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Marta da sempre è attratta dagli uomini di colore, dai loro corpi vigorosi, dalla pelle scura, dalla dotazione che immagina o che intuisce dalle pieghe tirate sulla stoffa dei pantaloni, da quell’esotismo ferale che sente potrebbero scatenare su di lei.

Ma tutto ciò erano pensieri che rimanevano impalpabili nella sua mente, quasi inconsci e sicuramente da inibire…

Così è vissuta Marta, concedendosi poco di ciò che è proibito, qualche scappatella quando era fidanzata poi subito rovinata dai sensi di colpa e dai rimorsi.

Poi il matrimonio, poi la prole, poi la vita che scorre placida.

Finchè all’Agosto di 2 anni fa in cui rimane a secco lungo una strada. Gente non ne passava, tutti in ferie, tutti altrove. Era rimasta bloccata là e il distributore era parecchio lontano, impensabile andarci a piedi, con quel caldo, con un vestitino leggero a proteggerla dal solleone e le infradito.

Per un pezzo attese che passasse qualcuno che potessa darle un passaggio e finalmente quando vide quel pullman pensava fosse un miraggio: autobus da quelle parti non ne passavano mai, mica era una zona turistica; ed invece era vero, si mise accanto all’auto e fece l’autostop. Il mezzo la sorpassò arrestandosi poco più avanti e lei raggiunse zompettando lo sportello anteriore aperto e lì rimase attonita: l’autobus era pieno di nordafricani!

Lì per lì non sapeva che fare, fidarsi o meno, certo chissà quando sarebbe passato qualcun’altro di là e poi non voleva fare la figura della razzista intollerante a rifiutare il loro aiuto quand’era palese che ne aveva bisogno.

Spiegò loro che era rimasta senza carburante e chiese se potevano accompagnarla fino al più vicino distributore.

Il tipo accanto al guidatore fu molto gentile e le disse che avrebbero accompagnato sicuramente una così bella donna e lei abbagliata da quel sorriso candido sulla pelle scura del suo viso salì a bordo.

Il tizio parlò all’autista in una lingua che non capì, assomigliava al francese, ma con suoni  e parole assolutamente inedite per lei. Risero, risero tutti, anche quelli che stavano dietro e l’autobus partì.

In quella risata si rese conto che qualcosa non andava, che aveva fatto una decisione azzardata.

Lui si presentò come Abdul e le disse che l’autista suo amico si chiamava Bizzy.

Le diede la mano e poi non la lasciò più: le disse di accomodarsi tirandola verso il centro del pulman. Le tende erano tutte tirate ed era tutto in penombra ma si vedeva bene che l’autobus era pieno: oltre a lei c’erano 40 nordafricani e negli occhi di tutti c’era una bramosia che la turbò.

Tutti parlottavano tra loro ed Marta non capiva nulla di ciò che si dicevano.

Abdul le disse che era proprio una bella donna e che tutti si stavano congratulando per la fortuna d’imbattersi un una donna come lei.

Con la coda dell’occhio guardava che percorso stava facendo l’autobus e quando vide che girò verso la zona industriale le venne il panico.

Comiciò a chiedere dove stavano andando, cosa stava succedendo, il timore ben comprensibile nella voce.

Abdul si mise a ridere ad alta voce e gli altri lo imitarono, quindi il tizio che aveva alla sua destra, un uomo massiccio con una canotta e un paio di jeans stinti si calò le braghe e le mostrò il suo membro dicendole: “Bella signora, ne hai mai visti di cazzi così in vita tua?”

Fu in quel momento che qualcosa in lei cambiò e rispose senza rendersene conto “Madonna che nerchia”. Il sentirsi fare quell’osservazione poi la scosse ulteriormente.

Alla paura subentrò un certo languore, come una sorta di desiderio inesprimibile e di premonizione.

