Il giorno dopo mi svegliai tutta sudata col pensiero che ora ero diventata una laida bagascia per davvero. Peraltro quel nascosto ed incredibile senso di soddisfazione interiore che continuavo a provare mi faceva stare ancora più male. Avevo il groppo in gola a quella sensazione! Per non parlare poi del bruciore insistente al culo che non mi era minimamente passato, anzi sembrava aumentato e quel fastidio rimaneva lì, come un monito, a ricordo delle mie malefatte. Che gran pasticcio avevo combinato. Il non sentirmi più intatta per Francesco mi creava un gran disagio e mi faceva sentire in colpa ed abbattuta. Se poi pensavo che mi avevano anche pagata …….. Sentii le lacrime cominciare a scendermi sul viso. Fu così che mi trovò Francesco quando aprì gli occhi.
“Rosa, amore mio, ma cosa fai? Che ti succede?”
Accese l’abatjour, si sedette sul letto e facendomi una carezza, col pollice mi asciugò la lacrima che scendeva a rigarmi il volto.
“Che mi succede? Ma non vedi che sta andando tutto a rotoli. Lo so che tu ne hai già le scatole piene di una come me.”
“Ma cosa stai dicendo sciocchina. Pensi che basti così poco perché io possa fare a meno di te. Ma non hai ancora capito che tu sei la mia vita e che lo sarai per sempre. Cosa ti prende? Non mi conosci ancora? Ti ho davvero dato questa impressione? Vedrai che passerà anche questo momento e fra qualche tempo ci rideremo pure su al ricordo.”
“No, io non ti merito. Io non ti merito più.”
E scoppiai in un pianto dirotto, nascondendo il mio viso sulla sua spalla. Fui tentata in quel momento di confessargli tutto, di liberarmi la coscienza e porre fine a tutta quella storia equivoca e che mi avrebbe irrimediabilmente condannata per sempre ai suoi occhi. Ma in quel mentre, muovendomi, la camicia da notte mi si aprì e lui ne approfittò per accarezzarmi il seno che svergognatamente aveva rotto gli indugi e fatto capolino dalla mia scollatura. Fu come un’eccitante frustata. Mentre io attenuavo i miei singhiozzi, lui prese ad accarezzarmi con la mano larga quella tetta, stringendomi a forbice il capezzolo tra l’indice e il medio che cominciò a gonfiarsi e spingere, sporgendo irto e già dolorosamente tronfio. Era la prima volta che ci eravamo spinti tanto in là con le carezze. Sentii il desiderio irrefrenabile di baciarlo e lo indirizzai, chiudendo gli occhi, alle mie labbra, guidando dolcemente la sua nuca verso di me. Fu come un’esplosione silenziosa che mi deflagrò in mezzo alle gambe dove già mi sentivo ribollire. Ero stupita; non ci eravamo mai baciati con tanta dirompente e lussuriosa bramosia. Sentii che stavo allargando inconsciamente le gambe e presa da una voglia irrefrenabile, mi impossessai della sua mano portandola sul mio grembo. Io avevo l’abitudine fin da piccola di dormire senza slip, ma il terrore si impossessò di me quando mi ricordai improvvisamente di essere depilata a sua insaputa.
“Non senti niente di diverso nella mia cosina?”
Gli sussurrai azzardando all’orecchio e cercando di parare il colpo in qualche modo.
“E cosa dovrei sentire?”
Mormorò lui con un fil di voce, rapito e beato, con gli occhi chiusi.
“Che lì sotto mi sono fatta barba e capelli, che mi sono depilata. Lo sai che la nonna mi diceva che dormire senza le mutandine era tanta salute per la mia farfallina e la salvava da malattie e infezioni, allora ho provato anche a togliere un po’ di peli. Non si sa mai, potrebbe anche far bene per quell’altra cosa.”
Avvertii che ora mi stava palpando con attenzione. Per un attimo sentii anche le sue dita entrare laddove non si erano mai addentrate. Lui si staccò e sempre tenendomi la mano a palparmi la fica e l’altra aggrappata alla mia tetta, mi guardò col suo sorriso aperto e mi disse:
“Sei umida. Ti prego, mi fai vedere come sei fatta lì sotto?”
“Ma sei matto? Non si fanno queste cose. Sono sconcezze.”
“Sì, lo so. Noi le abbiamo sempre considerate così, ma io non posso pensare che sia pernicioso il grande desiderio che ho di conoscere ogni centimetro di te.”
