…rimuovere gli ultimi residui dalla macchinetta del caffè sotto l’acqua corrente poi riporla ad asciugare capovolta sul lavandino. Detergersi le belle mani con uno strofinaccio, uno sguardo allo smalto, rosso, sì, impeccabile come sempre.
I gesti abituali, consueti, elencati dal confortevole schema della routine.
Poi subito in bagno, è già tardi, le lancette dell’orologio stanno per posizionarsi divaricate sulle ore 10:00.
Ruotare il miscelatore fino ad ottenere la temperatura desiderata, così è troppo fredda, così troppo calda e così, sì, così è decisamente perfetta.
La beatitudine della doccia, spettacolo meraviglioso, ma chi è che l’ha inventato? Lasciarsi piovere addosso e scottarsi le spalle, vestita di solo vapore, afferrare il flacone e schizzarsi di bianco la pelle al profumo dei fiori, le mani, le mani non si muovono, piuttosto si lasciano guidare dalle curve piene del corpo, mentre la bocca si apre a intonare quella dannata vecchia canzone il cui ritmo di cuore dà il tempo a ogni gesto. Afferrarsi le tette, velate dal bagnoschiuma, massaggiarle, strizzarle, toccarsi la pancia, toccarsi la schiena, esplorare ogni cosa, rielencare sé stessa e i tanti segreti del corpo, la linea delle gambe, le curve dei piedi, la forma soda delle natiche che oscillano a scuotere un ballo di cuore. Due colpi d’anca a destra, due a sinistra prima di afferrarle con un paio di schiaffi, aprirle, scivolarci in mezzo con una mano mentre l’altra si annida fra le cosce, pulire ogni cosa per il solo piacere di tornare a sporcarsi, con la vita, ovviamente.
Ma tutti i piaceri, si sa, hanno sempre una fine, è tempo di chiudere l’acqua ed uscire, con gli occhi chiusi a cercare l’accappatoio bianco che è sempre lì, al solito posto, farsi abbracciare dalla spugna morbida e stringersela addosso, con le mani, perché il caro accappatoio è sprovvisto di cintura, chissà che fine avrà fatto.
Un altro asciugamani dello stesso colore lo avvolge intorno ai capelli a formare una sorta di turbante, mentre il canto diviene un semplice mugugno, ultime note e ancora qualche accenno di danza, due colpi d’anca a destra e due a sinistra. Sorriso d’intesa con quella donna lì davanti, riflessa nello specchio, guarda che labbra morbide che ha, le gote arrossate, il naso pronunciato, l’istinto naturale, di certo vanitoso, di una donna che sa di essere bella e non ha nessun motivo per nasconderlo. Ma il tempo corre, meglio uscire, le pantofole ai piedi e poi di nuovo in cucina, un altro sguardo alle lancette, ci siamo quasi, giusto il tempo di spegnere la musica nella testa e accendere un’altra sigaretta.
Non riesce a fumarla tutta che il citofono suona, prendere la cornetta “Sì, secondo piano” soffocare la sigaretta sotto al lavandino e andare ad aprire la porta, col turbante in testa e le braccia conserte a stringere un accappatoio senza cintura.
Il suono dei passi sulle scale ed eccolo che appare “Buongiorno” allungando una mano, stando attenta a non mostrare niente di inopportuno.
«Buongiorno» risponde un ragazzo con la polo e i pantaloni blu, almeno una decina d’anni meno di lei, che la guarda e nella sua mente elenca in un istante parole e apprezzamenti che se solo fosse libero le direbbe con assoluta tranquillità.
“Prego, la caldaia è da questa parte” dice lei lasciandoselo sfilare accanto, il profumo di bagnoschiuma incontra quello della giovane pelle sudata, come animali che fanno conoscenza molto prima di incontrarsi.
Chiudere la porta e ritrovarsi in salotto, uno di fronte all’altra, immersi in una bolla di inevitabile imbarazzo, quale miglior modo per romperla di un “Prima di iniziare, lo vuole un caffè?” gentile e amorevole signora, con le labbra schiuse in un dolce sorriso.