Abdul probabilmente riuscì a cogliere questi pensieri e rispose “Oggi ne vedrai tante di nerchie così!” e allungò la sua mano sul suo viso accarezzandole una guancia mentre le sorrideva e la guardava con quegli occhi così… occhi da assassino, capaci di annichilire la sua volontà. Ha un ricordo netto di quegli istanti, tutto accadde rapidamente ma vide come a rallentatore le sue mani che le fanno scivolare le bretelline sottili del vestito sulle spalle con una carezza, il vestito che cade leggero, lei che tenta di trattenerlo ma più per darsi un tono che per altro. Il vestito che le sfugge ai piedi trattenuto dalla mano di uno dietro di lei e infine il rendersi conto di essere quasi nuda, con un tanga striminzito e delle ridicole infradito in mezzo a 40 nordafricani con gli occhi brillanti di lussuria.

Quindi cominciarono a toccarla, sentiva le loro mani ovunque, carezze che si facevano sempre più impertinenti e audaci. Marta cercava di sottrarsi ad esse ma non aveva scampo, circondata com’era. Le suo proteste cadevano nel vuoto, alle sue stesse orecchie le sentiva false e quando le venne praticamente strappato il tanga e le lucide labbra della sua fica vennero alla luce fu evidente che non desiderava altro di essere presa.

Bizzy alla guida disse che erano arrivati e di scendere, quindi Abdul la prese per i capelli e la tirò verso l’uscita dicendole all’orecchio “Adesso ti faremo divertire noi, troia bianca”.

Scese dall’autobus nuda e scalza, erano in una specie di parcheggio sterrato tra le fabbriche, tutte chiuse per le vacanze estive.

Sotto i piedi la nuda terra, attorno a lei 40 maschi che si toccavano il cazzo, che lo tiravano fuori esibendo erezioni maestose. Sentiva sullo stomaco una morsa e la fica si scioglieva dall’eccitazione. Osservava ogni cazzo che puntava verso di lei con una bramosia mai provata prima in vita sua. Oramai la paura era completamente evaporata lasciandole solo desiderio.

Abdul la prese di nuovo per i capelli e la tirò giù in ginocchio, quindi le mise davanti il suo cazzo.

Lo prese in bocca senza neanche pensarci e da quel momento fu come se si fosse rotta una diga, tutti le furono attorno con i loro superbi cazzi e lei li masturbava con le mani mentre la sua bocca passava da uno all’altro.

Era tanto presa che quasi non faceva caso agli epiteti ingiuriosi che le rivolgevano. La chiamavano lurida cagna, vacca da monta, troia, puttana ed in tanti altri modi che non riusciva ad afferrare e questo era musica per le sue orecchie. Avrebbe voluto urlare con tutto il fiato che aveva in corpo che era tutto vero, che era solo una troia, la loro troia e che potevano farle ciò che volevano ma aveva la bocca occupata da un cazzo, poi da un’altro e un’altro ancora… finché non la alzarono da terra e mettendola a pecora cominciarono a scoparla da dietro. Le davano colpi vigorosi, si sentiva squassare tutta dal piacere che le davano mentre le martellavano la cervice con i loro cazzi neri. Si davano il cambio mantendo il ritmo sempre alto e quando sentivano che stavano per venire lo facevano addosso a lei, senza il minimo segno di soggezione. Era la preda di un branco e come tale la trattavano, tesi a soddisfare i loro desideri che per molti di loro da troppo tempo erano rimasti insoddisfatti.

Poi fu di nuovo Abdul che disse a tutti che una troia così meritava di essere sfondata completamente. Lei capì in un attmo cosa questo implicasse e fece per sottrarsi, ma troppe mani la trattenevano, troppo era la loro volontà perché potesse divincolarsi e così dopo averle sputato sul culo puntò la sua verga sulla rosellina e spinse prepotentemente facendola urlare del dolore fino a rimanere senza fiato. Urlò ancora “Cazzoooooooo, fai piano stronzoooo”, ma Abdul non si fece affatto impietosire, sentiva l’energia del branco che lo montava e dopo il rinculo la trafisse di nuovo ancora più profondamente.

