– Scusi Giovanna dovrei parlarle qualche minuto. Se vuole venire nel mio ufficio. –
– Io? Per cosa? –
Toglie le cuffie da cui stava ascoltando musica canticchiando mentre spolvera la scrivania. Appoggia lo straccio e il flacone del prodotto che sta usando.
Entro nel mio ufficio e aspetto che entri anche lei. Chiudo la porta e mi siedo. Non le dico di accomodarsi ma lei si siede lo stesso. Mi guarda con fare interrogativo.
– Purtroppo, da un po’ di tempo mi sono accorto, mi hanno detto, che sono sparite delle cose.-
Fa una faccia come per dire, ok e allora?
– La cosa si è ripetuta. Sono scomparsi dei CD. Sono scomparsi oggetti personali lasciati nelle scrivanie. Tipo un lettore di Mp3. Un cellulare. Anche dei soldi.
Si tocca con la mano il petto, alzando leggermente le spalle, il volto atteggiato in una espressione perplessa. Io non ne so niente, sta dicendo con il linguaggio del corpo.
Però mi fissa negli occhi, e normalmente non lo fa. Normalmente guarda altrove, anche quando ti sta parlando.
Giovanna viene a fare pulizie in azienda da qualche mese. E’ vero che sono scomparsi degli oggetti e alcuni colleghi sospettano di lei.
Ho messo una webcam collegata alla rete all’angolo in alto della sala che stava pulendo. Vedevo le immagini sul mio PC e venivano memorizzate.
Appena è stata sola ha aperto i cassetti e ha preso 50 euro da uno di essi.
Erano 4 pezzi da 50 segnati con un evidenziatore giallo e di cui avevo segnato il numero di serie. Ha preso un pezzo, si è sfilata una scarpa, lo ha infilato dentro e rimesso la scarpa.
Mi diverte guardare il linguaggio del corpo. I soldi sono nella scarpa destra. Ora quel piede è tirato indietro, sotto la sedia e l’altro piede gli è davanti, come a proteggerlo, a nasconderlo.
Mi alzo lentamente, senza guardarla. Lei anche si alza. Senza preavviso le do uno schiaffone.
Non se lo aspettava, sgrana gli occhi in cui subito affiorano le lacrime. Alza il braccio per proteggersi, poi fa per darmi un calcio, un pugno.
– brutto stronzo, come ti permetti, ti denuncio… – mi dice.
Le afferro il polso e lo ruoto, costringendola a darmi la schiena.
Scalcia da dietro e le alzo ulteriormente il braccio facendole male. Strilla, si lamenta, ma smette di scalciare.
Giovanna ha i capelli di un colore indefinito. Un periodo è bionda, uno rossa, uno mora. A volte li ha legati, a volte sciolti, a volte ricci.
E’ di forme abbonandanti. Grosse tettone e culone. Sempre abbronzata, molto. Si vede che trova il tempo di andare al mare.
Sempre molto truccata in modo piuttosto volgare e appariscente.
Il tipo di femmina che fa sesso. Che me lo fa venire duro perché mi dà l’idea della troiona.
Con l’altra mano le prendo i capelli, mentre allento la presa sul braccio, e le tiro indietro il collo.
– stai zitta! ora se vuoi esci di qui e mi vai a denunciare, come hai detto. però sappi che ho le immagini registrate sul computer… di te che ti freghi i soldi e li metti nella tua scarpa, dove sono adesso. –
– non è vero… – dice. E si divincola, ma senza troppa convinzione.
– è vero e lo sai benissimo. quei soldi sono segnati e li hai addosso tu … –
E’ ferma, non dice nulla, sento le sue natiche contro le mie cosce e il cazzo mi sta diventando duro… più sento che si sta arrendendo e che è in mio potere e più mi diventa duro…-
– ora hai due alternative davanti: una è quella di andare a denunciarmi e con questo essere denunciata per furto… l’altra è fare quello che ti dico. tutto quello che ti dico. essere la mia schiava. hai capito bene?”
Non risponde e respira pesantemente. Ma poi scrolla la testa, come per liberarsi dalla presa nei capelli.
Stringo più forte e tiro.
– la mia schiava. sai cosa significa? hai presente? eh? ” e torco il polso ancora.
– ahia… si… ho capito… si –
– si cosa? –
– si… –
– si COSA? –
– si. la schiava. faccio la schiava.”
Ma il tono di voce che ha è arrogante. Pensa di cavarsela con un po’ di sesso. Di imbonirmi con qualche astuzia femminile. Di giocare con me.
Si è tranquillizzata quando ha capito che non intendo denunciarla. Un po’ mignotta lo è, pensa di cavarsela con poco.
Le stringo i capelli e li giro nella mano. La testa girata indietro.
– ahiaa… mi fai male… –
– Allora. Adesso io ti lascio. Ti ripeto l’alternativa, voglio che ti sia ben chiara. Se vuoi esci a vai da carabinieri. Oppure ti inginocchi e mi lecchi le scarpe. hai capito?
