UNA STORIA VERA
Alla morte di Joseph Smith,fondatore del mormonismo negli Stati Uniti, il movimento religioso subì una crisi di successione e quindi la formazione di nuove chiese, ogni una delle quali professava il mormonismo originale con differenze più o meno marcate. Inizialmente il mormonismo praticò la poligamia sino al 1890,da quella data il mormonismo ufficiale rinnegò tale pratica. Dal mormonismo ufficiale nacquero quindi chiese scismatiche.
Le chiese poligame maggiori sono circa una decina e nessuno di questi gruppi, o dei loro aderenti, ha legami di nessuna natura con la Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni(mormonismo ufficiale). Questi gruppi poligami nacquero ad opera di Lorin C. Woolley che, al fine di promulgare uno stile di vita poligamo, durante gli anni venti del secolo scorso, lasciò la Chiesa mormone reclamando una separata linea di autorità sacerdotale. Dal gruppo scismatico condotto da Woolley traggono origine le diverse branche del fondamentalismo poligamo oggi esistenti.
Tra questi gruppi il più noto e numeroso è The Fundamentalist Church of Jesus Christ of Latter Day Saints (FLDS Church) (Chiesa fondamentalista di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni). Ha sede in Hildale, Utah al confine meridionale con l’Arizona e si stima abbia tra i 6 000 e i 10 000 fedeli. In questa comunità la poligamia ammette, generalmente, fino a sette mogli. Nel 2007 il capo di tale gruppo, Warren Jeffs, fu condannato all’ergastolo per bigamia e abusi sessuali su minori. La poliandria, cioè il matrimonio di una donna con più uomini, non è ammessa.
Fu in quel periodo che una donna di 70 anni si decise di raccontare la sua vera e cruda storia ad una giornalista di una associazione per la protezione della donna dalle violenze domestiche.
‘Mi chiamo Miriam, sono nata in un paesino agricolo dello Utah che contava circa 2000 anime. Tutto il paese professava il mormonismo. Ho vissuto in una famiglia che oggi chiamerebbero ‘allargata’ ma che in realtà era una famiglia poligamica, come tutte le famiglie del paesino. Mio padre aveva 5 mogli, 11 figli maschi e 8 figlie femmine. Tutto il paese era praticamente imparentato perché ci si sposava solo all’interno della comunità. A capo della comunità c’era il reverendo Martens capo religioso e civile che comandava su tutti e su tutto. La sua parola era legge e tutti la rispettavano. Nelle famiglie il capo indiscusso era il papà e nessuno osava contraddirlo o essere irrispettoso. La vita di tutti si dipanava tra lavoro nei campi, a casa e preghiera ed era molto severa. Era comunque accettata da tutti perché era l’unica vita che conoscevamo.
Come detto la mia famiglia era composta dalle 5 mogli, la più anziana aveva 40 anni e la più giovane 18 e a quel tempo non aveva ancora avuto figli. Dei maschi 7 erano già grandi e lavoravano nei campi, delle femmine 4 erano maggiorenni, poi venivo io e le tre più piccole. Apparentemente tutta la vita della famiglia girava in perfetta armonia, senza gelosie tra le mogli e tra noi fratelli, ma soprattutto perché papà guidava tutti con polso di ferro e tutti ne avevano timore.