La scopò furiosamente finché urlando “Ti riempio il culo troia” le venne dentro.

Dopo di lui anche gli altri persero l’inibizione e cominciarono a usare indifferentemente il culo e la figa e a permettersi di venirle dentro e lei godeva da impazzire a sentirsi riempire in quel modo, a venire letteralmente usata. Poi ci furono attimi di inaudito piacere quando uno si sdraiò sotto di lei, la fece sedere sul suo cazzo riempiendole la figa ed un suo compare da dietro gliela riempì oltre ogni possibilità usando il medesimo buco. Il sentirisi così piena dava sensazioni mai provate prima, un doloroso piacere e poi c’era quel pensiero, quello di essere stata slabbrata definitivamente, quello che la figa da quel momento in poi non sarebbe più stata come prima e che oramai il cazzetto di suo marito le avrebbe fatto solo il solletico.

E furono in diversi a darle il bis di quella sensazione…

Osarono anche riempirle l’intestino con due cazzi, come se uno solo non bastasse a farla sentire sfondata… cazzi più grossi del suo polso!

Era sdraiata di schiena sopra ad un omone enorme che la tratteneva con una forza inemovibile, le gambe aperte verso il cielo, la fica spalancata, ma ciò che volevano era il suo culo. Prima lo infilò l’uomo sotto di lei e già questo bastava a saziare il suo appetito di sesso anale, ma no, no, un’altro maciste nero comiciò a forzare il suo ano. Lei cominciò a dibattersi, a strillare a più non posso ma furono inesorabili e quando entrarono entrambi si sentì definitivamente sfondata. Quel solo pensiero bastò a farle avere un orgasmo micidiale.

L’orgia durò a lungo, le ombre si allungavano mentre lei passava da un’orgasmo al successivo, mentre fiotti di sperma investivano la faccia, il seno, ogni parte del suo corpo.

Le loro odorose secrezioni si mischiavano al suo sudore e alla polvere e anche il sentirsi sporca dava la deliziosa sensazione di essere solo una bestia destinata a soddisfarli, che la sua vita aveva raggiunto il suo climax là, nuda, sulla nuda terra, ricoperta di sborra mentre 40 neri attorno a lei sorridevano appagati.

Fu così che Marta quel giorno fece il pieno.

 

Dopo rientrarono nel pullman e mentre la accompagnavano al distributore e lei si ripuliva come poteva con dei fazzolettini presero a insultarla dandole della cagna sporca e insultando pure il marito reso oramai indiscutibilmente cornuto.

Abdul le chiese il numero di cellulare prima di aprire la porta.

“Per un caffè”, disse, ma pareva che se non gliel’avesse dato non l’avrebbe fatta scendere. Lei stette al gioco e glielo diede, sperando in cuor suo di rivederlo presto ed in compagnia.

A metà del mese successivo Abdul la contattatò una mattina e le chiese di passare da lui per un caffé nel pomeriggio. Era passato oltre un mese dall’episodio del pieno e sentirlo la inquietò un po’. Sapeva che quell’offerta nascondeva una trappola, ma in fondo era proprio ciò che voleva: venire di nuovo intrappolata dalle loro mani e scopata dai loro cazzi.

Faceva ancora caldo per cui indossò un top che mostrava generosamente il seno, una gonna tipo pareo che velava le gambe, delle infradito con un po’ di tacco e come intimo solo un perizoma bianco che s’intravedeva tra le trasparenze delle gonna.

Fu accolta da Abdul in compagnia di molti suoi amici, erano in 35 in quell’occasione e ne riconobbe ben pochi di quelli che l’avevano scopata un mese prima.

Poco dopo che era là Abdul la prese da parte e le diede delle autoreggenti. Andò in una camera ad indossarle e quando fece ritorno in sala trovò ad attenderla tutti quei bei neri nudi disposti a ferro di cavallo. Molti sfoggiavano il loro cazzo già in piena erezione. Esclamò: “Cazzo, di nuovo?!? Lo sapevo che finiva così” e di risposta arrivò un “Muoviti cagna”. 

