Quell’estate la ricorderò sempre. Fu l’estate della mia iniziazione sessuale.
Ero molto giovane e forse fu un po’ dura, all’inizio. Ci misi un po’ a metabolizzare quello che ero, quello che non sapevo e che loro avevano visto in me.
Andò così:
In vacanza al mare con mia madre e sua sorella, mia zia e i suoi figli, in una pensioncina poco distante dalla spiaggia, mi annoiavo un po’ dato che i cugini erano più piccoli.
Avevamo due stanze, la 12 e la 13. Nella prima dormivano mia madre e mia zia e nell’altra noi ragazzi. Queste stanze davano su un grande balcone su cui affacciava anche un’altra stanza, la 11.
La seconda sera che eravamo lì, non riuscivo a dormire per il caldo e uscii sul balcone. La serranda della stanza n. 11 era su e dietro ad una tenda, alla luce di un abat-jour, una splendida donna indossando solo le mutandine, sul letto, si passava una crema doposole.
Il mio cuore prese a battere all’impazzata. Mi rendevo conto di essere quasi invisibile, lì al buio e fissavo affascinato quel corpo abbronzato, i seni grandi e bianchi, la gran massa di capelli corvini un po’ selvaggi, le mani che impastavano quella carne morbida dell’interno coscia, la pancia, le braccia.
Dopo qualche minuto di batticuore vidi la donna alzarsi e scomparire verso l’interno. Mi volsi verso la strada e rimasi lì a fantasticare. Sentivo il cazzo duro nei pantaloncini e avevo una gran voglia di masturbarmi, ma non volevo andarmene, speravo che lei tornasse e non volevo perdermi niente.
Un rumore mi fece voltare. Lei aveva indossato una vestaglia leggera ed era uscita sul balcone.
Mi guardò, mi sorrise. Io salutai educatamente.
Per fortuna la semioscurità nascondeva il rossore che sentivo bruciarmi sul volto.
Lei guardò verso la sua stanza e guardò di nuovo me.
Compresi che aveva capito che dal mio posto di osservazione avevo potuto osservarla nuda mentre si massaggiava. Non disse niente. Restò fuori alcuni minuti ancora, fumando una sigaretta che poi spense a metà e quindi rientrò nella sua stanza.
Non spense la luce, tirò le tende, lentamente si tolse la vestaglia e si sdraiò sul letto. Nuda.
Il mio cuore prese ad andare a mille.
Non sapevo cosa fare. Il fatto che lei sapesse di essere vista e che nonostante questo si spogliasse ancora mi sembrava essere una specie di invito cui io nella mia insicurezza dei sedici anni non sapevo cosa rispondere.
Si accarezzò i seni. Si alzò, scomparve. Tornò. Si raccolse i capelli. Li legò. Si tolse gli slip.
Io stavo impazzendo di eccitazione. Lei presi nuovamente a passarsi una crema su tutto il corpo.
Non resistetti e da sotto i pantaloncini feci uscire l’uccello duro iniziando a masturbarmi. Guardavo quello spettacolo fantastico e sarei potuto venire in qualsiasi momento, ma cercavo di farlo durare il più a lungo possibile.
Mi si gelò il sangue, quando una voce maschile proveniente da un’ombra scura che mosse la tenda della stanza 11 disse: “bello spettacolo! porco! maiale! ora chiamo i carabinieri…”
Scappai, letteralmente, dentro la mia stanza. Chiusi la porta. I cugini dormivano. Mi buttai sul letto sentendomi perso.
Mi aspettavo da un momento all’altro che qualcuno bussasse alla porta della mia stanza. Svegliasse mia madre. Immaginavo la gazzarra, la scenata. La vergogna mi divorava.
Passò un po’ di tempo e nessuno bussava.
Pensavo allora che veramente avevano chiamato i carabinieri e questi tardassero ad arrivare.