– si… –
La lascio. Si volta e mi guarda con sfida. Le mollo uno schiaffo. Anche questo non se lo aspettava e sgrana gli occhi, portandosi la mano sulla guancia, dove l’ho colpita.
– Allora? o chiami i carabinieri, o li chiamo io, oppure mi lecchi le scarpe… –
Fa spallucce, si inginocchia e dice: – se è solo questo…-
No, non è solo questo, puttana, ma inizi da qui.
Tira fuori la lingua e l’appoggia sul collo della scarpa.
– lecca. voglio vedere la lingua… –
Ho un paio di Duilio di pelle, nere. Dove passa la lingua diventano lucide.
Bella la sensazione di essere lì in piedi con questa donna inginocchiata, il culo in aria, china ai miei piedi. Ma non sono un feticista, la lingua voglio sentirla.
– slacciami le scarpe… e toglimele –
Esegue docilmente. La schiava impara presto.
Mi appoggio con il bacino al piano della scrivania.
– lecca… –
Ora sento la lingua sul piede. Ho il cazzo durissimo.
La faccio stare con la lingua fuori e ci passo il piede sopra. Con l’alluce le entro in bocca. Poi le schiaccio la testa, il viso, sotto il piede. Di nuovo in bocca.
– tira fuori quella lingua…
– ora voglio sapere una cosa, schiava. voglio sapere se ti fa schifo o se ti piace. ma ti conviene dire la verità, perché se mi dici cazzate ti faccio piangere…-
– un po’ mi fa schifo… però un po’ mi piace…- dice.
E me n’ero accorto.
Vorrei godermi la situazione, ma anche se gli uffici sono chiusi e sono andati tutti a casa è meglio non restare troppo.
– adesso tirami fuori il cazzo – le dico.
Lei non fa una piega. Si alza, sempre in ginocchio, e comincia ad armeggiare con i pantaloni. Slaccia la cintura, il bottone, fa scendere la zip, li fa scendere al ginocchio.
Poi fa scendere gli slip e il cazzo duro le balza davanti al viso.
– ah però… – dice compiaciuta.
Mi arriva alle nari il mio odore, dopo una giornata in ufficio. Lei ne sarà avvolta. Voglio che se lo gusti e voglio che le rimanga impresso. Addosso.
Quindi la prendo per i capelli e le impedisco di prenderlo subito in bocca. Glielo strofino sul viso, indugiando sulle labbra. Sulle guance, sul collo.
Glielo strofino sotto al naso, lo scappello, in modo che il mio odore le saturi i recettori olfattivi.
Quando la vedo ansimare, la bocca aperta, la lingua protesa, le deposito prima una grossa goccia di trasparente liquido prespermatico sulle labbra, mentre la sua lingua inizia ad avvolgermi la cappella.
Poi glielo infilo dentro.
Emette un mugolio di soddisfazione e comincia a pompare.
La lascio fare per un po’, poi la spingo da dietro la testa, prendo i capelli come una maniglia e uso la sua bocca per masturbarmi.
Cercando di collaborare mi fa male con i denti. Le do uno schiaffo.
– stai con la bocca aperta e basta…- le dico. Continuando a chiavarla in bocca.
La spingo giù, ha dei conati. Non me ne frega niente e aumento il ritmo perché sto per venire.
Vengo senza preoccuparmi di dove vadano a finire gli schizzi di sborra. In gola direttamente, o sprizzano fuori di lato per via che lei tossisce, o colano dal mento.
Continuo a muoverla su e giù finché mi da piacere, diminuendo il ritmo, con lei che fa dei rumori cercando di ingoiare e tira su con il naso.
– ora puliscilo bene e poi rimettlo dentro…-
Se lo lecca tutto. E’ eccitata da morire. Si è alzata la gonna e si sta toccando la fica.
Le do uno schiaffo non forte dietro la testa.
– chi ti ha dato il permesso di toccarti? –
Smette, ma ha una voglia pazzesca, gliela leggo negli occhi.
– ora finisci di mettere a posto. e poi puoi andare. la prossima volta voglio sapere se ti sei masturbata o ti sei fatta scopare. guai a te se mi racconti cazzate. –
Prendo un righello sulla scrivania.
– ti faccio il culo rosso con questo…-
– ho voglia… – dice.
– te la tieni. ora vai. sparisci…- Oggi è entrata in ufficio con uno squillante buongiorno. In realtà sono le 16,30. Fra mezzora tutti se ne andranno a casa e resterà solo la squadra delle pulizie.
Giovanna a questo piano e una sua collega a quello di sotto.
Si è fatta i capelli, è truccata, ed è anche ben vestita, con una gonna che sembra quella di una divisa, e una camicetta bianca, a differenza del solito che indossa una tuta da ginnastica.
Tiene in mano un camice, immagino indossi quello, per lavorare.
Mi guarda con un’espressione maliziosa. Io l’ho salutata con un cenno, a mezza bocca, e non rispondo a nessun segnale.
Si gingilla spostando oggetti vari, svuota i cestini, prepara stracci e flaconi vari. Ogni tanto mi guarda.