Lui ovviamente accetta e si accomoda seduto, libero di guardarla mentre va in cucina, libero di pensare “Che gran culo, la signora!” d’altronde, si sa che i pensieri, loro sì, godono di assoluta libertà.
Qualche istante d’attesa passato a guardarsi attorno constatando che, sì, quella è proprio una bella casa; le foto appese alla parete di quella stessa donna con un uomo che sarà suo marito e due bambini, tutti felici e sorridenti, sì, davvero una bella famiglia, mentre il tintinnio di stoviglie risuona dalla cucina seguito dal borbottio roco della caffettiera. Eccola che riappare, sembra un’odalisca, con quel turbante, fasciata di bianco, con un piccolo vassoio rotondo sul palmo della mano.
Un’odalisca evidentemente sbadata perché mentre cammina l’accappatoio svolazzante si apre, per una frazione di secondo, permettendo al ragazzo di vedere molto più del dovuto. Il solco fra i seni, il ventre delicato e poi più giù, il miraggio scuro dei peli pubici che lei prova subito a ricoprire sciogliendosi in un timido sorriso.
“Quanto zucchero?” gli chiede poi, mentre lui appare ora un tantino spaesato «Cosa?» balbetta a quella donna distratta “Lo zucchero, quanto ne vuole?” ribadisce lei in piedi proprio accanto a lui.
«Uno, grazie» lei si piega appena, riempie un cucchiaino di dolcezza e lo lascia cadere nella tazzina, iniziando poi a mescolare il bianco con il nero.
Distratta, incantevole e forse anche un po’ maldestra perché proprio mentre si avvicina ulteriormente a quel ragazzo, nel preciso istante in cui gli porge la tazzina, urta qualcosa finendo col rovesciargli il caffè sulla tuta blu, proprio fra le gambe.
Ma tu guarda, che giornata è mai questa. Lui si alza di colpo e fa un piccolo verso, forse si è bruciato ma per fortuna c’è lei che ora si mette a correre per andare a prendere subito uno strofinaccio.
Neanche ci fosse un incendio in corso lei torna in salotto presa dal panico, armata di strofinaccio, continua a ripetere “scusi” e non si cura più di nascondere le proprie grazie, la veste bianca di spugna si apre completamente mentre si appresta a soccorrere quel povero ragazzo e per farlo non trova niente di meglio che accovacciarsi, proprio fra le sue gambe aperte.
Il giovane tecnico della caldaia forse si è bruciato o magari si è semplicemente macchiato i pantaloni, non lo sa, neanche ci pensa, perché ora è totalmente rapito da quella donna davanti a lui, quella bellissima donna con l’accappatoio completamente aperto.
I capezzoli rosa, turgidi e increspati, forse dalla paura, sembrano piccole ciliegie posate su un paio di morbide tette che è impossibile non guardare, come impossibile è non lasciar cadere lo sguardo fra quelle cosce, impudicamente aperte, a svelare la sua intimità.
Ma la cosa davvero difficile da ignorare è quella mano, che continua a strofinargli lo straccio sulla patta, cos’è? Uno scherzo per caso? Roba che di solito si vede solo nei film porno e ora a lui sta succedendo, sta succedendo davvero.
Vorrebbe parlare, dirle qualcosa ma si sente improvvisamente paralizzato da quella scena tanto assurda quanto irresistibile, altro che ustione, c’è ben altro che sta prendendo fuoco fra le sue gambe.
Ora che lei, con fare premuroso, fa per aprirgli la patta dei pantaloni, per pulirlo, verificare che il caffè non sia filtrato attraverso la stoffa e magari sia andato a bruciargli le parti più intime.
«Signora.. io..» prova a bofonchiare lui ma la padrona di casa procede spedita, vuole assolutamente rimediare al piccolo incidente.
Un incidente che ora, sotto quei boxer, ha davvero poco di piccolo, il tessuto appare ovviamente gonfio, qualche macchia c’è ma vai a capire ora, che cosa può averla causata.
