UNA LEI ATTRAVERSO SPRAZZI DI MEMORIA EROTICA
E fu così che capii che aveva soprattutto bisogno di sentirsi donna nella compiutezza della parola, e, cioè, anche femmina.
Sprazzi di ricordi della prima volta tra noi, quando ancora non si era aperta del tutto e si celava dietro il suo modo di fare estremamente riservato, non facevano che confermarmi questa sua voglia, che non affondava in quella del ‘sesso’ o di ‘fare sesso’, ma nell’esigenza di riaffermare la sua personalità in ogni suo aspetto, non escluso quello ‘sessuale’.
E fu così che ‘ stupendomi, ma dandomi anche una chiave di lettura importante ‘ in uno dei nostri primissimi incontri, quasi giocasse, ma senza liberarsi del tutto dal freno del pudore,cominciò a chiedermi il significato di alcune espressioni ‘dialettali’.
Volle sapere del ‘bocchino’, della ‘spagnola’, della ‘pecorina’, del ‘ditalino’ e’non nascondo che all’inizio, provandone anche eccitazione e pensando che fosse un gioco erotico inventato all’istante per dare più calore al nostro incontro, non sospettai affatto che fossero denunce indirette del suo rapporto grigio e piatto con il marito.
Mi confessò, mentre le spiegavo ovvero le davo conferma del significato delle varie espressioni, che non riusciva a prenderlo in bocca perché le veniva un senso di nausea, anche se non nascondeva che le sarebbe piaciuto’ma con un uomo che la riscaldasse e non che le chiedesse attività e posizioni, quasi come adempimento da manuale. E ne ebbi conferma nei rapporti e in tempi successivi, quando, cioè, non riusciva a celare come le piacesse succhiare le dita, soprattutto dopo che queste le avevano sfiorato e carezzato dolcemente le labbra, che sapeva dischiudere e serrare con maestria.
Scivolò, quindi, il discorso sul marito e fu evidente che si riferisse alla sua insufficienza non nelle prestazioni ( altri tipi di dubbi emersero in seguito) ma nel modo di viverle e fargliele vivere.
In quella circostanza le avvicinai le dita alla bocca, le sfiorai le labbra, le stimolai come lo facessi con il mio fallo, glielo sussurrai all’orecchio, invitandola a succhiare, mentre con l’altra mano le carezzavo la fessura, che inumidendosi e diventando sempre più scivolosa mi trasmetteva il suo crescente piacere e, nel farlo, m’invitava a continuare.
E, infatti, risucchiò le mie dita all’interno della bocca, le carezzò con le labbra con movimenti della testa lenti ma precisi, mentre io le muovevo carezzandole ora la lingua, ora l’interno delle guance, facendogliele avvertire come un pene che la cercasse”mentre lei stessa illusoriamente lo possedeva avvolgendolo di calore. Che le desse piacere non era dubbio, che fosse innamorata dell’idea del pompino era palese : tutto diventava più eccitante perché misterioso rispetto agli sviluppi futuri dei rapporti orali che avrebbe potuto avere.
Eccitata e presa dal vortice delle sensazioni dischiudeva le cosce, aprendosi e quasi invitandomi a riempirla e prenderla’..Era un ulteriore segno che le sarebbe veramente piaciuto darmi piacere con un pompino, che lo avrebbe fatto con tutta l’anima e la passione perché sentii che adesso si sentiva femmina e donna e che il gioco dell’amore, quello che dalla mente e dalla percezione del pensiero si trasferisce al corpo e lo inonda con stimoli diversi e piacevolmente forti, le era mancato forse da sempre.
E fu così che anche la mia fantasia si centuplicò, avvertii che si potevano percorrere insieme cento e più sentieri inesplorati, che non si concludessero nella classica ‘scopata’ , ma in qualcosa di molto più grande e prezioso e, cioè, in un aspetto stesso di vita, di pienezza dell’essere e dell’esistere.
Io stesso negli anni precedenti non avevo potuto trasmetterle tanto, avevamo avuto rapporti saltuari, anche se innestati in una continuità d’intesa e di reciproco afflato.
Rapporti vissuti nei posti più impensati e nelle condizioni più difficili, talvolta.
