Sera d’inverno, di quelle che piove un po’, che senti le gocce cadere e fare il classico rumore sul tetto della mansarda. Fuori alla finestra c’è la buia campagna, con la pioggerella che cade, un po’ di bruma, i lampioni che proiettano la loro luce giallastra.
Nella sala, scorrono le solite immagini dei film della tv, le luci spente, solo un’abat jour nell’angolo opposto della stanza. Sono sul divano in boxer e maglietta, nella mano un liquore, a godermi sprofondato nel velluto rosso il rumore della pioggia che cade, con la tv dal volume bassissimo, gli occhi semi chiusi, immerso nei pensieri.
La pioggia mi evoca pensieri. Pensieri malinconici, di quando l’abbiamo fatto, d’estate nel prato, nudi e bagnati dalla pioggia che cadeva fitta. Di quando eravamo in montagna, e fuori pioveva, e noi eravamo a letto abbracciati e nudi a guardare dalla finestra il temporale. Pensieri di sesso, di malinconia, di erotismo.
Mentre sorseggio il mio liquore, mi passo la mano sul boxer, gli occhi chiusi, la testa all’indietro. Lui si sveglia. Lo tocco attraverso la stoffa, che si bagna un po’. Lo calo un po’, me lo tiro fuori e me lo tocco dolcemente, lo scappello, lo copro ancora. Infinite volte. Dolcemente, lentamente. Finchè non è tutto bagnato, dei miei liquidi pre-spermatici. La mano scivola, lenta e inesorabile, finchè il calore non mi assale, e caldi fiotti bianchi sgorgano dalla cappella congestionata. Scivola lungo la mano, sui peli, lungo tutta l’asta, sulla palle. Resto lì immobile, sprofondato nel mio divano di velluto rosso. L’ultimo sorso di liquore, l’ultima siga, mi alzo, mi assaggio la mano, e vado a letto, così, nudo e pieno del mio piacere. Domani mi laverò, chissenefrega. Ora mi godo la pioggia.