Rimasi in angoscia per un bel po’ di tempo. Poi, il silenzio completo in cui era immersa la pensioncina mi calmò e piano piano mi addormentai.
Al mattino, al risveglio, in quella specie di riassunto mentale che si fa ancora in dormiveglia, come a riannodare il filo alla giornata precedente, l’incubo notturno mi riavvolse con tutto il suo peso.
Oggi sicuramente, pensavo, quella voce maschile della stanza nr. 11 sarebbe andata dai padroni della pensione a lamentare quello sconcio della sera prima. Quello della stanza 12 che si masturbava sul balcone guardando la moglie.
Dissi che non mi sentivo bene e volli rimanere in stanza, quando madre, zia e cugini andarono al mare.
Un attimo di terrore mi prese quando mia madre ritornò su perché aveva dimenticato qualcosa.
Ecco, pensai, l’hanno avvertita e torna su per chiedermi conto della figuraccia che le avevo fatto fare.
E invece niente. Passò un’ora e mi calmai.
Vennero per le pulizie e mi arrischiai a scendere. Un po’ di soppiatto traversai l’atrio, scesi in strada e andai verso la spiaggia.
Raggiunsi e miei e mi sdraiai al sole.
Cominciavo a convincermi che alla fine non sarebbe successo nulla.
Mia madre mi mandò al bar a prendere dei gelati.
Ero alla cassa quando una voce dietro di me mi chiese: “tu sei quello che è alla stanza nr la 12, alla pensione xxxxx, vero?”
Il cuore mi balzò in gola. Era la stessa voce di ieri sera.
Mi volsi ed un uomo abbronzato, moro, piuttosto alto, mi guardava con un sorriso beffardo.
“Si. Perchè? ” dissi. E mi allontanai qualche passo dalla cassa, sperando che qualunque cosa avesse da dirmi non la dicesse davanti a tutti.
“Lo sai perchè. ” disse avvicinandosi… “ora no, ma bisogna fare un discorsetto. Ti aspetto nel pomeriggio, diciamo verso le 3, nella stanza.”
“Ma perchè? “dissi io…
Ero disposto anche a negare assolutamente tutto.
“Sarà meglio per te che vieni. Ricordatelo.”
E detto questo si voltò tornando verso il bancone del bar.
Tornai all’ombrellone che mi tremavano le gambe. Mi sdraiai al sole ma non riuscivo a starci. Provai a leggere ma ero sempre fermo sulla stessa pagina.
Per fortuna nessuno sembrò accorgersi del mio baillamme interiore.
Pranzammo con dei panini e poco dopo dissi che il sole mi scottava troppo e preferivo tornare in pensione a leggere.
Era poco prima delle 3, entrai in stanza e dopo un po’ uscii sul balcone.
La finestra della stanza 11 era aperta ma non vedevo nessuno.
Poco dopo si affacciò l’uomo della mattina. Indossava un accappatoio rosso, era appena uscito dalla doccia.
“Bravo. Vedo che sei venuto. Entra.” disse.
Entrai nella stanza e non c’era nessuno. La donna della sera precedente sembrava fosse esistita solo nella mia fantasia.
“Cosa c’è?” farfugliai.
“Siediti” mi disse.
“Quello che hai fatto ieri sera è molto grave, o sai?”
“Mia moglie è rimasta scioccata. Voleva denunciarti subito, fare una piazzata… sono io che l’ho trattenuta. Lo sai che puoi andare anche in prigione per una cosa del genere? I tuoi genitori cosa direbbero?”
“Si lo so. Mi dispiace. La prego non lo faccio più. Non so cosa mi abbia preso. La prego…” Speravo di impietosirlo.
“Non lo so. Forse è il caso di dirlo ai tuoi genitori. Non pensi?”
“No. La prego. Glielo giuro che non lo farò più. Lo giuro.”
“Sei disposto a tutto sembra… per il mio silenzio…” disse.