Erano però stati sempre intensi, sempre pieni e carichi di reciproca passione, avvolti, comunque, dal mistero dell’incontro, mai programmato, anche se atteso e nell’attesa stessa pregustato, forse, da entrambi ed affidato al silenzio dell’intesa .
In essi, se non tutti, aveva tentato di comunicare, dai ricordi emerge un’ immagine di lei che viene a trovarmi”non dico dove.
Non era certo un posto dove ci s’incontra per fare l’amore.
Dopo un po’ ci rifugiammo in una delle tante stanze, rinchiusi la porta, l’avvicinai a me e le carezzai le cosce infilandole la mano sotto la gonna, risalii la seta delle calze e ‘..a un tratto sentii la pelle nuda, al tatto mi si rivelò una giarrettiera, aveva indossato un reggicalze.
Fu una sorpresa, non era più in uso né in voga, ingiustamente soppiantato dai comodi e pratici, ma tanto meno attraenti, collants.
Le carezzai le natiche, intrufolandomi sotto le mutandine, le risalii il solco posteriore, non osando carezzarla sul buchino ( lo violai , o meglio lo possedetti qualche anno dopo ), e scivolai al di sotto della camicetta, giocando con le dita e con i palmi sulla schiena.
Il suo pube batteva contro di me e il mio fallo avvertiva la pressione e il calore della sua vicinanza.
Era un caldo che si trasmetteva attraverso la stoffa e pur penetrava la mente, cresceva con il crescere del suo abbandono, con il suo dischiudere le cosce alle carezze interne delle mie mani e alla mia stessa coscia che s’introfulava tra le sue, che scorrevano di lato stringendola con pressioni diverse, carezzevoli e stimolanti più di cento parole d’invito.
Sapevo e sentivo che le piaceva prenderlo tra le cosce, stringerle intorno al mio pene, avvolgerlo appena al di sotto della fessura, sentendolo inturgidire e poi scorrere tra il nailon delle calze e la nuda pelle, appena al limite dell’attacco delle giarrettiere e le chiesi come mai fosse in reggicalze e nella risposta lessi anche una nota sottile di rivalsa nei confronti del marito e la sua necessità, intima e non confessata, di riscattarsi dalle tante mortificazioni che aveva da lui subite come donna e come femmina.
‘Me lo ha regalato mio marito’.’ mi disse ( mentendomi ) e rispose con una stretta di natiche al mio carezzarle la fessura passandole con la mano dal dietro verso l’avanti.
Si era creata , in una situazione quasi assurda come logistica, una condizione estremamente profonda di sensualità che affondava anche in una particolare situazione psicologica che aveva bisogno di essere soddisfatta e appagata.
E non solo da parte sua, ma anche da parte mia : sembrerà strano, oppure sembrerà solo la conferma di quanto possa essere difficile comprendere il percorso della mente, ma mi dispiaceva che quell’uomo l’avesse mortificata tanto e lo disprezzavo anche per questo e un pensiero sottile di vendetta, che sembrava venire anche da lei, mi attraversò la mente, così anche negli anni successivi, dopo che lei mi confidò che aveva il sospetto che il marito avesse rapporti omosessuali.
Non ebbi mai il coraggio di dirgli cosa coglievo, ma tenterò di dirlo qui adesso che narro a me stesso alcuni momenti di questa storia stupenda d’amore, così complessa perché vera; così difficile perché fuori del comune in quanto vissuta dentro, nell’intimo di entrambi, prima ancora di essere celebrata negl’incontri ravvicinati d’amore. In più di una circostanza, nei tempi successivi all’immagine di cui ho narrato, ebbi da lei la sensazione che non le sarebbe spiaciuto affatto che quell’uomo sapesse, nel senso che toccasse con mano, quasi vedesse, quale femmina era in lei e quale donna aveva trascurato e mortificato.
Non era certo un moto esibizionistico ( non era affatto il tipo) né una puntata di voyeurismo, ma la rivalsa della donna costretta per anni ad essere solo il momento dello sfogo eterosessuale di un ambivalente, che non le dava null’altro, neanche nei momenti routinari di vita, anzi che le disegnava sempre e comunque il senso e il tempo della nullità.