Un giorno mia madre mi chiamò e mi disse’ Miriam è giunto per te il momento del rito. Questa sera ti porterò dal reverendo per il rito. Farai tutto quello che il reverendo di dirà. Tutto dovrà però rimanere segreto non dovrai mai raccontarlo a nessuno, ne a me, ne a tuo padre o ai tuoi fratelli, a nessuno al mondo o la collera del signore cadrà su di te.’ Rimasi molto intimorita per tutta la giornata. La sera non mi fecero cenare ma mia madre mi aiutò a fare un bagno, mi mise il vestito migliore e mi accompagnò a casa del reverendo. Bussò alla porta, il reverendo apri, mi fece entrare e mia madre andò via lasciandomi sola. Il reverendo lo vedevo solo durante le funzioni, alto, magro con una lunga barba bianca, sguardo severo e voce profonda. Mi aveva sempre messo una grande soggezione e dentro di me tremavo all’idea di essere sola con lui. ‘vieni’ mi disse e mi fece entrare nel suo studio: La stanza era in penombra con delle candele accese e il fuoco del camino. Ero ferma in mezzo alla stanza con lui che mi fissava severo poi prese a girarmi intorno senza dire una parola. Il mio tremore interno aumentò a dismisura. Si mise alle mie spalle e mi avvolse con le braccia. Sentiva che tremavo e mi disse con voce profonda e più dolce ‘ non devi avere paura di me’. Mi tenne stretta sino a che mi calmai. Poi lentamente standomi sempre alle spalle mi slacciò il vestito e lo fece scendere. Avendo il seno piccolo non avevo reggiseno; mi tolse anche le mutandine. Avendolo alle spalle il fatto di essere nuda non mi agitò più di tanto. Rimasi per un po’ così, nuda in mezzo alla stanza, nel silenzio più profondo. Poi il reverendo mi venne di nuovo vicino da dietro, sentii le sue mani sulle spalle, caldissime, prese ad accarezzarmi lentamente le spalle e il collo. Un accarezzamento quasi ipnotico. Quelle mani caldissime mi davano un piacere intenso e rilassante. Quando però le sue mani scesero a coprirmi i miei piccoli seni mi irrigidii. Sussurrando ma con voce decisa mi disse’ prega insieme a me con il salmo dieci’. La paura di sbagliare le parole mi distrasse un po’ dalle sue mani e mentre insieme recitavamo il salmo le sue mani presero a stringermi e palparmi. Con due dita mi stringeva i capezzoli. Poi le sue mani sempre più calde scesero ad accarezzarmi la pancia. Il caldo della stanza, la sua voce sussurrata,le sue lente carezze e le parole del salmo mi avevano soggiogato, quando una sua mano scese ad accarezzarmi l’inguine e si spinse tra le cosce le aprii spontaneamente. Con una mano mi stringeva il seno e con le dita dell’altra mi accarezzava lentamente il sesso. Era la prima volta che un uomo mi toccava così ma non provai in quel momento ne fastidio ne piacere, ero in un limbo. Si staccò da me, mi mise una mano sul collo e mi portò verso una poltrona. Si sedette e mi fece segno di inginocchiarmi davanti a lui seduto. Mi guardava fisso inchiodandomi a lui con uno sguardo. Mi prese le braccia e me le portò dietro la schiena. Continuavo a fissarlo. Lentamente si sbottonò la lunga tunica, la aperse; sotto era nudo. Abbassai lo sguardo e vidi il suo pene, grosso e flaccido. Non mi meravigliai perché avevo già visto il sesso di mio padre e dei miei fratelli quando si lavavano. Guardai di nuovo il reverendo per capire cosa volesse. Lui con una mano si prese il pene e con l’altra mi spinse lentamente verso di se. Mi appoggio il pene alle labbra e poi, visto che io le tenevo chiuse, mi afferrò i capelli sulla nuca e spinse di più. Aprii le labbra e lentamente mi penetrò. Tenendomi per i capelli guidava il movimento. Sentivo in bocca il suo pene indurirsi e cercavo di