“Si. Veramente. La prego di non rovinarmi. Mi dispiace chiedo scusa…”
Io ero seduto su una sedia, ai piedi del letto. Lui girava attorno mentre parlava, in certi momenti andava dietro di me. Nelle pause di silenzio fra una frase e l’altra a volte scompariva per una decina di secondi, poi tornava nel mio campo visivo. Passeggiava.
Lo percepii alle mie spalle, molto vicino.
“Vediamo quanto, sei disposto, per questo silenzio, allora…” disse a voce bassa.
Mi volsi e dall’accappatoio dischiuso svettava un cazzo che mi sembrò enorme.
Scuro, lucido, una specie di fungo violaceo all’altezza del mio viso.
“Cosa vuole? io non sono frocio…” balbettai e l’imbarazzo mi divorava, mi inchiodava su quella sedia, mi paralizzava.
“Se vuoi il mio silenzio baciamelo. Non sono frocio nemmeno io. Mi piacciono le donne, è chiaro? Ma hai sbagliato e devi pagare in qualche modo. In questo modo imparerai a non spiare e a non farti le seghe sulle donne degli altri… ”
Io restavo in silenzio. Immobile. La sua affermazione che non era frocio mi tranquillizzò in qualche modo.
“No, la prego, no… “dissi.
“Avanti, bacialo…”
Il cazzo era ora a pochi centimetri dalla mia guancia. Mi arrivava il calore sul viso. Sentivo un odore misto a quello del bagnoschiuma e della spugna dell’accappatoio bagnata.
Ero immobile.
“Avanti. Su. Bacialo”
Mi volsi e chiudendo gli occhi lo baciai. Lo bacia come si bacia per un saluto. Velocemente, con la punta delle labbra. Mi arrivò quel calore come un brivido sulla nuca. E l’odore più forte. E un sentore di bagnato sulle labbra che non asciugai.
“Ancora…”
“Ma mi aveva detto una volta…”
“No nessuno ti ha detto una volta… avanti… ancora ”
Di nuovo lo baciai e di nuovo mi volsi.
“Leccalo. Come un gelato. Avanti…”
“No… mi fa schifo… la prego…”
“Avanti. Come un gelato. Chiudi gli occhi e lecca.”
Mi volsi e con la punta della lingua, a occhi chiusi leccai proprio come un gelato…
Mi sentivo come trasognato, perso, un brivido continuo sulla nuca, un tremore di imbarazzo che mi paralizzava eppure mi affascinava. Ero come ipnotizzato.
La cappella spinse verso le mie labbra che io tenevo serrate. Lui mi tenne la testa e spinse.
“Apri la bocca e succhialo. Leccalo e succhialo… questo è il prezzo del silenzio. Avanti.”
Ormai ero soggiogato. Feci quello che mi aveva ordinato. Aprii la bocca e quel coso caldo si fece strada dentro di essa. Succhiavo e leccavo. Poi lui lo tirava fuori e me lo passava sulle labbra. Si toccava con l’altra mano, lo stringeva e la cappella diventava sempre più gonfia e scura. Poi me lo rispingeva di nuovo in bocca.
Io dentro di me pensavo… sto facendo un bocchino ad un uomo… sono frocio…
lui mi teneva forte per la nuca, con la sinistra, in piedi davanti a me seduto, in modo che non potessi tirarmi indietro. Avevo la sua cappella in bocca e succhiavo. Lui si segava con la destra.
Ad un certo punto mi schizzò in bocca. Mi prese di sorpresa schizzando il primo fiotto direttamente in gola. L’aspro e acido dello sperma mi andò per traverso e mi scappò da tossire forte. Mi tirai indietro e gli altri schizzi mi presero in facci.
Corsi in bagno a sputare mi ricorderò sempre il mio viso coperto da quella ragnatela di fili bianchi.
Sputai e mi sciacquai la faccia, la bocca, più volte.
Tornai di là e lui era ricomposto.