La scena più forte però arriva adesso, quando lei si avvicina ancora un po’ e chiude le belle labbra iniziando a soffiare sulle mutande deformate, sembrano, come dire, piccoli, deliziosi, baci d’aria, probabilmente lo fa per raffreddare ma, inevitabilmente, ottiene l’effetto contrario.
Che situazione, povero ragazzo, che incredibile visione, quella sconosciuta che gli soffia fra le gambe incurante dell’accappatoio aperto sul proprio corpo nudo, forse è davvero uno scherzo, forse è un sogno, lei sembra essere ipnotizzata, quasi come fosse sola, come fosse tutta una cosa fra lei e quel rigonfiamento di maschia irruenza.
C’è per caso la possibilità che quella minuscola goccia di caffè sia finita anche sulla pelle nuda del giovanotto? Sembra francamente impossibile ma lei, ha già infilato le dita nell’elastico delle mutande e ora, lentamente, le abbassa, continuando a soffiare su ciò che le rimbalza davanti agli occhi.
Il giovane pene, già così turgido, a pochi, pochissimi centimetri dalle labbra socchiuse che continuano a soffiare.
Il silenzio, fra respiri che si rincorrono, l’aria dei baci a distanza e le poche frasi sconnesse pronunciate da lei.
“Mi scusi.. spero non si sia.. fatto male.. non si preoccupi.. ci penso io.. non si preoccupi..”.
Il fatto è che, tra una parola e l’altra, proprio in corrispondenza di quei puntini sospensivi, lei non riesce a non farlo, sembra più forte di lei l’istinto meccanico che la porta a tirare fuori un po’ di lingua, senza toccarlo ovviamente, è una specie di tic, un gesto automatico, il corpo che si muove senza chiedere permesso alla mente. Poi parla ancora, dice parole che nessuno ha più voglia di comprendere, soffia delicatamente e di nuovo tira fuori la lingua, un po’ di più, proprio come un tic, di quelle cose che fai senza neanche accorgertene, sempre più vicino finché, ecco, adesso lo sfiora, appena un po’, in un contatto che fino a pochi minuti prima sarebbe stato assolutamente inimmaginabile, si sono conosciuti solo poco fa, stringendosi la mano, e ora, ora, la lingua della padrona di casa inizia ad accarezzare il cazzo duro del tecnico della caldaia.
Il modo in cui lo fa, altro che film porno, lo sfiora con la punta, lasciandoci scie lucide di saliva, lo assaggia, forse timorosa, forse incredula anche lei di come la sua voglia si sia manifestata all’improvviso e abbia iniziato a infiammarle la pancia di desiderio. L’istinto naturale di una donna, calda e vogliosa, lo stesso istinto che la porta di nuovo a chiudere le labbra per dare altri baci, ora veri, autentici, senza più aria e distanza, baci che si schiudono proprio sulla cappella arrossata del giovanotto e con incredibile naturalezza si lasciano penetrare da quel grosso cazzo, iniziando infine a succhiarlo golosamente.
Ora la donna sembra davvero posseduta, quel fuoco esploso nella pancia pare sia entrato in circolo a sconvolgerle pensieri e movimenti, ora non c’è altra cosa che conti di più di quella meravigliosa coreografia di piccoli gesti che la gente chiama semplicemente “pompino”, lo fa con così tanta passione che è impossibile non capire quanto il piacere sia reciproco, il ragazzo si sente infinitamente braccato e lei è libera, finalmente, di svelarsi infinitamente porca.
Il vizio del piacere, proprio come tutti gli altri vizi, impossibile resistergli, una dipendenza feroce che entra negli automatismi del corpo finendo col dominarli. Come quei fumatori che sbuffano fumo senza neanche essersi accorti di aver acceso un’altra sigaretta così è per lei, che non ricorda neanche più quando questa scena è diventata improvvisamente qualcos’altro.
Ma come pensarci ora? Perché spegnere una fiamma che arde così forte? Perché non godersela fino in fondo, una boccata dopo l’altra. Magari è l’ultima, giuro, l’ultima e poi smetto.