spalancare la bocca perché diventava sempre più grosso e avevo paura di fargli male con i denti. Il reverendo mormorava qualche cosa di incomprensibile. Incominciavo a fare fatica a respirare per l’invadenza del suo pene e per il movimento che lui imprimeva alla mia testa quando si fermò, sentii il suo pene vibrare e la bocca mi si riempii di liquido. Tentai di staccarmi ma la sua mano mi bloccava e sentii il reverendo che con voce roca mi diceva ‘ bevi,bevi il seme sacro’. Incominciai ad inghiottire per liberare la bocca e fino a che le ultime gocce di sperma non uscirono il reverendo mi costrinse a tenere il suo pene in bocca. Mi liberò la testa e si sfilo dalla mia bocca. Avevo bevuto il mio primo sperma di un uomo. Ero li seduta sui talloni, frastornata, con gocce di sperma ai lati della bocca che guardavo il reverendo abbandonato sulla poltrona con gli occhi chiusi e il suo pene di nuovo flaccido e gocciolante senza sapere cosa fare. Aperse gli occhi, mi accarezzo sulla testa, ‘brava Miriam, sei stata brava ed ubbidiente’. Si alzò, mi fece alzare e mi sollevò prendendomi in braccio come un fuscello dimostrando una forza inaspettata per un uomo anziano. Mi portò su un tavolo ricoperto da una soffice coperta, mi lasciò supina e mi bendò. Prese ad accarezzarmi su tutto il corpo con le sue mani caldissime sul seno sulla pancia sulle cosce che mi apri e con le dita delicatamente mi accarezzava e mi apriva le labbra della vagina. Poi sentii la sua testa tra le gambe e la sua lingua a leccarmi e con le mani mi impastava i seni. Mi portò al mio primo orgasmo che mi lasciò tramortita. Subito sentii le sue dita sul mio sesso e una sensazione di freddo e di bagnato e in breve tempo perdetti la sensibilità della parte, come se non mi stesse più toccando. Sempre bendata sentii la sua mano voltarmi la testa di lato e il suo pene già duro premere sulle mie labbra. Le aprii subito e lui spinse fino in fondo provocandomi un conato. Si ritrasse, mi fece respirare e poi lentamente, tenendomi ferma la testa, mi scopò in bocca sino a farmi bere il suo sperma per la seconda volta. Solo dopo anni capii che mi aveva spalmato qualche cosa sulla e dentro la vagina che mi aveva in parte anestetizzato. Il rapporto orale era servito anche a distogliere la mia attenzione e la leggera fitta all’inguine che sentii era dovuta alla rottura dell’imene fatta con le dita dal reverendo. Lo sentii pulirmi le gambe e poi, sempre bendata, mi copri con una coperta. Mi lasciò tranquilla per un po’ di tempo sino a quando lo stordimento mi passò. Mi fece rivestire e mi rimandò a casa. Arrivata a casa mia madre mi guardava attentamente senza dire una parola, io ligia alla promessa non dissi nulla. Andai a letto e mi addormentai subito. Il giorno dopo facendo la pipi sentivo un po’ di bruciore ma la cosa passò rapidamente. Cosa pensai di tutto ciò che era successo? In realtà niente, talmente eravamo abituati ad ubbidire e accettare supinamente tutto ciò che i ‘grandi’ ci imponevano, in più essendo donne non contavamo, si ubbidiva e basta , senza lamenti.
Dopo circa una settimana mia madre mi disse ‘ questa sera vai dal reverendo’. Mi si stinse lo stomaco al pensiero di riprendere in bocca il suo pene e bere il suo sperma ma chiaramente non dissi nulla e nulla feci trasparire. Mia madre non mi accompagnò e da sola mi presentai alla sua porta. Mi aprii e sbrigativamente mi spinse nella stanza. Rudemente mi tolse il vestito e le mutandine. Sempre rimanendo in piedi si apri la tunica rimanendo nudo, mi spinse in ginocchio e mi mise in bocca il pene. Tenendomi la testa ferma con le mani si muoveva