Lo guardai con odio.
“ora siamo pari…” dissi.
“Pari?… nemmeno per sogno… vedi di non alzare la cresta… non guardarmi in quel modo.
Finché saremo qui sarà meglio che tieni lo sguardo basso, quando mi vedi. Ricorda che sei passibile di denuncia…”
“anche lei, adesso…” dissi, combattivo.
“Io? E chi lo ha detto? Io ho chiesto e tu hai fatto. Ti ho costretto?”
“Si. ” dissi.
Rise. Fece un passo verso un tavolinetto, spostò una borsa e… c’era una piccola telecamera. La sollevò e la spense.
“Vedi? in questa ripresa tutti potranno constatare che io mi sono limitato a metterti il mio cazzo a disposizione e che tu lo hai prima timidamente baciato e poi hai iniziato a leccarlo.
Non c’è stata alcuna forzatura. Lo hai fatto perché ti piace e perché ti andava.”
Ero impietrito.
“La ripresa la tengo io ” continuò “e sarà meglio che tu ti renda conto che ci vorrebbe poco a trarne dei fotogrammi da far arrivare a chi ti conosce, amici, conoscenti di famiglia, compagni di classe … per far sapere loro chi sei. Sono stato chiaro?”
Ero alla sua mercè. Mi sembrava di avere ancora in gola l’acidulo sapore dello sperma non vedevo l’ora di alzarmi e di andare via di lì.
“Va bene, ho capito. Che altro vuole da me?” dissi alzandomi.
“Per ora niente. Puoi andare. Stasera dopo cena quando gli altri dormono devi tornare qui. Mia moglie vuole conoscerti.”
Questa notizia mi sorprese. La moglie era quella mora bellissima per cui la sera precedente mi stavo masturbando. Quella da cui tutto era iniziato. Me ne ero quasi dimenticato.
Ma non rimasi a fare domande. Uscii dalla porta finestra sul balcone e rientrai nella mia stanza.
Andai ancora a lavarmi i denti, feci una specie di gargarismi con il dentifricio. Mangiai una merendina che avevo.
Il sapore in gola sembrava essersene andato.
Mi sdraiai sul letto e presi a pensare. Con un misto di disgusto e di timore mi resi conto di essere eccitato. Strinsi il pene due o tre volte attraverso la stoffa dei pantaloncini e… ebbi un orgasmo. Non bello, non forte come intensità, anzi doloroso, ma mi sembrò che un fiume di sperma fluisse da me, bagnandomi completamente.
Andai in bagno a lavarmi e a lavare i pantaloncini.
Mi cambia, li stesi sul balcone. Dalla finestra della stanza 11 nessun suono veniva. Mi stesi sul letto e mi addormentai. Mi svegliai quando i cugini entrarono nella stanza schiamazzando.
Mi sentivo sporco. Non mi sembrava quasi vero quello che era accaduto poche ore prima.
Ancora esploravo le mia sensazione di avere quel gusto acidulo in fondo alla bocca. Deglutivo continuamente e mi schiarivo la gola.
Mia madre mi fece andare a comprare delle cose. A cena ero distratto. Non avevo appetito. Mi sentivo come se avessi la febbre.
Mi tornava in mente il momento in cui mi ero voltato e mi ero trovato quel cazzo scuro puntato verso la mia faccia. Mi pareva enorme. Molto più grande del mio. Era congestionato e sembrava sul punto di esplodere. E poi la sensazione di quella carne fremente nella mia bocca. Le mani che mi tenevano la testa. La sensazione di soffocamento ad avere quella grossa salsiccia ad occupare la bocca. La saliva che si formava e che non riuscivo a deglutire e mi colava un po’ giù per il mento. E poi la sorpresa dello schizzo potente e inaspettato direttamente nella gola che mi aveva dato il voltastomaco.