E’ chiaro che l’avventura di qualche giorno fa le è piaciuta e si aspetta un seguito.
Di mezzo c’è stato il weekend. Avevo quasi pensato di trovare una scusa per chiamarla ma ho preferito lasciar sedimentare.
Era stato evidente che l’avventura, aldilà che le fosse stata imposta, le fosse piaciuta e non poco. Magari non era nuova a quel tipo di trattamento, oppure era stata una piacevole e sconvolgente scoperta.
Ero curioso di sapere, di farle delle domande.
Godo di sufficiente autonomia sul posto di lavoro, quindi quando dico che mi fermo qualche minuto per controllare delle cose nessuno ha nulla da dire. In breve escono tutti e resto solo nella mia stanza, mentre lei inizia il suo lavoro in quella attigua.
Vorrei lasciarla sulle spine molto di più, ma ci sono dei tempi da rispettare. Potrò godermi la situazione quando la incontrerò fuori di qui. Per ora tocca muovermi con una certa accortezza, per cui faccio passare solo alcuni minuti, poi la chiamo.
Arriva immediatamente sorridendo e con delle movenze che lei pensa siano sexy. E lo sono, in un certo senso, ma in modo opposto di come lei immagina se stessa.
Vestito, trucco, modo di fare, tutto troppo marcato, sopra le righe, un mix fra patetico e lezioso. L’effetto è quello di infastidirmi, eppure paradossalmente ottiene il suo obiettivo.
Quei vestiti glieli strapperei di dosso, il trucco mi viene voglia di vederlo colare, quel sorriso trasformarlo in smorfie di dolore o di disgusto.
“resta in piedi” le dico.
E resta lì, sorridendo, sorniona, in attesa che il gioco dell’altra volta continui.
“allora, ti vedo sorridente… dal che deduco che il gioco dell’altra volta ti sia piaciuto e che non vedi l’ora di ripeterlo, giusto?”
“beh si… l’effetto mi è piaciuto…”
“effetto? che effetto?”
“cioè, al’inizio mi ero messa paura e anche arrabbiata, con quegli schiaffi, però poi mi è piaciuto…”
“e quindi lo vuoi ripetere” non è una domanda la mia. E lei se ne rende conto, ma annuisce impercettibilmente con la testa, sorride e resta in attesa.
Questa mattina mi sono portato in ufficio un righello quadrato di legno da 50 cm. E’ un oggetto che passa inosservato su una scrivania, ma ha un suo fascino particolare.
E’ il classico righello che può essere adoprato anche come una bacchetta per indicare e all’occorrenza, per punire. Dubito che in lei risvegli reminiscenze scolastiche, di aule in cui viene applicata la disciplina delle bacchettate sulle mani, o sulle cosce. E nemmeno in me personalmente. Ma ho un ricordo di disegni di imbarazzate giovanette dalla gonna alzata, il volto arrossato di vergogna, mentre un algido istitutore le colpisce sulla tenera pelle delle gambe.
Non amo granché il dolore. Trovo erotica più la simbologia che lo accompagna. E gingillarmi con quel righello, mentre le parlo, vale più di quasiasi messaggio a parole.
Io ci gioco, lei lo guarda. E l’erotismo scaturisce dall’oggetto e la colpisce, come una scarica elettrica.
E in questa tensione erotica, la fisso, senza espressione, e lei allora smette di sorridere a abbassa i suoi occhi. Segue il righello come ipnotizzata.
Mi alzo e lei mi guarda.
“non mi guardare, ” le dico “lo vedi questo? ” indicando il righello “devi guardare solo questo… e quando non riesci a vederlo devi tenere gli occhi bassi, verso i tuoi piedi…”
annuisce, respira profondamente.
Con il righello la tocco sui fianchi, seguo il contorno dei fianchi, i seni. Salgo e sfioro il collo, la bocca, indugio fra le labbra, scendo ancora sui seni sfiorando il capezzolo, giù giù ancora i fianchi… le gambe….
in una sorta di rivista del suo corpo. Lo insinuo fra le gambe, all’altezza delle ginocchia. Un paio di leggeri colpetti per fargliele aprire.
“di più… apri di più… ” le do dei colpetti fino a che non ha divaricato le gambe abbastanza. La gonna tira sulle cosce muscolose e si alza un po’.
Mi godo lo spettacolo: occhi bassi, mani che non trovano una posizione e indugiano lungo i fianchi, gambe troppo aperte.
Con la punta del righello risalgo l’interno di una coscia. La gonna si solleva. Arrivo in alto, ancora dei colpetti leggeri e le gambe si aprono di più.
La gonna resta su.
Le vado dietro. Sollevo la gonna sempre con il righello.
Porta un paio di mutandine bianche, che si sono infilate fra le natiche nude. Con il righello faccio avanti e indietro sfiorando la fica. Geme.
“alzati la gonna con le mani” le dico. E lei esegue Gli occhi sono sempre bassi.