avanti e indietro con forza arrivandomi in fondo alla gola. Avevo conati e faticavo a respirare e iniziai a piangere, cercai di spingerlo via con le mani ma lui mi bloccava. Di colpo si sfilò, mi prese in braccio e mi mise sul tavolo, mi apri le gambe e si mise a leccarmi. La violenza di tutta l’azione mi aveva sconvolta. Si sollevò e, mettendosi tra le mie cosce, iniziò a penetrarmi. Sentivo dolore e mi lamentavo e piangevo; mi disse cattivo’ zitta Miriam’. Terrorizzata smisi di lamentarmi. Si spinse fino in fondo e si fermò. Mi sentivo piena e dilatata. Restò fermo per un po’ poi mi copri i seni con le mani e iniziò lentamente ad entrare e uscire da me. Lo guardavo aveva gli occhi chiusi e la faccia tesa. Il dolore si era attenuato. Mi prese le gambe e le sollevò spingendole verso il mio petto. Iniziò a muoversi sempre più velocemente avanti e indietro sino a che non mi venne dentro con un grugnito. Restò qualche attimo dentro di me poi si tolse, prese uno straccio e mi pulì velocemente tra le gambe dal suo sperma che mi colava dalla vagina. ‘ vestiti e vattene’ mi disse. Sconvolta e spaventata mi vestii velocemente e scappai a casa. Durante il tragitto cercai di calmarmi per non mostrare i miei sentimenti. Arrivata a casa mia madre mi scrutava senza parlare. Feci finta di niente ma mi bruciava in mezzo alle gambe. Di nascosto mi lavai e con una pezza bagnata di acqua fredda andai a dormire. Il reverendo mi chiamò altre volte, sapendo cosa mi aspettava andavo rassegnata e devo ammettere che pur essendo i rapporti un po’ violenti almeno non erano dolorosi più di tanto. Una delle ultime volte che mi chiamò, prima di penetrarmi mi fece sdraiare con il busto sul tavolo, mi apri le gambe e prese a toccarmi l’ano. Mi accarezzava con un dito e poi lentamente mi penetrò. Sentivo fastidio più che dolore e mi lamentai stringendo lo sfintere e cercando di muovermi ma lui mi inchiodò con una mano tra le scapole. Continuò per un po’ muovendo il dito poi lo tolse, mi girò e mi scopò. Fu l’ultima volta che mi chiamò che mi sodomizzò. Mi mise con il busto sul tavolo,mi unse lo sfintere con un liquido e cominciò a penetrarmi. Incominciai a piangere e dire ‘no,no’ e cercare di alzarmi ma lui mi bloccava sul tavolo e visto che mi agitavo mi diede una sberla. Il mio sfintere cedette alla pressione e lui entro un poco. Più cercavo di stringere per impedire di entrare più sentivo dolore, alla fine cedetti e lui di colpo spinse il suo pene sino in fondo. Mi sembrava di avere una trave nella pancia. Si piegò sopra di me bloccandomi completamente. Mi sibilò all’orecchio ‘come sei stretta Miriam’ prese a muoversi dentro di me sfilandosi quasi del tutto per poi rientrare. Ogni volta era una stilettata. Per fortuna il mio sfintere stretto lo fece godere rapidamente. Con un ultimo colpo sino in fondo sentii il suo pene vibrare e svuotare il seme nel mio intestino. Mi rimase addosso per un po’ poi si alzò e mi diede uno straccio per pulirmi. Rimasi diversi minuti piegata sul tavolo, senza la forza di alzarmi, poi con lo straccio mi pulii toccandomi e immaginando di avere lo sfintere slabbrato ma in realtà era come prima, solo il bruciore mi ricordava cosa era successo. Mi rivestii e scappai a casa. Il rito era compiuto, i miei tre orifizi sessuali erano stati ‘aperti’, la mia ‘nuova’ vita era iniziata e solo dopo l’ho capito. Le donne di quella comunità in realtà servivano solo a fare figli per aumentare il numero degli adepti, pulire le case, cucinare e soddisfare gli uomini, veri padroni.
Io ora ero ‘aperta’ e pronta per tutti i maschi della famiglia. Il primo fu mio padre.