In questo modo le venne richiesto di succhiarli tutti, a turno, quindi lei si mise in ginocchio davanti il primo e uno dopo l’altro li sbocchinò, apprezzandone la durezza, la dimensione ed il sapore.

Loro non erano lì solo per scoparla in bocca, ciò nonostante è proprio quello che facevano: la tenevano per i capelli e gli spingevano le nerchie fin quanto riuscivano, senza farsi impressionare dai suoi colpi di tosse o dai conati. Neppure con le parole erano gentili, anzi, la insultavano pesantemente ed altrettanto pesantemente insultavano il di lei marito.

A turno si fecero succhiare il cazzo tutti, uno dopo l’altro e una volta terminato il giro cominciarono a fare la festa anche agli altri suoi buchi scopandola indistintamente nella figa e nel culo.

Spingevano come cavalli e lei nei pochi momenti in cui aveva la bocca libera li supplicava “Piano, vi prego, fate piano”, ma con questo otteneva solo di essere derisa e chiavata ancora più rudemente.

Ci volle poco perché quel trattamento non la mandasse via di testa, aveva le lacrime per il dolore, ma allo stesso tempo provava un enorme piacere, di testa per quello che le facevano nonostante le sue preghiere, ma anche e soprattutto fisico, Sentire quei cazzi che la colmavano così bene era impagabile e non desiderava affatto che loro si comportassero diversamente da come facevano… anzi!

“Sono diventata una troia” concluse Marta: si rese conto di cosa volesse dire essere una troia e di quanto fosse piacevole esserlo, provava il desiderio di essere sempre piena e di farsi fare qualunque cosa e non esitò più a dirlo ad alta voce. Gli diceva di usarla a loro piacimento e che era la loro cagna bianca e avrebbe fatto tutto ciò che le avessero ordinato!

La fecero impalare su di uno che era sdraiato sul tappeto e poi un secondo senza tante cerimonie le riempì il buco rimanente. Buchi, non ha neppure più senso fare distinzione tra il culo e la figa visto come veniva usata.

Tra un ansimo e l’altro chiedeva altri cazzi per le mani, voleva essere piena di cazzi dappertutto, adorava sentirsi circondatada tutte quelle nerchie nere.

Nonostante la penetrassero con viva forza chiedeva “Ancora, ancora, scopatemi senza limiti, rompetemi tutta”.

Sotto la libidine del piacere s’insultava lei stessa dicendo di essere la loro lurida troia, lo loro cagna, una puttana, una zoccola e li spronava a sborrarle dentro dicendo “dai voglio sentire lo sperma nei miei buchi, dai, dai” incitandoli così a darle colpi più forti!

I loro cazzi erano tutti meravigliosi, grossi e lunghi, alcuni diritti e levigati come spade, altri curvi e pieni di vene. Tutti ugualmente duri e tutti sovrastavano dei coglioni generosamente pieni di sborra.

Suo marito ha un cazzo di 17 cm, non era minimamente paragonabile a quegli uccelli del paradiso. Quando viene arrivano due schizzetti e passa tutto, quando sborrano loro invece pare che sborrino cavalli! 

Ancora non avevano cominciato a riversare il loro carico su di lei, ma già poteva immaginare quanta sborra ci sarebbe stata.

Quello che non immaginava era come intendevano usarla: difatti finora nessuno le venne addosso o dentro, occupata com’era non s’era resa conto che quando stavano per eiaculare si toglievano e si svuotavano in un grosso bicchiere da cocktail, salvo poi tornare per farseli pulire con la sua lingua.

Per oltre due ore continuò quel assalto e sentiva il culo bruciare davvero tanto.

Loro non usano lubrificanti, se non la loro saliva; prima di incularla le sputavano nel buco e poi dentro, fino in fondo, il più delle volte insultandola.