Eccola, la donna schiava di sé stessa, ecco che muove il petto e ansima di piacere, ecco che le sue mani raggiungono l’accappatoio e lo aprono del tutto per poi sfilarlo via e lasciarla ancora più bella e irresistibile, accovacciata fra le gambe di uno sconosciuto, con solo le pantofole e un turbante in testa, mentre la sua bocca non la smette più di succhiare.
Le sue mani, con quelle lunghe unghie rosse, che afferrano i pantaloni del ragazzo per liberarlo da quell’inutile ostacolo alle sue voglie e lui, che non ha davvero voce in capitolo, la lascia fare ovviamente, si solleva appena, glieli lascia sfilare, insieme alle mutande, poi allarga le gambe, ormai mezzo nudo, e le lascia fare quello che vuole.
E quello che vuole è prendersi tutto, usare la lingua per leccarlo, la lingua che ora ha ben poco di timido ma ancora così tanto di dolce mentre scivola lungo l’asta e va ad inumidirgli le palle. Il tecnico della caldaia gode di ogni singola cosa, prova a fare un azzardo e le mette una mano in testa, come a volerle dettare il ritmo, così facendo il turbante si scioglie e la cascata di capelli umidi che le cade sulle spalle le dà, improvvisamente, un’aria più selvaggia.
Sarà forse per questo che ora lo guarda, dritto negli occhi, un solo istante per annunciare il prossimo passo della sua danza del piacere, ora che, dopo un’ultima leccata golosa, si alza in piedi e va a poggiarsi sul tavolo, solleva una gamba, spalancandosi, offrendosi e accarezzandosi le cosce lo invita a darle la sua parte, mio caro giovanotto, la prego, mi dica, non è che dopo il caffè le andrebbe un po’ di fica?
Chissà come si chiama quel ragazzo fortunato, chissà chi è davvero e come è finito a fare quel lavoro dalle imprevedibili possibilità, quella ad esempio di alzarsi in piedi, col cazzo dritto a svettare fra le gambe, in casa di gente che neanche conosce, sotto l’occhio vigile di un uomo che in quel salotto ci passa le sue domeniche pomeriggio, due maschi a scambiarsi la vita, uno immobile, impresso sulla carta fotografica e l’altro libero di muoversi, accovacciarsi davanti a lei, quasi a replicare l’immagine precedente, ritrovarsi davanti agli occhi il sesso pulsante di quella strana signora, fresca di doccia e bollente di voglia, avvicinarsi, sentirne l’odore, aprire la bocca e iniziare a divorarla.
Disperata ora sembra la donna, con ancora quelle pantofole ai piedi, mentre si lascia leccare dal tecnico della caldaia, persa in una meravigliosa dannazione, necessaria come la fame, come i vizi che si confondono coi desideri, leccami, succhiami, mangiami ancora, non so chi tu sia ma ora sono tua, appartengo alla tua lingua, lo voglio, ne ho bisogno.
Il ragazzo si bagna la faccia, sguazza fra quelle cosce spalancate, che buon sapore che ha, che labbra rosse che ha, che pelle morbida che ha, dio, il piacere libero e animale di dare e ricevere, prepararsi all’inevitabile, imminente, scopata furiosa che arriva proprio ora, quando lei, quasi implorante, passa in un lampo dal lei al tu “Scopami, ti prego.. scopami!”.
Esiste forse un uomo che riuscirebbe a tirarsi indietro di fronte a una donna come quella? C’è qualcuno che davvero resisterebbe alla voglia di staccarsi da quella fica colante, alzarsi in piedi, prendersi il cazzo in mano e piantarglielo dentro, sentendosi sciogliere, fondendosi l’uno dentro all’altra.
Chissà chi è quel giovanotto, chissà se ha una donna o una famiglia, ora il resto non conta, il mondo là fuori pare essersi spento di fronte a quel meraviglioso spettacolo di passione carnale.
I gesti si fanno frenetici, impacciati eppure assolutamente giusti, è una beatitudine disordinata, chissà chi l’ha inventata, chissà quale istinto, ora, lo porta a scivolarci dentro, poco alla volta, godendo l’uno dell’altra, liberi di essere solo e soltanto animali in accoppiamento, sudati e rabbiosi, sconosciuti eppure incredibilmente intimi, vicini, occhi negli occhi, un respiro contro l’altro, meravigliosamente e indecentemente incastrati, pochi minuti dopo essersi stretti la mano.