Come in tutte le realtà contadine al tramonto si finiva il lavoro dei campi, gli uomini tornavano a casa, si lavavano e si cenava. Seduti tutti insieme al tavolo grande si pregava prima di iniziare a mangiare, si consumava la cena nel più completo silenzio con le madri che servivano al tavolo e nessuno si alzava prima che il capofamiglia desse il permesso. Dopo aver di nuovo pregato gli uomini si ritiravano a fumare o fare altro mentre tutte le donne sparecchiavano e pulivano. Una sera mentre pulivo delle pentole mio padre entro in cucina e mi disse ‘ Miriam’ e mi fece segno di seguirlo. Rimasi interdetta ma subito lo segui. Fuori dalla cucina mi disse ‘vai a lavarti ,prepararti per la notte e vieni nella mia stanza’. Ubbidii immediatamente, mi lavai, mi misi il camicione e bussai alla sua porta. Mi apri e mi fece entrare. Pensai che volesse sgridarmi per qualche mancanza e rimasi timorosa in mezzo alla stanza. Mi osservava in silenzio con il suo sguardo che incuteva timore. Mi venne vicino, mi prese il camicione e lo sfilò dalla testa lasciandomi nuda. Istintivamente cercai di coprirmi con le mani (poi ripensandoci quel gesto non lo avevo fatto davanti al reverendo) per pudore dinanzi a mio padre. Lui però me le abbassò e rimase a guardarmi. Poi si tolse il suo camicione e rimase nudo. Gli guardai il pene, molle e raggrinzito e poi guardai lui negli occhi. Mi venne vicino, mi prese la mano e la strinse intorno al pene e si mise a muoverla avanti e indietro e con l’altra mano iniziò a toccarmi i seni e in mezzo alle gambe. Ero come gelata dentro di me ma mi comportavo come un automa. Il pene che continuavo a masturbare si era indurito, con le mani sulle spalle mi spinse giù e io aprii la bocca e lo ingoiai muovendomi come mi muovevo con il reverendo. Pensai che anche mio padre volesse venirmi in bocca ma dopo un po’ si ritrasse. Mi fece alzare e stendere sul letto. Mi apri le gambe e prese a toccarmi aprendomi con le dita le labbra della vagina. Sentivo le sue dita frugarmi dentro, accarezzarmi, e poi le sue labbra a baciarmi e leccarmi. Non provavo nulla se non ribrezzo. Poi mi penetrò e dopo poche spinte mi venne dentro. Mi diede una pezza per pulirmi. Si rimise il camicione e mi disse ‘dormiamo’. Mi rivestii anch’io e mi misi nel letto. Faticai a dormire perché nella testa tutte le cose più brutte si accavallavano. Poi crollai in un sonno popolato da incubi. Nel dormiveglia mi accorsi che mio padre dietro di me mi stava sollevando il camicione, mi prese i seni tra le mani e mi penetrò da dietro. Ero asciutta e sentii dolore ma non osai lamentarmi. Lo sentivo grugnire dietro di me. Durò di più della sera ma con una ultima spinta mi riempi di nuovo del suo sperma. Era giorno, mi rimandò nella stanza che dividevo con le altre sorelle. Nessuna disse nulla, come se non fosse successo niente. Ma da quel momento tante cose, tanti piccoli fatti incominciai a collegarli e vederli sotto una luce diversa. Non fu solo mio padre ad usarmi ma anche gli altri fratelli. Notai, la prima volta, che il più grande, una sera, nel mettersi a tavola si fermò dietro la mia sedia e mio padre fece un piccolo gesto affermativo. Mentre stavo per mettermi a letto mi venne a chiamare, mi portò nella stanza che divideva con l’altro fratello, mi denudò e mi usò in tutte le maniere riempiendomi la bocca e la vagina di sperma per una lunga notte. Ma non solo le sorelle ‘aperte’ erano usate da tutti i maschi ma anche le madri. Facendo attenzione ai movimenti prima di cena vidi che i fratelli più grandi si accostavano alle sedie delle madri e mio padre assentiva o negava. Vedevo dei figli andare dietro la sedia delle proprie madri e avere l’assenso. L’unica che era sempre negata era la sposa più giovane sino a che non rimase incinta di mio padre. Ma anche i maschi più giovani potevano permettersi alcune cose. Loro non lavoravano nei campi e durante il giorno sbrigavano lavori nella fattoria. Un giorno vidi uno di loro avvicinarsi alla prima madre e dire qualche cosa. Lei smise subito di lavorare e lo segui. Di nascosto andai dietro e li vidi entrare nella stalla. Entrai dall’altra porta e silenziosamente mi misi a guardare. La madre si era denudata il petto e lui le toccava e palpava il seno. Lei si inginocchiò, gli abbassò i pantaloni e preso il pene lo portò alla bocca. Prese a succhiarlo mentre con la mano gli accarezzava i testicoli. Lui con gli occhi chiusi faceva versi. Dovette succhiarlo per un bel po’ di tempo sino a che lui le afferrò la testa e tenendola ferma si scaricò nella sua bocca. Si rivestirono e tornarono ai loro lavori. Ai maschi più giovani era concessa solo la nostra bocca come orifizio per scaricare il loro sperma, potevano toccarci,palparci ma non penetrarci se non in bocca. I maschi usavano tranquillamente le madri che li avevano partoriti e rimanevano incinta dei propri figli. L’importante era aumentare la famiglia.