“Troia, vacca schifosa, lurida puttana di merda, stupida cagna” non c’era epiteto che non le rivolgessero e che non rivolgessero al cornuto.

Sentire insultato anche il marito le dava una sensazione contrastante, da un lato le spiaceva ma dall’altro le dava scariche di emozione.

Quando il bicchiere fu pieno glielo fecero vedere e le dissero che doveva bere tutta la loro sborra: “Sei una bocchinara di merda e devi berla tutta, sennò te la cacciamo in gola a forza”

“No, vi prego, non posso bere tutto quello sperma – rispose – Preferisco essere inculata di nuovo da tutti piuttosto”

Loro risero e uno le rispose che l’avrebbero comunque inculata di nuovo a turno.

“Stronzi bastardi”

“Bevi porca troia, bevila tutta che ti piace la nostra vitamina” quindi le forzarono il bicchiere verso al bocca e lei cominciò a deglutire.

Era tanta, proprio tanta, quasi una lattina di sperma da ingurgitare, dovette sforzarsi e nonostante le venisse quasi da vomitare per l’odore la bevve tutta.

Loro la incitaro dicendo “Bevi troia, ti piace lo sperma dei neri, eh, bevi tutto cagna, dai, porca!”

Una volta vuotato il calice si sentì tremendamente sporca, davvero una lurida troia e rispose “Siete dei porci bastardi mi avete fatto bere lo sperma…  ma mi è piaciuto, sono una vera zoccola!”.

A quel punto lei avrebbe voluto smettere, ma non ce la faceva ad alzarsi per il dolori allo stomaco e ai buchi, in più loro la trattenevano, la spintonavano.

“Ehi deficiente, guarda che con te non abbiamo ancora finito”

“Si, vecchia baldracca, siamo ancora all’inizio”

Marta non riusciva a crederci, quelli sembravano davvero intenzionati a ricominciare tutto daccappo.

In realtà se la incularono di nuovo solo in quindici… Fa strano associare la parola “solo” a 15 (quindici) inculate, ma la verità è che temeva che volessero passare di nuovo tutti attraverso il suo martoriato orifizio, le bruciava come l’inferno e ogni tanto le usciva un prolasso.

Ma quel trattamento la rendeva folle: nonostante il dolore li incitava a sfondarle il culo.

“Fatemelo sentire fino in gola” gridava e quanto sentiva che stavano per venire, nonostante l’indigestione di sborra ne chiedeva altra: “Dai venite in bocca, lavatemi con lo sperma”

Quando l’ultimo le venne nel culo e nessun’altro prese il suo posto lei tirò un sospiro di sollievo, non immaginava ci fosse un’ulteriore sorpresa.

Alcuni di lor infatti la presero e la immobilizzarono a terra, quindi Abdul comparve con una mazza da baseball in mano.

“Cosa vuoi farci con quella” gli disse piena di paura.

“Te la spacchiamo definitivamente, brutta troia, così non riuscirai più a godere con quel cornuto di tuo marito e per avere un orgasmo dovrai venire da noi”

“No, no, vi prego, verrò lo stesso” gridò, ma non servì a nulla.

Le entrarono nella figa e la sfondarono tra le sue grida di dolore, quando tolsero la mazza la figa era gonfia e dolorante e completamente slabbrata…

Quindi puntarono al culo e dopo un bel po’ di sputi e con tanta tanta forza riuscirono ad entrare pure lì.

Marta a quel punto aveva rinunciato a protestare, pianse e basta… ma anche per il piacere perché oramai il culo era definitivamente sfondato.

Dopo quella gang le fecero fare una doccia perché puzzava come una stalla e mentre si rivestiva Abdul le disse:

“Ci sentiamo tra due settimane, ti chiamo io” e lei pensò che non vedeva l’ora di essere ancora tutta per loro.

Autore Pubblicato il: 2 Marzo 2012Categorie: Orgia0 Commenti

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