“anzi, prima slacciati i capelli” Li tiene legati dietro. E’ un attimo a togliere dei fermagli e quelli scivolano di lato e davanti. Con il righello glielo sposto davanti gli occhi.
Ora è lì che si tiene la gonna alzata, il culo scoperto, le mutande infilate fra le natiche, i capelli che cadono davanti agli occhi.
Manca qualcosa per completare il quadro.
Le sbottono la camicetta di tre bottoni, tiro fuori le grosse tette dal reggiseno. Constato la durezza e la grossezza dei capezzoli. Allargo la camicetta in modo che le tette escano fuori.
Perfetta.
Faccio una foto col telefonino. Quando sente il rumore alza gli occhi.
“Che fai?”
Il righello si abbatte sulle sue natiche lasciando una striscia che si colora di rosso. Lei sobbalza e ha come un singulto.
“Non fare domande, parla solo se sei interrogata e dammi del lei.”
Per me è una situazione nuova. Mi piace la dominazione, ma soprattutto quella sessuale, non sono mai stato uno che prova piacere in queste ritualizzazioni. Eppure questa volta mi vengono naturali. Trovo che rendano l’atmosfera carica di un’eroticità elettrica.
Quello che è più intrigante è che si scopra istante per istante che il limite non è ancora lì. Che si può andare oltre, osare e spingere avanti il desiderio.
Continuo a fotografarla.
Con il righello continuo a sfiorarla. La punta spinge i capezzoli in dentro. Poi scende e tocca il clitoride. Struscia le labbra. Torna su verso la bocca.
“leccalo” le dico. Lei tira fuori la lingua.
“sputaci sopra”. Poi prendo la saliva e la porto su un capezzolo, che s’indurisce ancora di più, una nocciola rugosa.
“mettiti un dito nella fica” le ordino. E lei esegue, inserendolo la mano dentro le mutandine, tenendo la gonna sollevata con il braccio, indice e medio e infila il medio, quasi subito in profondità.
“tiralo fuori”
E’ bagnato. Prendo la sua mano e la porto vicino al mio viso. Annuso l’odore della sua fica. Lo lecco.
Prendo i due capezzoli e li stringo. La tiro verso il basso tenendola per i capezzoloni. Geme. Si piega in avanti. L’appoggio alla scrivania, la gonna sollevata. Le allargo le natiche scostando le mutandine mettendo in mostra il buco del culo e la fica che si apre, bagnata.
Le do un altro forte colpo di righello sul culo.
“Ci vediamo fra un’ora ai giardini del parco. Togli reggiseno e mutandine e fatti trovare su una delle panchine davanti al bar”.
“ma io devo lavorare…”
Altro colpo di righello.
“ti ho dato un’ora. inventa qualche scusa”.
“ok.”
Altro colpo di righello. “va bene signore, devi dire.”
“va bene … signore…”
…
Parcheggio la macchina in modo da vedere da lontano il luogo dove le ho dato appuntamento, in un posto che è anche abbastanza appartato. E’ un’entrata secondaria del parco, la cancellata resta sempre chiusa. Nel piazzale antistante, la gran quantità di fazzolettini in terra testimonia di convegni sessuali. Con l’avanzare del buio la zona è anche frequentata da prostitute.
La vedo arrivare puntuale, ha una borsa e un giacchino di pelle, sopra gli abiti che indossava prima. Si guarda attorno. La faccio aspettare qualche minuto, la vedo nervosa.
Mi avvicino da dietro e le arrivo vicino sorprendendola. Trasalisce quando le dico, ben arrivata.
“camminiamo…” le dico. E’ quasi buio e inizia a scendere l’umidità. Fa fresco.
“sei sposata?”
“si…”
“hai figli?”
“si, uno…”
“A che ora devi stare a casa?”
Sono quasi le 19, guarda l’orologio e dice “dovrei quasi … fra una mezz’ora…”
La fermo, le prendo la mano e la porto verso un grosso albero. Non c’è nessuno intorno. Le sollevo la gonna e constato che non porta, come le avevo detto, le mutandine. Le metto a nudo le natiche e la spingo contro la ruvida corteccia. Mi appoggio con il mio peso, le faccio sollevare il viso tirando i capelli e la bacio. E’ un bacio ruvido, umido. Le infilo la lingua dentro e le lecco le labbra. Gliele mordo.
Tiro fuori una tetta dalla camicetta, la soppeso, la faccio ballare sul palmo della mano. Mi chino e gliela lecco, succhio il capezzole che mi diventa duro in bocca, ci gioco con la lingua, lo mordo, lo succhio con forza. Passo all’altra e faccio lo stesso. Le apro le gambe, le tocco la fica con entrambe le mani, le apro le labbra, infilo prima l’indice della mano destra, poi insieme quello della sinistra, e tiro leggermente come a volerla aprire. Geme e si bagna che ho le dita che mi colano. Le lecco, hanno un buon sapore.
Tiro fuori il cazzo dai pantaloni e glielo infilo dentro, inchiodandola contro il tronco, la corteccia ruvida e dolorosa che le segna le natiche.
