Gianna non ce la faceva più, ausiliaria nel reparto di chirurgia d’ urgenza era abituata a lavorare, ma quel giorno era esausta.
Gianna, una bella signora di 45 anni,tonica, sempre allegra e disponibile, non si lamentava dei carichi di lavoro, ma quel giorno, forse complici le mestruazioni, era proprio stanca: era montata alle 6 del mattino ed era andata girando come una trottola senza fermarsi mai, neanche per un caffè o per una pipì, sempre in moto dal laboratorio alla farmacia, dal centro trasfusionale alla radiologia era stato un susseguirsi di uscite anche urgenti ed ora alle 13,45, non vedeva l’ora di smontare.
Sperava di tirare il fiato quando Michela, la caposala, la chiamò: bisognava portare in sala operatoria una ragazza che si era ricoverata per un’appendicite era una cosa rapida, sarebbe venuto con lei Raniero, un tirocinante del I’ anno del corso di laurea in infermieristica.
Gianna storse un po’ il muso, avrebbe preferito che ci andasse qualcun altro, stava per andare in bagno a pisciare, erano più di otto ore che non andava e cominciava a scapparle, ma era abituata ad eseguire, poi avrebbe perso non più di un quarto d’ora o venti minuti e, quindi andò.
Aiutata da Raniero trasbordò la paziente, una minuta ragazza poco più che ventenne, dal letto alla lettiga e, nello sforzo, sentì che la vescica stava quasi per cedere, strinse i muscoli del perineo e ricacciò lo stimolo, poi si avviò.
Il quartiere operatorio era quattro piani più in basso, per cui presero il montalettighe che iniziò a scendere; dopo pochi secondi, però, la cabina, che non era ancora scesa nemmeno di un piano, ebbe un sussulto e si fermò, che cazzo stava succedendo pensò Gianna, ripromette il pulsante del piano, ma l’ascensore non si mosse, Gianna cominciava ad innervosirsi, premette il pulsante di allarme e, dopo qualche secondo dall’interfono, una voce gracchiante chiese che succedeva, poi disse di avere qualche minuto di pazienza che avrebbero portato la cabina al piano con la manovra a mano; in effetti dopo circa cinque minuti la cabina si mosse, ma fu solo un’illusione, perché si arrestò quasi subito con un sobbalzo, la voce gracchiante di prima avvertì che un cavo era sfuggito dalla puleggia ed era necessario l’ intervento della squadra tecnica, che era già stata avvertita e che sarebbe arrivata in una mezzora e che stessero tranquilli, non c’era nessun pericolo.
Gianna ci rimase male, cazzo che situazione, la vescica cominciava a dare segni di insofferenza e le mestruazioni non la aiutavano, anzi, pensò di mollare qualche goccina, oltre all’ assorbente interno aveva un solido salva slip, certo non era un pannolone, ma qualcosa avrebbe assorbito, poi, sotto la casacca celeste della divisa regolamentare aveva indossato i pantaloni blu scuro di un’altra sua personale: qualche chiazza di umidità non si sarebbe vista ‘ e così fece, ebbe un minimo sollievo, ma la fatica per riprendere il controllo e non pisciarsi addosso del tutto fu grande, comunque forse avrebbe avuto qualche minuto di autonomia in più.
I lamenti della paziente la distolsero dal pensare alla propria vescica, la ragazza aveva dolore, e le scappava la pipì, con la scusa che in sala le avrebbero messo il catetere non l’avevano fatta urinare ed in più aveva la fleboclisi che scendeva a pisciarello e, poi la situazione la faceva paura.
Gianna provò a rincuorarla e le suggerì di lasciarsi andare (ha se avesse potuto farlo lei) tanto nella lettiga c’era la cerata e così avrebbe avuto meno dolore e così avvenne, la ragazza pisciò con un piccolo sibilo che per Gianna fu leggermente traumatico e si tranquillizzò.
Gianna cominciava a sentirsi male, se non ci fosse stato Raniero si sarebbe calati calzoni e mutande ed avrebbe pisciato per terra, ma si vergognava, passò una mano al cavallo, era umido, troppo umido per lasciare sfuggire qualche altra goccina e, poi, mica era sicura di potersi fermare ‘ troppo pericoloso, compresse la fica con la mano si strofinò e ne trasse un piccolo sollievo, si accorse che Raniero la osservava,ma se ne fregò, le scappava troppo.
Era quasi al limite dell’esplosione quando, dopo qualche sussulto ed un rumore di ferraglia, il montalettighe tornò al piano; Gianna abbandonò la lettiga a Raniero e corse verso lo spogliatoio del personale per andare in bagno e liberarsi, ma ‘ aveva fatto male i suoi conti: la coulisse, nel tentativo di slacciare la coulisse dei calzoni sbagliò a tirare il laccio e la annodò di più, stringendo le cosce ed il buco del culo in maniera spasmodica tentò di slacciarla, ma, proprio mentre ci era riuscita l’ urina prese ad uscire spontaneamente e Gianna si sedette pesantemente sulla tazza del cesso, mentre si pisciava addosso inondando mutande e calzoni.
Pisciò per oltre due minuti buoni, all’ inizio la vescica era tanto distesa che faceva fatica a contrarsi, con un flusso piccolo, ma costante, irrefrenabile, poi il getto si fece sempre più forte, fino infine a ridursi ad un sottile rivolo, Gianna si spremette per cacciare le ultime gocce e mollò una sonora scorreggia; Gianna si guardò tra le cosce aperte i calzoni erano fradici, si alzò e sfilò calzoni e mutande, oltre che di piscia erano imbevuti di sangue mestruale, uno schifo, a Gianna venne da piangere, ma aveva altro da fare che piangersi addosso, doveva pensare come andar via, uscire dal cesso nello spogliatoio in quelle condizioni ‘ impossibile, se fosse uscita seminuda rischiava di incontrare qualche collega maschio, così decise di chiedere aiuto.
Chiamò col cellulare Angela, la collega che era montata dopo di lei, le spiegò per sommi capi cosa le era successo e sopportò le sue risatine, certo se per lei non fosse stato tragico sarebbe stato comico, le diede la chiave del suo armadietto e si fece portare un cambio di biancheria intima che teneva di riserva, poi, messesi un paio di mutandine e raccolti gli indumenti sporchi in una busta uscì per andare a rivestirsi e tornare a casa, a casa ‘ , cosa avrebbe raccontato, le figlie l’ avrebbero coglionata per una settimana, ma Alberto, suo marito si sarebbe eccitato come un toro, gli piaceva vederla pisciare ed ancor più quando era disperata e non poteva farla avrebbe voluto sempre che se la facesse sotto, ma lei non l’ aveva mai fatto, ora ‘, le sarebbe saltato addosso e l’avrebbe scopata alla grande ‘ ; pregustando una bellissima scopata Gianna si avviò verso casa si era fatta addosso, ma forse ne era valsa la pena.