Il resto è una macchina sublime, di corpi in movimento e versi sconnessi, privi di qualsiasi lucidità, cos’è che diciamo davvero mentre scopiamo? Chi cazzo lo sa! Cantiamo il desiderio, urliamo la nostra sacrosanta voglia di essere vivi, se questo è davvero un vizio allora è il più bello che esista, scopami, ti prego, senza pensare a niente perché niente, adesso, è davvero importante.
Il ragazzo continua a pomparla fra le cosce, tenendole spalancate con le mani, poi si piega e le mangia i seni, che bella donna, cazzo, che fica, cazzo, se anche è uno scherzo allora tanto vale a mettersi a ridere, fra i gemiti rabbiosi, anche le risate possono cantare il godimento.
Ride il tecnico della caldaia, con ancora addosso la polo col marchio della ditta, ride e poi ringhia, sembra pazzo, sconnesso da qualsiasi lucidità, ora è solo un animale, una bestia affamata, che certe cose non si fanno, suvvia, che non siamo mica bestie, ma vaffanculo all’evoluzione, fanculo il giusto e lo sbagliato, ora siamo solo io e te, stringiamo un patto segreto e regaliamoci il piacere, fottimi bello mio, fottimi!
A ritmo sostenuto, beata gioventù, a farle quasi male carezzandola dentro col cazzo, mentre le palle schiaffeggiano il culo, ancora un po’, rallentando appena per riprendere fiato, dando a quella strana donna la possibilità di proporre un nuovo scenario, uno sbuffo rabbioso a soffiare via i capelli e già si riparte.
“Siediti” gli ordina in un nuovo scambio di ruoli, lui si accomoda sul divano e lei gli sale addosso, afferra il grosso cazzo e ci si impala sopra, con un lungo verso che ha davvero poco di elegante e raffinato, pare piuttosto il lamento di una donna selvaggia che ne vuole ancora e ancora.
Ora è lei a dettare il ritmo, cavalcando quello sconosciuto, “Toccami le tette” e lui esegue, “Schiaffeggiami il culo, dai” e lui, quasi incredulo, accontenta in ogni cosa quella furia femmina sempre più irriconoscibile, le mani dietro la testa, la bocca spalancata, i gemiti strozzati di assoluto godimento, fa paura, sembra indemoniata.
Ha fretta, fretta di godere, di bruciarsi in una grande fiammata, i seni le ballano imperlati dal sudore, le pantofole ai piedi, i capelli umidi appiccicati alla fronte.
Ha così fretta che ora se lo sfila da dentro e si riaccovaccia fra le gambe del giovanotto, riprende a succhiarglielo ad occhi chiusi, come fosse sola con la propria passione, come avesse bisogno di sentirsi ancora più libera e ancora più porca, il sapore dolce del maschio mescolato a quello sapido della femmina, dio, che stronza meraviglia.
Con la mano lo masturba e con la bocca lo ingoia, forse è uno scherzo, forse è davvero un film porno, di quelli assolutamente perversi, con quelle foto di suo marito e i suoi figli attaccate al muro che sembrano assistere alla scena e non hanno altro da fare se non continuare a sorridere.
Ma il tecnico ha ancora voglia, ora è lui a proporre un nuovo passo di danza, le prende la mano, la aiuta ad alzarsi e l’accompagna al tavolo, lei ci poggia le mani sopra e si piega, che davvero niente c’è da spiegare nella dinamica splendida del sesso, è come conoscere un ballo e lasciarsi guidare dalla musica, permette signora? Danza ovina ad angolo retto, s’il-vous-plait.
Ora, sì, lui si piazza dietro di lei, forse è al limite, forse è sul punto di esplodere ma le afferra comunque i fianchi e di nuovo le apre la fica col cazzo, entrando fino in fondo.