Il pensiero di riempirle la fica di sperma e lasciarla lì addosso all’albero, le gambe aperte e la gonna sollevata, le tette fuori dalla camicetta, scarmigliata, lo sperma che le cola lungo le coscie, affamata e vogliosa, alla mercè di chi passa e potrebbe approfittare di lei, mi fa quasi venire. Ma resisto ed esco. Le tiro giù la gonna, le accosto la camicetta.
“vieni” le dico, e mi segue come inebetita. La tengo per mano e la conduco verso l’auto.
E’ ormai buio e arriviamo alla luce fioca dei primi lampioni.
Appena entrata apro i pantaloni, tiro fuori il cazzo che subito ridiventa duro. E’ bagnato, dei miei e dei suoi umori.
La prendo e la spingo con il viso sopra. Ma non glielo faccio succhiare. “Puoi solo leccarlo” le dico. E la tengo sollevata.
“allora racconta… la volta precedente ti sei eccitata?”
“si… si…”
“cosa ha fatto? ti sei fatta un ditalino? o ti sei fatta scopare?”
“avevo voglia… mi sono fatta scopare…”
“da chi?”
“da mio marito…”
“ti scopa spesso?”
“abbastanza… ma quella sera se non i scopava lui… ”
“ti facevi scopare da chi incontravi?”
“siii … uscivo e mi facevo scopare… avevo voglia tanta… voglia…”
“e tuo marito se ne è accorto che sapevi di cazzo? che ti eri presa una bella sborrata in bocca?”
“nooo… non si è accorto di niente… ”
“non si è accorto nemmeno che avevi la fica gonfia e bagnata?”
“no… mi ha scopata e si è sorpreso perché sono venuta subito…”
“e lui come è venuto?”
“sulla pancia… mi è venuto sulla pancia…”
“non prendi anticoncezionali? pillola, o altro?”
“no, niente…”
“quindi se ti vengo dentro ti ingravido… come una vacca da monta…”
“no… ti prego”
Le do una forte sculacciata, alzo la gonna scoprendo il culo e gliene do altre due piuttosto forte. Contemporaneamente la spingo ad ingoiare il cazzo, con forza, e la tengo giù finché non la sento annaspare per respirare.
“ti avevo detto di darmi del Lei…”
Non può rispondere, essendo con la bocca ben piena.
Passa uno che porta il cane a passeggio. Quando è accanto alla macchina non può non vedere il culo scoperto e lei impegnata nel bocchino.
La sollevo per i capelli e mi metto in modo che l’eventuale osservatore abbia piena visibilità.
Non lo vedo in faccia, quindi non sono certo, ma non si muove da accanto allo sportello, quindi si sta godendo lo spettacolo.
“Fai un bel lavoro schiava, troia, che ti stanno guardando e voglio fare bella figura…”
Cerca di girare la testa per guardare, ma la tengo ferma, non voglio che mi spaventi lo spettatore.
“Stai buona e fai il tuo lavoro da puttana… vediamo se sei brava e riesci a farlo eccitare. Se se ne va ti segno il culo con la cintura, che anche tuo marito ti chiederà cosa è successo.
Già è segnato dalla corteccia di prima, tutto graffiato e si vede anche un colpo del righello… ti ci faccio anche qualche cinghiata… così ti marchio come meriti…
se invece non se ne va e anzi tira fuori il cazzo, vuol dire che sei stata brava… e meriti un premio… dai… su… pompa…”
E nel frattempo la faccio andare su e giù sul cazzo duro.
La tengo con la mano sinistra, con la mano destra le infilo le dita nella fica, me le bagno, e poi gliele metto nel culo. Prima uno, poi due. Porto le dita al viso, le annuso, sento il suo odore, della sua fica, e quello amarognolo del culo, mi viene una voglia pazza di incularla qui e ora, mi sputo sulle dita un paio di volte, e le bagno il buco del culo, sputo e porto la saliva, una, due, tre volte, infilo fino a tre dita, la sente gemere e lamentarsi.
La faccio sollevare, tiro indietro il sedile il più possibile e mi tiro indietro col bacino.
“vieni a sederti qui …”
Sta per venirmi sopra viso a viso ma la faccio voltare. Mi scavalca con una gamba, le prendo le natiche e la porto sopra di me, lei si regge al volante e malamente con le gambe piegate.
Appoggio la punta del cazzo sul suo sfintere e subito imbocca una parte.
Tolgo le mani da sotto le natiche. Ora se le cedono le gambe è lei ad impalarsi di botto.
Con la mano destra tengo il cazzo ben puntato, con il braccio sinistro le circondo il bacino e la tiro verso di me. Verso il basso.
Cerca di resistere, ma la forza di gravità, io che la tiro… cede, inesorabilmente e a scatti, due-tre centimetri per volta, entro dentro di lei.
In breve le natiche mi pesano sulla pancia. Spingo e sento quella piacevole sensazione di essere stretto in un culo, profondamente infisso.
Il guardone, me l’ero scordato, è sempre lì e ha il cazzo in mano, si sta segando.
