemporaneamente, provavo sensazioni quasi di gioia per la mia condizione di titolare d’azienda e servo allo stesso tempo. Ormai non desideravo altro che quegli episodi si ripetessero, dove la mia resa di fronte a quella ragazzina era sempre più evidente, e con modalità sempre più estreme. Si può dire che andassi ormai in ufficio per incontrare lei e non per dedicarmi al lavoro.
Un giorno volle che ci vedessimo in ditta il sabato mattina. L’azienda era deserta e lei mi condusse al piano di sotto, nel piccolo magazzino. Tra scatoloni di vario materiale mi obbligò a spogliarmi nudo, e per la prima volta, usando la cinghia dei miei pantaloni mi inflisse una punizione corporale, dopo avermi legato i polsi con un tenace nastro adesivo al telaio metallico di uno scaffale. Mi colpì a lungo sulla schiena e sui glutei. Un colpo per ogni articolo del magazzino che era andato registrato. Fu una lezione durissima ma quando anche l’ultimo colpo fu ricevuto e fui liberato, e riconoscente mi apprestavo a rivestirmi, mi senti dire aspetta, prima vieni qui a vedere. Non credetti ai miei occhi. In un angolo del magazzino stava il computer, acceso. Sullo schermo c’ero io nudo, ripreso dalla telecamera di sorveglianza. Aveva registrato tutto. ‘Mentre eri ancora legato – mi disse- ho provveduto a spedire il file del filmato sul mio pc personale, a casa mia. ‘
‘Per…perché ?’ le chiesi costernato. Si mise a ridere.’ Innanzitutto perché tu capisca di essere in mio completo potere’ .
‘Mi…mi vuoi rovinare?’
‘ Per ora no – mi risponde, sempre ridendo – ma non è detto che presto o tardi non mi garbi di spedire tutto in giro per il mondo. E soprattutto dai tuoi clienti. Non sarebbe divertente?’
Io ero al colmo della disperazione. Mi trovavo dentro un magazzino, nudo come un verme, il corpo segnato da innumerevoli cinghiate, in pieno potere di quella ragazzina che rideva di me. ‘Ti prego non farlo’ mi ritrovai a dire. ‘Beh, prima di tutto appoggiati con le mani al tavolo – rispose lei – che ti do altre 50 cinghiate e dì grazie ad ogni colpo.’ Così ricevetti i colpi che furono più forti che mai, ringraziando ad alta voce. Poi non contenta volle che le leccassi le scarpe mentre lei cancellava i file dal PC e tra un’operazione e l’altra, mi assestava una cinghiata sulla schiena. Infine, si tolse le scarpe e i pantaloni, si abbassò le mutandine e mi pisciò in bocca tenendo la fichetta aperta con le dita. Mentre quasi soffocavo sentivo di nuovo quella sua risata. Mi fece ripulire tutto a terra con lo straccio bagnato e poi mi frustò con quello sul petto, sul ventre e sul viso. Ad un certo punto non ne potei più e scoppiai a piangere come un ragazzino. Lei smise di picchiarmi e mi avvolse lo straccio bagnato attorno alle spalle come fosse uno scialle e cominciò a masturbarmi con un piede. Tra i singhiozzi senti che mi mi diventava durissimo. Sempre singhiozzando cominciai a godere. In un batter d’occhio avevo schizzato sul cemento e sul piede di lei. Mi fece ripulire entrambi con la lingua.
‘Bene, penso che ora andrò a casa, ci vediamo lunedì’ mi disse. Ma prima di lasciarmi lì nudo, segnato, bagnato e sporco della sua orina, distrutto per l’orgasmo, aggiunse: ‘dì a tua moglie che lunedì sera avete un ospite a cena’ ‘sì ma…chi sarebbe?’ chiesi io ingenuamente ‘la sottoscritta’ mi rispose, e senza aggiungere altro uscì.
‘Elisabetta dai bei piedini bianchi, Elisabetta dalla fichetta piccola e aspra, Elisabetta cattiva, Elisabetta soave, Elisabetta dalla bella bocca e dal sorriso crudele, Elisabetta figlia, Elisabetta despota, Elisabetta mia dipendente, Elisabetta imperatrice della mia vita e del mio cuore. ‘ Così scrivevo sul mio diario quella sera come fossi un ragazzino innamorato di una sua coetanea. Ma di anni ne avevo 40 e stavo mettendo in serio pericolo il lavoro di una vita.