È un valzer, che suona nelle orecchie, sempre più forte dio, che meraviglia dio, che mi prende, che cos’è questo calore nella pancia, questa smania fra le cosce che preme, che preme, che preme che preme che preme, i colpi, del suo corpo contro il culo della signora, quella sì che è musica, quel ritmo che è rabbia e dolcezza, i colpi di animali ballerini che si accoppiano, i colpi per farglielo sentire ancora più dentro, per farle male, dio, quel male è il dolore più bello del mondo, spaccami, sfondami, dammi fuoco in un’unica grande fiammata, godi per me, ti prego, godi di me, godimi dentro, godimi addosso, che solo adesso, io, mi sento viva.
Un rantolo, un colpo secco poi un altro verso ad annunciare l’orgasmo imminente, giusto il tempo di tirarlo fuori e iniziare a schizzarle di bianco la schiena, sì, dai, che cazzo vuol dire umiliazione? Che cazzo c’entra adesso? Sborrami addosso perdio, fammi vedere quanto ti piace, maschio, sporcami di assoluto lurido piacere, perché questo mi accende, questo mi brucia da dentro, toccare un altro cuore, sfumarlo con il mio, respirare l’odore di un altro corpo, potrei vivere di questo, farlo tutto il giorno senza smettere mai. Di questo esplode ora la signora, con gli occhi chiusi e la mano a roteare fra le cosce mentre le gocce di sperma le scivolano sulle gambe, sporcandole anche i piedi, per questo urla, gode, mordendosi le labbra, se potessi, lo farei tutto il giorno questo maledetto bellissimo inferno.
Poi,
i respiri,
spossati,
che è come perdere quota, planare verso il basso, poggiare i piedi a terra, riacquistare lucidità con l’inesorabile lentezza della gravità, permettere al cuore di calmarsi, poco prima di esplodere e impazzire, è come sfiorare la morte, assaporarne l’apnea e ridere, timidamente, per averla sconfitta ancora una volta, ridendole in faccia.
La temperatura si abbassa di colpo, gli amanti di fuoco tornano a essere solo una donna per bene e un bravo ragazzo, figli dell’evoluzione, sconosciuti fra loro, inopportuni a starsene praticamente nudi, l’una di fronte all’altro.
“Mi scusi, ora avrei.. da fare.. dovrei.. sistemare..”.
Sì, certo, è tempo di tornare a indossare la propria vita, lui raccoglie i pantaloni, in silenzio, si guarda attorno come a cercare qualcosa, forse la risposta alla domanda: che ci faccio io, qui? Mentre lei, ancora sporca di piacere e di vita, sistema il divano, prende a schiaffi un paio di cuscini e porta via quel mezzo caffè che nessuno ha bevuto.
E la caldaia? No, non c’è tempo, è già tardi, ha fretta ora la signora, come quando butti via la sigaretta che avevi giurato fosse l’ultima e pensi a quanto è maledetto il tuo vizio, a quanto ti fa male e a quanto ti fa bene, a quanto sia lui a possedere te, lo dice anche la dottoressa, lo dice ogni volta, le dice che dovrebbe solo provare a smettere, a farlo davvero, ad affrontarsi una volta per tutte, usa quella parola così strana, ma che vuol dire? Come fa una parola sola a raggruppare così tanti sentimenti, come fa? L’ultima e poi smetto, lo giuro.
Il ragazzo si è già rivestito, ha smesso l’animale ed è tornato a essere solo un tecnico, con altri appuntamenti e altre sconosciute caldaie da riparare, si avvia verso l’uscita e non sa che dire, anche la libertà dei suoi pensieri sembra essersi annodata su sé stessa, dopo l’abbuffata del piacere sembrano essere rimaste appena le briciole dell’imbarazzo, “Arrivederci” lo liquida lei sbattendo la porta ed è già ora di tornare alle proprie care, vecchie abitudini. Prendere l’accappatoio, l’asciugamano, portarli in bagno e metterli al loro posto, mentre una musica dannata torna a dettarle i passi. Tornare in cucina, ancora nuda, ancora sporca con solo le pantofole ai piedi e aprire il rubinetto, rimuovere gli ultimi residui dalla macchinetta del caffè sotto l’acqua corrente poi riporla ad asciugare capovolta sul lavandino. Detergersi le belle mani con uno strofinaccio, uno sguardo allo smalto, rosso, sì, forse è un po’ da sistemare ma ancora può andare. I gesti abituali, consueti, elencati dal confortevole schema della routine.