E’ difficile spiegare ciò che provavo in quel momento. Rifiutavo con tutto me stesso quella parte di me che era rimasta soggiogata e in balìa del mio ricattatore. Cercavo di dimenticare e cancellare dalla mia mente ogni momento che si riaffacciava in essa. Mi dicevo che mai più nella mia vita mi sarebbe capitato.
Eppure pensavo a quello che mi aveva detto l’uomo, di recarmi la sera tardi nella loro stanza perché la moglie voleva conoscermi e la sensazione di abbandonare ogni difesa, di essere alla sua mercè, mi eccitava.
Non era ancora un’eccitazione erotica.
Era un’emozione profonda che mi sconvolgeva e mi rendeva febbrile. Incapace di altro che non di lasciarmi andare come in un sogno.
Ma passavo continuamente dal rifiuto al cercare di immaginare cosa poteva accadere se fossi andato.
Ma se non fossi andato cosa poteva fare l’uomo?
Davvero avrebbe potuto sputtanarmi come aveva detto?
Non conosceva quasi nulla di me. Come avrebbe potuto dar seguito alle sue minacce di inviare a amici e compagni di scuole le mie foto?
Rimasi di stucco quando vidi lui e sua moglie parlare con mia madre.
“Vieni Luca, che ti presento i signori. Stavamo parlando di te, sai?”
Armando e Federica, si chiamavano. E stavano parlando con mia madre di quanto fossi un bravo ragazzo educato. Che scuole frequentassi con che profitto.
Ero stato anticipato ancora una volta.
Armando mi guardavo sorridendo divertito.
Federica si mise a parlare con mia madre di creme e trucco e come il mare screpolasse la pelle e cose di questo tipo.
Armando mi invitò a bere qualcosa al bar. Io cercai di declinare ma un suo sguardo eloquente mi convinse a seguirlo.
“Allora, Luca… hai capito? Ti aspettiamo stasera, nella nostra camera. Vedi di non farmi aspettare inutilmente altrimenti la tua bella mammina avrà una prima visione del suo bravo ragazzo mentre fa cose che non sono proprio da bravo ragazzo…”
Dissi di si a mezza voce e mi allontanai, con una tempesta dentro.
La sera arrivò, e anche il momento di andare a letto.
I cugini non ne volevano sapere di addormentarsi e continuavano a giocare.
Io un po’ avrei voluto che continuassero tutta la notte e un po’ li odiavo. Mi costringevano a restare sulle spine.
Alla fine si addormentarono e io uscii sul balcone. Dalla camera 11 veniva il chiarore di una abat-jour e l’audio abbassato di un televisore.
Attesi e non sapevo cosa fare. Tossii.
Federica si affacciò sulla porta finestra, mi sorrise e mi fece cenno con il capo di entrare.
Mi avvicinai e chiedendo permesso entrai nella stanza 11. Il cuore mi batteva fortissimo.
Indossava una vestaglia leggera che lasciava con noncuranza aperta. Sotto un paio di slip neri e niente reggiseno. Era sola, ma dei rumori in bagno mi fecero capire che l’uomo era lì.
“Sai Luca che ho visto la cassetta?”
Arrossi violentemente e chinai il capo. Non riuscivo a guardarla in faccia.
“Non fare così. Non ti devi preoccuare anche se ti è piaciuto farlo. Non vuol dire che sei omosessuale…”
“Non mi è piaciuto farlo!” dissi a voce bassa ma con una certa rabbia.
“Si che ti è piaciuto. Si vede benissimo sai? Io me ne intendo… cosa credi?” mi canzonò lei.
“Ma non sei capace… “disse… “hai molto da imparare…” ora ti faccio vedere qualcosa io…”
Mi venne vicino e mi tocco le spalle, il petto. Mi guardava negli occhi. Io non riuscivo a sostenere il suo sguardo. Con le unghie mi sfiorava la pelle del petto, la pancia, fino ad insinuarsi sotto l’elastico dei pantaloncini.