E da come lei aveva intuito e narrato aveva capito che l’omosessualità del marito fosse rivolta ad un’attività certa di tipo passivo, e questo l’offendeva ancor più, oltre che a disgustarla nel profondo dell’anima.
Fu così che in un rapporto feci appena cenno al suo desiderio di rivalsa e dal suo silenzio, o, meglio dal suo corrispondermi, capii che non avevo intuito male , anzi”’
Era distesa ‘ non dico dove , ma non su un comodo letto ‘ ed aveva le gambe strettamente legate alle cosce, ripiegate all’indietro: una benda le impediva di vedere, così come a lei piaceva. Il candore delle natiche contrastava con il nero fumo delle calze autoreggenti e sussultava di piacere ogni qualvolta le passavo le labbra umide lungo il canale del culo, per poi stimolarla con la lingua tra la fessura e il buchino, che le piaceva carezzassi a lungo esternamente e nel contorno, facendole di tanto in tanto avvertire la pressione di un dito, senza penetrarla del tutto. La voglia di stringere le cosce cozzava con le corde e questa costrizione che la ‘costringeva’ all’attesa aumentava la voluttà ,era sofferenza per il freno che imponeva , ma anche piacere sottile per il desiderio che faceva crescere ‘e non solo in lei, che cosciente delle sensazioni che scatenava in me , stava al gioco meravigliosamente aumentandolo d’intensità. E le piaceva che la mano corresse dal dietro al davanti, le risalisse le natiche nuovamente, gliele frugasse all’interno per poi volare alle labbra che si aprivano per accogliere le dita come un cazzo da succhiare . E attendeva che le stesse , inumidite dalla sua bocca accogliente, scivolassero lungo il collo, lente e stuzzichevoli, per soffermarsi intorno alla rosellina dei capezzoli, sempre più duri e desiderosi di stimoli, acme di un desiderio scritto sulla sua carne e pronto ad esplodere in una crescita irrefrenabile ad ogni carezza chele impalmasse ora un seno, per intero, e ora l’altro.
E fu così che mi venne di darle una possibilità psicologica di vendicarsi delle mortificazioni del marito, sapevo, infatti, che non mi avrebbe mai detto che le sarebbe piaciuto ‘ ma non sessualmente o per variante trasgressiva erotica ‘ che la vedesse così donna, così femmina, così ricca di vitalità sessuale, così capace di dare e avere piacere in un rapporto fuori dagli schemi e dall’usualità banale del ‘dovuto’.
Le dissi : ‘ tuo marito non ha mai capito quanto fosse bello renderti troia’. E da lei, che capì cosa intendessi e non se ne ritenne offesa’,anzi se ne eccitò nel senso e nella complicità dell’affermazione, venne una risposta di conferma nel dirmi ‘ si e lo sono per te ‘.
Non osai, non andai oltre, anche se, forse, la delusi, perché in quel gioco di rivalsa della sua femminilità avrei dovuto continuare così come la mia fantasia e la mia capacità di farle vivere, e vivere con lei, mille situazioni, o meglio mille sensazioni, mi avrebbe e ci avrebbe consentito.
Avrei dovuto costruirle una situazione solo immaginaria di ‘visione’ del marito del suo essere donna, non del suo giacere o soggiacere, ma del suo essere, della riaffermazione nelle carezze, nel gesto erotico, nella dazione e nella richiesta , della sua personalità compiuta.
Si sarebbe ancor più riappropriata di quello che lui le aveva frodato per anni.
Fu così che giunse l’orgasmo, potente e forte, unito al suo crescente desiderio, alla sua consapevolezza di essere pienamente sentita nella sua personalità, di possedere e essere posseduta nell’interezza della sua sfera fisica e psichica, né le catenelle che le legavano i polsi potevano impedirle di esprimerlo con voluttuose e penetranti carezze e strette al mio pene, sul quale si rinchiusero le mie mani quasi a fondersi con le sue in un gesto che non ammetteva più confini.
E pensai, così, anche all’altro aspetto , a quello della omosessualità del marito. Anche questo si sarebbe dovuto risolvere in una specie di sublimazione, di catarsi gestuale. Ma di questo parlerò nella seconda parte di questa mia breve storia.
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