Poi subito in bagno, è già tardi, le lancette dell’orologio stanno per posizionarsi appena dischiuse sulle ore 11:00.
Ruotare il miscelatore fino ad ottenere la temperatura desiderata, così è troppo fredda, così troppo calda e così, sì, così è decisamente perfetta.
La beatitudine della doccia, spettacolo meraviglioso, ma si può sapere chi è che l’ha inventato? Lasciarsi piovere addosso e scottarsi le spalle, vestita di solo vapore, afferrare il flacone e schizzarsi di bianco la pelle al profumo dei fiori, le mani, no, non si muovono, piuttosto si lasciano guidare dalle curve piene del corpo, mentre la bocca si apre a intonare quella dannata vecchia canzone il cui ritmo di cuore dà il tempo a ogni gesto. Afferrarsi le tette, velate dal bagnoschiuma, massaggiarle, strizzarle, toccarsi la pancia, toccarsi la schiena, esplorare ogni cosa, rielencare sé stessa e i tanti segreti del corpo, la linea delle gambe, le curve dei piedi, la forma soda delle natiche che oscillano a scuotere un ballo di cuore. Due colpi d’anca a destra, due a sinistra prima di afferrarle con un paio di schiaffi, aprirle, scivolarci in mezzo con una mano mentre l’altra si annida fra le cosce, pulire ogni cosa per il solo piacere di tornare a sporcarsi, con la vita, certamente.
Ma tutti i piaceri, si sa, hanno sempre una fine, è tempo di chiudere l’acqua ed uscire, con gli occhi chiusi a cercare l’accappatoio bianco che è sempre lì, al solito posto, farsi abbracciare dalla spugna morbida e stringersela addosso, con le mani, perché il caro accappatoio è sprovvisto di cintura e proprio non si sa che fine ha fatto.
Un altro asciugamani dello stesso colore lo avvolge intorno ai capelli a formare una sorta di turbante, mentre il canto diviene un semplice mugugno, ultime note e ancora qualche accenno di danza, due colpi d’anca a destra e due a sinistra. Sorriso d’intesa con quella donna lì davanti, riflessa nello specchio, guarda che labbra morbide che ha, le gote arrossate, il naso pronunciato, l’istinto naturale, di certo vanitoso, di una donna che sa di essere bella e non ha nessun motivo per nasconderlo. Ma il tempo corre, meglio uscire, le pantofole ai piedi e poi di nuovo in cucina, un altro sguardo alle lancette, ci siamo quasi, giusto il tempo di soffocare la musica nella testa e accendere un’altra sigaretta.
Non riesce a fumarla tutta che il citofono suona, prendere la cornetta “Sì, secondo piano” spegnere la sigaretta sotto al lavandino e andare ad aprire la porta, col turbante in testa e le braccia conserte a stringere un accappatoio senza cintura.
Il suono dei passi sulle scale ed eccolo che appare “Buongiorno” allungando una mano, stando attenta a non mostrare niente di inopportuno.
«Salve» risponde un uomo con la maglietta e i pantaloni blu, almeno quattro o cinque anni più di lei, che la guarda e nella sua mente elenca in un istante parole e apprezzamenti che se solo fosse libero le direbbe con assoluta tranquillità.
“Prego, la caldaia è da questa parte” dice lei lasciandoselo sfilare accanto, il profumo di bagnoschiuma incontra quello della pelle matura e sudata, come animali che fanno conoscenza molto prima di incontrarsi.
Chiudere la porta e ritrovarsi in salotto, uno di fronte all’altra, immersi in una bolla di inevitabile imbarazzo, quale miglior modo per romperla di un “Prima di iniziare, lo vuole un caffè?”
2 Comments
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Uno dei migliori racconti che abbia mai letto. Complimenti pink_, vorrei saper scrivere come te!
Che bellissimo complimento, William, grazie mille!