Si inginocchiò e piano, con studiata lentezza, calò l’indumento, insieme agli slip.
Il mio pene svettò duro verso di lei.
Mi vergognavo per quanto fosse minuscolo e chiaro, in confronto a quello dell’uomo. Dal paragone uscivo tristemente sconfitto.
Ma lei non parve essere delusa. Avvicinò la bocca e mi soffiò sopra delle parole.
“Vedi… non bisogna avere fretta… è buono e va gustato…”
COminciò a lambirlo con la lingua lentamente. IO stavo per esplodere e non osavo fare un gesto.
L’incanto venne interrotto dalla porta del bagno che si apriva e dalla voce di Armando:
“Bene… vedo che il signorino è arrivato…”
Indossava lo stesso accappatoio del giorno.
Se sedette su una poltroncina e disse: “prego, continuate pure…”
Lei imboccò con decisione il mio pene nella sua bocca bollente. Arrivava facilmente ad ingoiarlo tutto, sentivo il naso che mi solleticava la pancia.
Sto per venire, dissi…
Era la mia prima volta con una donna, immaginai di schizzare il mio sperma nella sua bocca e non mi pareva buona educazione, per cui cercai di ritrarmi, ma lei affondò le unghie nelle mie natiche e mi spinse ritmicamente nella sua bocca. Sentivo il fluire del mio sperma e lei che deglutiva.
Quando ebbi finito si sollevò leccandosi le labbra.
“Vieni… ” mi disse prendendomi per mano.
Mi fece sedere sul letto e ripresa ad accarezzarmi, scendendo di nuovo verso il pene, succhiandolo e poi lasciandolo. In breve era di nuovo dritto. Anzi forse non era mai sceso.
Quindi fece cenno ad Armando di avvicinarsi.
Questi si alzò dalla poltrona e nel farlo il pene duro si fece strada aprendo i lembi dell’accappatoio.
Di nuovo vidi quel fungo rosso scuro dai bordi violacei che era la sua cappella. Ricordava un po’ dalla forma l’elmetto dell’esercito tedesco nella guerra.
Io ero seduto ai piedi del letto, sdraiato e appoggiato sui gomiti.
Federica seduta accanto a me, appoggiata sulla mia pancia. Lui si avvicinò dall’altra parte e lei si sporse per prenderlo in bocca.
Davanti a me vedevo le sue labbra avvolgere la cappella, le guance incavarsi e il cazzo diventare sempre più grosso.
“Vedi come si fa? ” disse lei.
“Vieni… fallo insieme a me…” mi invitò offrendomi la minchia lucida.
Avrei voluto dire no, ma lei era stata così gentile… non potei rifiutare.
Mi avvicinai cautamente e presi a lambire l’asta con la lingua.
Io da una parte, lei dall’altra, guardandomi negli occhi.
Mi invitò a prenderlo in bocca e lo feci, mentre lei lo masturbava.
Continuammo così per un po’, alternando l’opera delle nostre bocche.
Ad un certo punto Armando mi prese mi fece alzare, mi voltò e mi spinse sul letto.
Capii immediatamente quale fosse la sua intenzione e cercai di divincolarmi.
“No, ti prego, no…”
“Digli di no… digli di no… “dissi a Federica.
Mi ero aspettato stupidamente che lei fosse dalla mia parte, almeno un po’, e invece mi si sdraiò sopra, sulla schiena, prima… poi mi si mise a cavalcioni.
Ero in ginocchio per terra, appoggiato alla sponda del letto,
Federica con il suo peso sulla schiena e Armando che massaggiava il solco delle natiche serrate.
“Stai buono e zitto… lasciati fare, te lo consiglio…” disse Federica.
“Dopo il piacere un po’ di dolore, e poi ancora piacere… è la vita… ma devi cooperare… non vorrai mica farti sentire da tutti?” continuava aiutando il suo uomo tenendomi le natiche aperte.