Ora può vederlo anche lei, glielo indico: “guarda… si sta facendo una sega, sei stata brava… per premio puoi masturbarti mentre mi fai venire con il culo… dai su… muoviti… e fatti un ditalino e fatti vedere da lui…”
Non si fa pregare perché sento che si sgrilletta furiosamente, mentre si muove su e giù, non tanto, e va bene così se no verrei subito. Più che altro mi pompa con le contrazioni dell’ano mentre stringe le coscie e si masturba.
Poi sento arrivare l’orgasmo, la prendo e la sollevo e poi la faccio ricadere sul cazzo, urla mentre glielo faccio una serie di volte e urlo anche io quando vengo come fontana riempiendole l’intestino di sperma bollente.
Mi rilasso mentre nelle ultime contrazioni dell’orgasmo, il mio e il suo, contemporanei, mi svuotano le palle.
Anche il guardone è venuto, si sta pulendo con dei fazzolettini. Si allontana e ci saluta.
“ora ti alzi piano, e ti tieni tutto lo sperma dentro… vai a casa… e ti fai scopare da tuo marito … o ti fai anche inculare… e vediamo se se ne accorge…che sei larga e piena…”
La bacio, ancora dentro di lei, mentre il pene non vuol saperne di ritirarsi e il culo resta largo. Ma in quella posizione se si alza lo perde sicuramente e io voglio invece che lo trattenga dentro di sè.
Aspetto. Mi rilasso. E piano piano il pene diventa abbastanza morbido da permettere all’anello sfinterico di richiudersi, ed esco da lei con minima perdita di succhi.
“Ora mentre andrai a casa lo sentirai nella tua pancia e ti ecciterai di nuovo, all’idea di essere farcita di sborra, è vero?”
“si….”
“Prendi questa sim. La metterai sul tuo telefonino tutti i giorni dalle 12 alle 12,30. Se troverai dei messaggi saranno i miei, se voglio dirti qualcosa comunicherò con te in questo modo. Non devi cercarmi. Non devi cambiare atteggiamento in pubblico. Quando saremo soli io sarà il tuo padrone e tu la schiava.”
“Si”.
L’ho portata in hotel.
Ho scelto appositamente un hotel squallido, frequentato da prostitute che battono nelle vicinanze e che fanno in strada o in quell’hotel se qualcuno vuole più comodità.
Lo conosco perché un amico ci portava l’amante e ha smesso perché anche se economico è a suo dire veramente mal frequentato. Me lo ha sconsigliato, in generale.
Non sa che è proprio per questo che invece mi attira. I posti dove la gente fa sesso, spesso sporchi, squallidi, con i resti e i segni delle attività che vi si svolgono, hanno su di me un fascino irresistibile.
I cinema a luci rosse, con i loro bagni dalle luci al neon, le scritte sui muri, gli anfratti fra le dune al mare, con la loro fauna di guardoni, omosessuali, gente a caccia di sesso, che ti guarda famelica toccandosi il cazzo in un silenzioso invito, che se vedono una donna arrivano a frotte, come annusandola, e sembrano gli zombies del film. Si avvicinano silenziosi, in attesa di un segno, di un gesto, oppure solo che il primo di loro non venga rifiutato. E poi i parcheggi, le piazzole autostradali, i posti dove vanno le coppie. E con le coppie i guardoni.
Sono quei posti dove si respira sesso. Dove gli ormoni impazziti fuoriescono dai corpi, nel sudore, nei fluidi, nel respiro, e restano lì graveolenti, nell’aria.
Con gli sms l’ho tenuta sulla corda tutta la settimana. Al telefono le ho fatto raccontare i particolari delle sue scopate. Il marito si meraviglia della sua voglia questo periodo e per qualche giorno è stato ben contento di assecondarla. Poi si è stancato e lei si è masturbata. Le ho detto di usare due grossi cetrioli, nel culo e nella fica, ho voluto che me li descrivesse, la loro grossezza, glieli ho fatti scegliere uno abbastanza grosso che quasi non riuscisse a prenderlo in bocca. L’altro meno. L’ho sentita gemere mentre quello più grosso le entrava lentamente nella fica. Poi lo stesso con l’altro nel culo. L’ho voluta sentire mentre si scopava prima la fica poi il culo, poi di nuovo la fica. Poi glieli ho fatti invertire. Quello grosso nel culo ha faticato. Gliel’ho fatto appoggiare per terra e le ho detto di sedercisi sopra, e spingere, finché non ne entrasse almeno metà. Poi tenendolo dentro di alzarsi e camminare. Il tutto mentre era al telefono. Le ho detto di fare delle foto e inviarmele immediatamente per mms. Che se mi stava mentendo l’avrei punita di brutto. Ma la foto testimoniava di un grosso cetriolo piantato nel culo. La troia stava obbedendo a ogni ordine.
Due giorni dopo ha detto al marito che andava al cinema con un’amica. Il cinema è indispensabile per staccare il telefonino.