Tra noi femmine non c’era il minimo spirito di coesione, tutte subivano quella vita senza una reazione.
Una sera ero stata portata da uno dei maschi grandi nella sua stanza dopo che aveva avuto il solito permesso. Mi aveva scopato un po’ davanti poi mi aveva girato a pancia in giù, con un po’ di saliva mi aveva lubrificato l’ano e penetrata. Dopo avermi riempito di sperma stavo per rialzarmi quando l’altro maschio con una manata mi ha ributtato sul letto. Ho cercato di ribellarmi perché non aveva avuto il permesso. Un paio di sberle mi hanno zittito; mi ha sodomizzato con cattiveria facendomi male, tutto contento che lo sperma del fratello che mi colava tra le gambe rendeva più facile la sua penetrazione. Alla fine, prendendomi per i capelli, mi ha costretto a pulirgli il pene con la lingua e la bocca. Al mattino ho tentato di lamentarmi con mia madre ma ho ricevuto solo un altro rimprovero. Esssendo io l’ultima ad essere ‘aperta’, le altre erano ancora troppo piccole, ero quella più usata. Un pomeriggio subito dopo il frugale pasto i 3 maschi più giovani sono venuti a prendermi. Portata nella loro stanza e denudata tutti e tre mi si sono gettati addosso penetrandomi con le dita, palpandomi e riempiendomi la bocca con i loro peni. Non facevo in tempo a ingoiare lo sperma di uno che l’altro mi forzava le labbra. Fu forse il pomeriggio più terribile perché dopo che tutti e tre avevano finito dopo una breve pausa ripresero a scoparmi in bocca con più cattiveria e con una maggior resistenza da parte loro, spingendomi sino in fondo alla gola il loro sesso; più volte vomitai saliva e sperma. Questa vita praticamente di schiavitù mi pesava sempre di più ma non vedevo via di uscita. Furono però due fatti a convincermi nella scelta poi fatta. Il primo il fatto che nonostante il mare di sperma che inondava la mia vagina non rimanevo, grazie a dio, incinta (infatti non ho potuto mai avere figli)e quindi per la famiglia e la comunità ero considerata male e più il tempo passava più ero maltrattata e vessata. Il secondo successe un giorno in qui il padre, insieme ad altri capofamiglia, era andato in un altro villaggio per la fiera del bestiame. Dalla finestra vidi tornare il maschio più grande. La cosa mi sembro molto strana perché era il primo pomeriggio di un giorno di estate e di solito sino a sera non tornava nessuno. Aveva un atteggiamento cauto come se non volesse farsi vedere. Entrò in casa e salì nelle camere. Lo segui di nascosto e lo vidi entrare nella camera della madre più giovane. Lei aveva appena avuto un figlio da 3 mesi. Mi misi in un angolo nascosto e osservai tutta la scena. Lei stava allattando il piccolo seduta su una sedia e il maschio le stava parlando agitato e lei negava con la testa. Ad un tratto lui l’ha schiaffeggiata, si è abbassato i pantaloni e prendendola per i capelli l’ha costretta a prenderlo in bocca. Mentre lei succhiava il pene suo figlio le succhiava il latte. Poi il maschio l’ha costretta a staccare il bambino e a metterlo nella culla, poi con violenza l’ha denudata, sbattuta sul letto. Si è spogliato e gettato su di lei attaccandosi al suo seno. Le succhiava il latte e la guardava ridendo con le labbra sporche di liquido bianco. Poi sollevandole le cosce sul petto l’ha penetrata con forza facendola lamentare e piangere. Dopo un po’ di quella furia l’ha girata sulla pancia e l’ha penetrata nell’ano. Lei si dibatteva ma lui la inchiodava sul letto. Con un ultima spinta riempi di sperma quella povera ragazza. Scappai via per non farmi vedere.