Io continuavo a dimenarmi senza convinzione, ormai mi sentivo come un agnello sacrificale, avevo accettato il mio destino. Le emozioni di quella giornata erano state troppe.
Farfugliavo delle frasi nel tentativo di impietosirlo, e stringevo forte il sedere per impedirgli la penetrazione.
Quando appoggiò e iniziò a spingere cominciò subito a farmi male. Sentivo che lo toglieva e ci sputava sopra. Infilava un dito, cui non riuscivo a impedire l’accesso. Andava su e giù dentro di me.
Poi lo toglieva e riappoggiava il cazzo.
Per due o tre volte andò così e io riuscii a resistere.
Poi un attimo in cui indebolii le mie difese si fece strada dentro di me un po’. E da quel momento lo sentii allargarmi inesorabilmente, entrare.
Lei mi diceva di rilassarmi che non mi avrebbe fatto male.
Ma io piangevo, dalla rabbia e dal dolore.
Prese a muoversi dentro di me. Prima piano. Poi più forte.
Ogni volta sembrava entrasse più a fondo.
Federica mi teneva stretto e lo incitava: “Fotti questa troietta, la faremo diventare la nostra schiavetta…”
e poi a me: “ti insegneremo tutto… ti farò scopare e godere… se starai buona…” aveva preso a parlarmi al femminile.
Per mia fortuna il mio culetto stretto, o forse l’eccitazione dello sverginarmi, del violentarmi, lo fecero venire subito. Mi prese per le spalle e mi tirò con violenza ad impalarmi sul suo cazzo, fino in fondo. Mi tenne con forza mentre scaricava dentro di me il suo sperma, accompagnando ogni fiotto con un grugnito e un “tieni… tieni..”.
Federica mi teneva aperto, da sopra. Immagino si godesse lo spettacolo del pene che entrava ed usciva dal mio ano vergine fino a pochi istanti prima, fremente mentre eiaculava.
Quindi estrasse il suo bastone e andò in bagno, lasciandomi dolorante e lacrimante sul letto.
Mi sentivo squarciato. Mi pareva che non mi sarei mai richiuso. Sollevai il busto e un liquido caldo scese lungo le cosce. Pensavo fosse sangue, ma era sperma.
Federica prese a baciarmi con la lingua. Mi leccava il viso, eccitatissima.
Da una borsa estrasse un vibratore e se lo infilò nella vagina. Lo accese e quello cominciò a vibrare.
“Vieni a leccarmela, troietta” disse… “altrimenti ti ficco anche questo nel culo!”
Ero imbranato. Mi prese per i capelli e mi spinse sulla sua fica.
Mentre con l’altra mano si masturbava con il vibratore.
Mi guidò dove leccarla. “tira fuori la lingua e muovila… qui… si… qui… dai… ancora …”
Mi sbatteva senza ritegno facendomi anche male. Ma in breve venne anche lei, con una specie di ringhio profondo da bestia ferita. Quindi si accasciò sul letto.
Io feci per alzarmi. Volevo andare in bagno. Sentivo ancora colarmi fra le cosce quel liquido vischioso.
“Non ti muovere…”ordinò Federica.
Prese a leccarmi su tutto il corpo, ma il mio cazzo non voleva saperne di rialzarsi.
“ti ha fatto male? ” ora era tutta amorevole…
“non ti preoccupare… vedrai che passa… ora ti faccio godere…io…”
Ma io ero nauseato, stanco, schifato. Mi alzai dal letto dicendo… no voglio andare a casa.
Armando disse: “ok, lascialo andare… ma ricorda…” e mi indicò la videocamera ancora in funzione…
“anche questa volta ti abbiamo ripreso… quindi acqua in bocca…”
Tornai nella mia stanza pensando a quante cose erano cambiate in me quel giorno. Ero a dir poco frastornato. E ormai mi sentivo alla deriva. Perso nel vortice del peccato.