Spogliati
– Spogliati … dai spogliati … –
Le uniche parole che riuscivo a dire: la gola secca, arsa dal desiderio, mi dava la sensazione che fossi in un deserto e lei fosse la mia oasi…la mia salvezza.
Seduto su quella poltrona nera in similpelle, sentivo il mio sudore bagnare la fronte: la mia eccitazione non cresceva più, era arrivata all’estremo da diversi minuti, da quando lei, entrando in casa, aveva creato l’atmosfera giusta.
Coperta da un leggero vestito a fiori che le arrivava fino al ginocchio, lasciava trapelare le sue forme nascoste da niente creando una visione assolutamente paradisiaca ed estremamente intrigante.
Nessuna parola a interrompere la simbiosi sensuale che si era creata: mi aveva fatto un cenno con quelle sue dita affusolate, facendomi capire che dovevo mettermi a sedere, poi, aveva cominciato a muoversi sinuosamente davanti a me con movimenti silenziosi, seguendo una musica immaginaria. Io, immaginavo il “Bolero” mentre lei si accarezzava indecentemente il corpo e soffrivo a vederla fare quello che avrei voluto fare io.
Le sue dita scivolavano sul viso ed entravano tra le sue labbra con un movimento quasi osceno che riproduceva un rapporto orale voluttuoso; mi guardava con quegli occhi pieni di desiderio e languidamente succhiava le sue dita una a una come quando si mangia una costoletta di maiale e poi ci si ripulisce avidamente, solo che il movimento del risucchio era estremamente più lento e provocante.
Guardavo quelle labbra attorno al dito e stringevo le cosce pensando a cosa mi avrebbe fatto di lì a poco:
– Spogliati … – la mia richiesta era ormai una supplica, la voce sempre più tremante e flebile, completamente perso alla visione di quelle dita.
La finestra, dietro di lei, creava giochi di luce sul vestito dando parvenze di trasparenza che evidenziavano le sue cosce ancora coperte; intravedevo la fine delle gambe e l’inizio del mio desiderio e percepivo chiaramente che era completamente nuda sotto quella leggera stoffa.
Faticavo a restare fermo come mi aveva chiesto, avrei voluto alzarmi e prenderla subito, anche in piedi, pur che potessi scoparla.
Pensavo che gli ordini fossero fatti per essere infranti … e avevo seguito il mio desiderio.
Mi ero alzato per andarle incontro e sfogare la mia passione, ormai all’estremo della resistenza:
– Torna a sedere e guardami, se no esco e non mi vedi più ….-
Sgomento ero rimasto a un metro da lei, sconfitto, umiliato dai miei piaceri, ero tornato a sedermi per guardare il suo gioco erotico.
Le dita lasciavano la bocca, accarezzavano con calma le labbra increspate, scorticavano il rossetto e scendevano sul collo; lei danzava leggiadra la sua musica personale, le anche ondeggiavano ascoltando un ritmo solo a lei concesso.
I capezzoli, irti e duri, spasmodicamente spingevano sotto il vestito; all’altezza dei seni un fiore sembrava prendere vita e, a guardare in quella stanza offuscata, ci si poteva perdere e credere davvero che il fiore del vestito avesse preso vita sotto la spinta dei capezzoli.
Le dita arrivavano sulle forme dei seni opulenti e giocavano con la tenera carne che, sotto la spinta delle mani, ballavano il loro concerto sessuale.
In quel silenzio spasmodico, altamente afrodisiaco, mi sentivo come a un rito tribale di una tribù africana, dove il tempo portava alla pazzia dei sensi: la testa reclinata all’indietro, uno sguardo perso nel tempo e un movimento del corpo da felino erano erotismo puro.
Le mani soppesavano i seni deformandoli, le figure sinuose che si creavano erano attacchi violenti per il mio languore al basso ventre e cercavo di inghiottire aria per resistere.
” Spogliati … –
Non c’era più niente di maschio nella mia richiesta, era ormai una cantilena disperata lanciata a quella femmina dominatrice.
Lei, per tutta risposta, faceva scendere le mani dai seni e le portava sui fianchi, dove, accarezzando il vestito, aveva preso a danzare con lo stesso; le dita afferravano i lembi di stoffa leggera e avevano cominciato ad alzarne gli orli.
Poi, come punta da un serpente velenoso, aveva cominciato a dimenarsi senza logica: guardavo esterrefatto quei movimenti completamente perso, slacciandomi i calzoni e mettendo in libertà il mio sesso fremente.
Come se quella mia improvvisa iniziativa l’avesse riportata alla realtà, aveva smesso di danzare e mi guardava dritta negli occhi; se non avessi saputo chi era, sarei scappato via, talmente il suo sguardo era possessivo.
Invece rimanevo lì a guardare la mantide religiosa nutrirsi del suo maschio.
Aveva alzato delicatamente i lembi di stoffa fino a portarli sopra l’inguine, mostrando il suo pube depilato; le grandi labbra, gocciolanti di umore, luccicavano come la sua pelle sudata: aveva mosso le gambe e veniva a prendere il suo piacere.
La tela del ragno…questo era il mio pensiero mentre si avvicinava, la guardavo senza forza alcuna: completamente succube di quella donna, aspettavo di sentirne il corpo.
Guardavo le sue gambe tornite, abbronzate, che salivano sopra le mie cosce, poi, le dita avevano lasciato gli orli del vestito e la stoffa era cauta a coprire le sue cosce proprio mentre le sue grandi labbra, assetate anch’esse di desiderio, si appoggiavano al mio membro teso.
Aveva messo le sue mani sulle mie, le aveva incrociate e poi, guardandomi sferzante negli occhi, si era lasciata cadere.
Sentire la sua morbida carne aprirsi e farsi strada, era una sensazione indescrivibile.
Ero l’ape operaia che nutriva la sua regina e con piacere, pur sapendo di essere solo un oggetto, andavo incontro al mio destino.
Ero stato scopato per interminabili minuti, cercavo di dare tutto in quel rapporto conturbante e misterioso.
Diverse volte avevo sentito la sua voce, i suoi tremori scuotere il silenzio, poi, la mia resistenza aveva avuto termine ed ero venuto in lei.
Senza fiato, completamente svuotato di ogni energia, stavo a guardarla mentre allontanandosi da me, si rivestiva.
Poi l’avevo guardata uscire dalla stanza.
Ero rimasto sconvolto da quel suo modo di possedermi e in seguito, tutti i giorni tornai in quel luogo, sperando di incontrarla ancora, cercai in ogni luogo il suo viso, ma dovetti arrendermi.
Ancora oggi, ripensando a quella notte, mi domando quanto di vero vi sia stato’
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