La scena mi aveva sconvolto per la sua violenza e perché avevo finalmente capito che quei maschi erano degli animali senza rispetto e noi donne delle femmine da monta come delle vacche. E che in realtà non avevano rispetto e non ubbidivano alle regole: una donna che ha partorito sino a che allattava non doveva essere toccata. Avevo 25 anni e quella vita mi dava ribrezzo ma come fare ad andarmene? Non avevo soldi,un minimo di istruzione, non sapevo che cucinare e pulire casa. L’idea mi venne quando facendo la spesa in paese capii che gli unici stranieri che passavano da li erano gli agenti di commercio che ci procuravano ciò che noi non potevamo produrre. Ne adocchiai uno di una certa età che forse potevo impietosire. Mi offrivo sempre io di andare in paese per le spese e le altre erano ben contente. Notai che ogni 15-20 giorni tornava. Quando mi decisi mi sistemai il meglio possibile ed essendo oramai una bella ragazza andai alla carica. Riuscii a farmi notare e quando fu fuori dal paese, in una zona appartata, lo feci fermare con la macchina. Aveva una faccia buona e un bel sorriso, un nonno bonaccione. Le raccontai la solita storia della ragazza con ambizioni che in quel paese sperduto sarebbe morta di noia e che volevo andarmene per cambiare la mia vita ma che non avevo un soldo. Senza difficoltà lo convinsi a darmi un passaggio e portarmi lontano in un altro stato. Mi disse che sarebbe tornato dopo 20 giorni e che mi avrebbe portato in Arizona. Tutta felice tornai a casa e iniziai a preparare la mia fuga. Nascosi la sacca con i pochi vestiti e indumenti che avevo lungo la strada del paese. Dopo 20 giorni lui tornò come promesso, mi caricò in macchina e io pensai che iniziava la mia nuova vita. Io ero eccitatissima e continuavo a parlare, mi guardava e sorrideva. Dopo un centinaio di chilometri si fermò in uno spiazzo isolato e spense la macchina. Mi appoggiò una mano sul ginocchio e sorridendo mi disse ‘ bambina, devi incominciare a pagare il passaggio ‘. Lo guardai senza dire nulla, si slacciò i pantaloni, si abbassò i boxer, mi mise una mano sulla nuca e mi spinse giù. Non mi meravigliai e comunque qualche cosa dovevo pagare. Presi in mano il pene e iniziai a leccarlo poi lo ingoiai e presi muovere labbra e lingua cercando di dargli il maggior piacere possibile. Evidentemente fui brava perché nel giro di poco lo sentii ansimare e quando capì che lo facevo venire in bocca ebbe un orgasmo fortissimo. Continuai a succhiarlo sino a quando lui si staccò, mi accarezzò la testa e mi disse che ero stata fantastica. Riprendemmo il viaggio sino a sera, ci fermammo in un grosso paese, mi portò a mangiare e poi andammo in un motel. Già a me, quella cittadina, a confronto con la mia, sembrava un altro mondo, i negozi, le luci, la musica, le macchine e la gente mi sembravano di un altro pianeta. Guardavo tutto con la bocca aperta. L’uomo mi accarezzò la testa e mi disse che le facevo tenerezza. Nel motel mi registrò come sua figlia. Entrati in stanza ci sistemammo e poi lui mi disse ‘una bella doccia e poi a nanna’. Iniziò a spogliarmi e una volta nuda mi guardava e mi diceva che ero bellissima. Si spogliò rapidamente e andammo sotto la doccia. Mi insaponò e mi lavò i capelli. Mi accarezzava su tutto il corpo. Vidi che era in erezione e mi inginocchiai prendendolo in bocca. Mi teneva le mani sulle spalle e respirava velocemente. Ad un tratto si tirò indietro e mi disse ‘basta,basta’ gli chiesi se gli avevo fatto male. ‘no,no,assolutamente’ ; uscimmo dalla doccia, mi asciugò, si asciugò e mi portò sul letto. Prese a baciarmi e stringermi i seni, mi lecco in mezzo alle gambe, mi penetrò con le dita ma sempre delicatamente e con calma, come mai ero stata trattata. Alla fine mi venne sopra, presi il suo pene e lo aiutai a penetrarmi. Non provavo nulla ma lui