Alle 15 siamo all’hotel, ho portato con me una borsa con alcuni “oggetti”.
L’uomo alla reception sulle prime deve pensare che lei sia una nuova puttana. Dato che le ho detto di vestirsi come tale. Così è uscita da casa in jeans e in macchina si è messa una minigonna. E ora fa uno strano effetto: ha le scarpe basse e le calze con la riga dietro, autoreggenti, e una gonna troppo corta decisamente. Un giacchino di pelle e una camicietta. Ha belle gambe ma la sua mise non è appropriata all’ora, al posto. Poi quando l’uomo sente che lei mi da del lei, ci guarda con curiosità. Per un attimo deve avere il dubbio che siamo un manager e segretaria capitati lì per caso assolutamente fortuito. E’ come se volesse avvertirci di qualcosa, ma poi capisce che sarà pure strano ma sempre di sesso si tratta e quindi ci da le chiavi e ci dice che quando abbiamo finito, proprio così dice, possiamo lasciarle sulla porta e uscire anche dalla porta dietro che da sul parcheggio.
Le stanza è molto calda. Sembra pulita. Ma sarà una suggestione però mi sembra si sentire odore di sesso.
C’è una poltroncina, mi siedo. Le dico di camminare su e giù per la stanza. Lo fa.
La tengo in piedi mentre guardo sul telefonino le foto che mi ha mandato. Le dico che voglio essere certo che fosse effettivamente lei, nelle foto.
Senza alzarmi dalla poltrona la faccio avvicinare. Le alzo la gonna e gliela faccio tenere in vita. Le abbasso le mutande alle ginocchia. Confronto le foto con le sue fattezze.
Le faccio aprire le gambe, tiro e apro le grandi labbra. La faccio girare e chinare, apro le natiche e con i pollici controllo il buco del culo.
L’attaccatura dei peli, il colore, un piccolo neo che magari nemmeno sa di avere, un centimetro a destra della rosellina dell’ano, mi conferma che le foto erano proprio sue.
Prendo nella borsa dei guanti di lattice. La tocco con le dita guantate. La metto appoggiata con il busto su un tavolinetto, la gonna sempre sollevata sui fianchi. Il culo scoperto, le mutande al ginocchio. La fotografo. Lei è rossa in viso, il respiro è accelerato, quando con le dita le sfioro le grandi labbra o il vestibolo della vagina sospira. Si apre come un fiore, si gonfia. Diventa più scura e umida. I cambi di stato nell’organo femminile sono meno evidenti di quelli del corrispettivo maschile, ma altrettanto affascinanti. Il dito penetra alcuni centimetri strappandole un gemito e lo ritiro bagnato. Lo porto alla bocca, sapore di fica e di lattice. Ancora dentro prima un dito e poi due e poi nella sua bocca. Succhia le dita, vogliosa.
La bendo con un foulard. La lascio così, mentre vado in bagno, faccio correre l’acqua fino a che non arriva calda al punto giusto. Riempio una sacca da enteroclisma da 2 litri, caldo, abbastanza caldo. faccio uscire l’aria dalla sonda.
Torno di là, appendo la sacca con una gruccia, la faccio alzare e sposto il tavolino in modo che la sonda arrivi e poi posiziono lei di nuovo. In piedi, il busto appoggiato sul tavolinetto.
La sua testa sporge dalla parte opposta, dato che il tavolino è piuttosto stretto e mi permette una variante. Mi metto davanti a lei, apro i pantaloni, tiro fuori il cazzo, che è bello duro da quando siamo entrati nella stanza. E’ anche molto bagnato, di liquido tasparente e appiccicoso, e provvedo a ripulirlo strofinandoglielo sul viso. Mi piace vedere i fili traslucidi come bava che la tengono collegata alla cappella, quando mi allontano. Poi lascio che lo prenda in bocca. Così, in piedi davanti a lei, prendo la cannula e gliela infilo nel culo. Prima devo cercarlo con le dita, bagnarlo, inumidirlo. Lei non immagina nulla. Quando le infilo la cannula si rende conto che non è il dito, ma quando apro il rubinetto, allora trasalisce, cerca di alzare la testa per liberare la bocca, ma la tengo giù.
“Stai giù continua a succhiare da brava bambina… ”
Obbedisce. Prende senza problemi più della metà del clistere. Poi inizia ad agitarsi. Ma la tengo schiacciata sul piano e non la faccio muovere fino a quando l’acqua non è finita. Allora tolgo la cannula. E la benda.
Mi siedo in poltrona con il cazzo durissimo in mano. Le dico di camminare.
Mi piace vederla camminare stringendo le coscie, le natiche strette.
Poi scappa in bagno. Non la seguo. Le lascio questo momento di intimità. Per questa volta.
Ci vuole gradualità.
Sento che si libera. Più volte. Poi che si lava.
Allora entro nel bagno. E’ imbarazzata.
“oddio che vergogna…” dice.
La faccio alzare, la bacio, l’accarezzo. Si calma un po’ e risponde ai baci.
Le faccio prendere in mano il pene, lo indirizzo nel lavabo e le dico: “tienilo” e lascio andare la vescica.
Anche questa dev’essere nuova per lei. Guarda affascinata il pene che tiene in mano e prova ad indirizzare il getto. Le piace.
Trattengo il getto. Con l’indice prendo una goccia che è rimasta sul buchino e la porto verso la sua bocca. Gliela metto sulle labbra.
Se le lecca.
Torno con il dito e lascio andare un piccolo schizzo. Il dito bagnato di nuovo alla bocca. Questa volta lo lecca. Lo succhia.
“leccamelo” le dico, indicandogli il cazzo che si sta indurendo.
Si piega e lo prende in bocca. La scosto ma in modo che la lingua rimanga sulla cappella, e lascio andare, con qualche fatica stavolta, un altro schizzo.
Spontaneamente succhia e lecca. Senza dirle nulla il successivo schizzo glielo faccio in bocca.
Tossisce. Lascia uscire. Ma succhia e lecca e ingoia e vedo che si sta infoiando come una cagna in calore. Ha lo sguardo perso di una che non capisce più niente e le puoi far fare tutto.
La porto di là, la metto sul letto in ginocchio, me la voglio inculare.
L’ho scopata solo per qualche minuto, addossata all’albero, nel parco, e prima di conoscere a fondo la sua fica voglio allargarle il culo in modo che fatichi a camminare. E poi mi intriga l’idea di quelle troie che al marito danno la fica e agli amanti il culo. E pensano, dicono di non tradirlo, così.
Entro a fatica, e lei geme a voce alta. Ma resto poco dentro di lei. Le sue tettone mi intrigano. E ho immaginato una cosa che voglio mettere in pratica.
La faccio spogliare. Poi prendo un collarino di quelli da cane, glielo metto, e a quello attacco un piccolo campanaccio di quelli che vendono in montagna. Non grosso come quelli veri delle vacche. Mi piacerebbe ma non so dove prenderlo. Ben più piccolo e con un suono più acuto. Ma appeso al collo ogni movimento che compie tintinna.
E così, la faccio piegare a novanta gradi, e glielo rimetto nel culo. E il campanaccio suona a ogni colpo che le do. Chissà cosa penseranno gli altri ospiti dell’albergo a questi rintocchi ritmati di campana.
Le prendo le tettone e guidandola con quelle la faccio camminare per la stanza, il cazzo ben infilato nel culo.
“cammina vacca, cammina su e giù… ” e le mungo le tette.
Ogni tanto le prendo i fianchi, la sollevo contro di me in modo da farglielo entrare tutto, e la inculo selvaggiamente.
Si sente solo il suono della campana e i suoi gemiti rochi, profondi.
Poi mi siedo sulla poltrona, con lei che mi si impala sul cazzo e le dico di farsi un ditalino. Cosa che esegue arrivando all’orgasmo in pochi istanti.
Il che mi da la scusa per punirla un po’.
“Non ti avevo detto di venire…”
Allungo la mano verso la cintura dei pantaloni e con quella inizio a frustarla, blandamente, il cazzo sempre nel culo.
Ogni colpo che le arriva stringe i muscoli anali e me lo stringe in una morsa.
Ogni colpo deve ripetere quello che le dico:
“sono una puttana sempre affamata di cazzo”
“sono una che per strada guarda il pacco agli uomini e si bagna a pensare a come ce l’hanno…”
“sono una che a quel punto farebbe i bocchini nei cessi…”
“sono una che le piace farsi sborrare in faccia…”
“che le piace avere l’odore di cazzo addosso…”
“una che ha appena scoperto che le piace farsi pisciare in bocca…”
va avanti un bel po’ questa cosa… e la pelle si arrossa sotto le cinghiate, sui fianchi, il culo, le coscie, le tette…
e con il cazzo sempre più duro aumento il ritmo, la faccio alzare e abbassare, ogni volta il cazzo quasi esce e poi mi ricade sopra di peso, il culo ormai aperto e morbido come una fica…
“ora quando te lo dico ti alzi, me lo prendi in bocca e ti bevi tutto…”
“si…”
trattengo per quanto è possibile l’orgasmo e quando sta per iniziare la sollevo e le dico “adesso…”
lei si gira la prendo per i capelli la spingo sul cazzo e me lo prende in bocca e glielo spingo in gola e vengo… una sborrata lunghissima, troppo trattenuta, un fiume di sborra, schizzo dopo schizzo che lei si affanna a mandare giù deglutendo rumorosamente.
Merita un premio. La metto sulla poltrona e le lecco la fica. Con il medio dentro di lei spingo verso l’alto. Viene tremando come una foglia. Stringendo le coscie, pizzicandosi i capezzoli.
Ci rivestiamo in silenzio. E’ ora di andare. Di tornare alla normalità. lei mette i jeans. Passiamo di nuovo davanti al portiere che sorride, indifferente. Una che è evidentemente una puttana guarda lei, sospettando una possibile concorrente. Chiama l’amica che le tiene il gioco. Si fa raccontare il film.