meritava di godere di me. Al mattino quando vide i miei poveri vestiti mi disse che non potevo girare con quegli stracci e mi portò in un magazzino di vestiti che a me parve un paradiso. Mi rivesti completamente. Al mattino fece il suo lavoro poi ripartimmo per un’altra città. Ci fermammo in un altro motel. Mi prese con molta delicatezza e pensai che dovevo in qualche modo ringraziarlo e gli dissi ‘ se vuoi puoi prendermi anche dietro’. Rimase un attimo spiazzato ma poi lentamente e con delicatezza mi penetrò dietro. La cosa lo aveva talmente eccitato che in breve tempo mi venne dentro. Al mattino partimmo per Phoenix. Mi chiese cosa sapevo fare. Gli dissi che al momento sapevo solo fare la cameriera. Mi disse che in città conosceva una persona con un ristorante e che se volevo poteva chiedere. Accettai. Arrivati andammo subito al ristorante. Aspettai in macchina. Poco dopo tornò e mi disse che se volevo mi assumeva subito. Mi portò dal padrone che dopo avermi adocchiata mi disse che mi assumeva subito. Sopra il ristorante aveva una stanza che potevo utilizzare. Accettai. Il mio ‘liberatore’ mi abbracciò e mi augurò buona fortuna. Il lavoro mi piaceva, un po’ meno il padrone. Era un messicano grasso e viscido che dopo poche settimane cercava ogni momento per toccarmi. Per fortuna nel ristorante c’era sempre anche la moglie che gli impediva tante avances. Però appena poteva mi spingeva in un angolo e dovevo prenderglielo in bocca; o si infilava nella mia stanza, dove preferivo mettermi sopra di lui e scoparlo per evirare di essere schiacciata. Dopo pochi mesi sia lui che la moglie avevano preso fiducia in me e spesso la sera ero sola a servire. Da tempo c’era un uomo distinto che la sera veniva a cenare. Lentamente si era creata una certa confidenza e quando rimanevamo soli chiacchieravamo. Una sera, non so perché, gli raccontai tutta la mia storia. Rimase ammutolito e incredulo. Confermai che era tutto vero ciò che dicevo. La sera dopo mi disse che mi aspettava fuori, alla chiusura del locale. In macchina mi disse che voleva farmi una proposta. Mi disse che era un vedovo, padrone di una impresa, viveva solo e aveva bisogno di una donna che badasse alla casa, in pratica di una governante. Mi avrebbe pagato il doppio. Gli dissi che ci avrei pensato. Ragionando mi dissi che in fondo non cambiava nulla, anzi farmi usare da un lurido ciccione o da un uomo più bello e pulito era solo un guadagno e in più la paga era doppia. Accettai e fu un cambio fortunato. Robert, così si chiamava, è stato davvero l’uomo della mia vita e il mio unico amore. Mi portò nella sua casa, una bellissima villa, e mi rispettò sin dal primo momento. Non mi toccò sino a che non fui io a chiederlo. Sin dall’inizio mi aspettavo di trovarmelo infilato nel mio letto ma non successe. Mi trattava con gentilezza e rispetto. Tenevo la casa pulita e preparavo da mangiare ma non mi trattava come una domestica, tutt’altro; mi faceva sentire importante e indispensabile. Sentivo che mi desiderava ma pensavo che nel concedermi avrei rovinato la complicità che si era instaurata tra noi. Pian piano mi sono innamorata di lui. Passarono molti mesi e una sera, nel mio letto, ero nervosa e impaziente. D’impulso mi alzai e andai nella sua stanza. Mi fermai di fronte al suo letto. Rimanemmo a guardarci silenziosi. Mi tolsi la vestaglia e rimasi nuda e immobile. Alzò le coperte e mi sdraiai al suo fianco. Quella notte mi tenne solo abbracciata al suo fianco. Da allora ho cominciato a godere del sesso: la mia bocca, la mia vagina e il mio ano che erano serviti solo per far godere altri uomini con Robert sono diventati il mezzo del mio piacere. Dal primo ed unico orgasmo provocatomi dal reverendo ho dovuto attendere anni per provarne altri. Robert se ne andato in cielo lasciandomi ricca e in pace con me stessa.