Magari ci conoscessimo anche noi, pensai e subito mi vennero in mente le mie suore e Adamo ed Eva. Loro mi avevano insegnato il significato biblico di conoscersi, estendendone il significato alla procreazione. Certo anch’io volevo conoscere una buona volta mio marito, ma io, più volgarmente, volevo solo che mi chiavasse e mi facesse godere con lui. Com’ero cambiata in pochi giorni!
Non c’era mai stata un’intimità così spinta tra di noi e per fortuna non aveva sospettato niente sulla mia depilazione. Però aveva ragione, anch’io morivo dal desiderio di vederlo. Gli rimandai il mio sorriso e alzandomi dal letto sempre guardandolo mi avviai alle finestre chiusi la sua abatjour e alzai le tapparelle allagando la stanza alla luce del mattino. Poi mimando una danza che voleva essere sensuale, ma che probabilmente risultò solo goffa, mi sfilai la camicia da notte rimanendo nuda per la prima volta a farmi ammirare da lui in piena luce. Senza vergogna apparente, ma avvertendo il tremore diffuso dall’emozione e lasciai che mi guardasse.
“Sei bellissima.”
Mi guardò affascinato, poi si avvicinò a me, mi abbracciò e ci baciammo nuovamente con l’ardore di una fiamma che avvertivo inestinguibile.
Mi resi conto dai suoi movimenti che con fatica, sempre baciandomi, lui stava faticosamente liberandosi del suo pigiama. Quando smise di agitarsi capii che ora eravamo tutti e due nudi. Ora era l’eccitazione che ci faceva tremare tutti e due. Gli guardai il cazzo e lo vidi finalmente bene per la prima volta. Era maestoso. Lo osservai attentamente e mi fu implicito paragonarlo a quello di Johnny e nel confronto non mi sembrava proprio che ne uscisse perdente. Mi pareva anche esteticamente più bello; aveva una forma curva verso l’alto che gli dava imponenza. Mi sentivo colare e portai una mano a tastarmi, ma trovai la sua ad intercettarmi e continuammo insieme in quel gioco a rimpiattino, finché agguantai anche qualcosa che non avevo mai bramato così tanto. Ora era mio e lo sentii vibrante tra le mie dita, gonfio e turgido come non mai. Era bellissimo stringerlo ed era solo mio, ma così grande forse mi avrebbe davvero scardinato.
Staccai il mio corpo da lui tenendomi sempre lo scettro stretto fra le dita, lo costrinsi a sdraiarsi sul letto. Lui faticava a guardarmi e a sostenere il mio sguardo mentre lo tenevo in tensione e chiuse gli occhi. Da buona scolara, ricordai ciò che Luana mi aveva insegnato e dopo averlo scappellato cominciai a farlo affondare nella mia bocca che allargai il più possibile, nella speranza vana di farlo entrare tutto.
“No, no. Non così. Ti prego.”
Mi fermai improvvisamente.
“Perché non ti piace quello che sto facendo?”
“No, non è quello. Mi piace immensamente, ma non voglio che tu possa sentirti umiliata.”
“E pensi davvero che io possa sentirmi umiliata a fare qualcosa che a te, come hai detto, piace immensamente? E se piacesse anche a me?”
“Ma queste sono cose che fanno le donnacce ….”
“E io sono una donnaccia?”
“Ti prego, non confondermi. Tu non sei per niente una donnaccia, ma …….”
Ma questa volta guardandolo malignamente con occhi insinuanti e facendomi guardare affondai la mia bocca sul suo cazzo e cominciai a pomparlo predace. Il gusto e l’odore di sesso che stavamo esalando, mi stavano facendo ubriacare.
Lui mi guardava estasiato e io cercavo di superarmi succhiandolo meglio che potevo. Lo affondavo il più possibile nella mia bocca e poi uscivo per leccarne la lunga asta come un gelato, passando a gustare uno per uno i suoi gonfi testicoli, per poi ricominciare, mulinando la lingua attorno al frenulo, facendolo affondare nuovamente nella mia bocca. Quando cominciò ad agitarsi sul letto capii che era quasi giunto il momento. Lo sentii arrivare prepotente, avvertendo in bocca le sue contrazioni. Mi lasciai riversare sul palato i suoi primi schizzi, per poi farlo terminare sul mio volto e sui miei capelli. A quel punto lo costrinsi con la mia mano a concludere quell’esplosione con una sega.
Lo guardai mentre godeva: era bellissimo. Lo faceva senza articolare una parola, solo ansando forte, con gli occhi che guardavano, ma non vedevano. La sua sborra odorava di muschio; aveva qualcosa di selvatico, ma allo stesso tempo era acidula, con una consistenza densa e collosa.
Quando ritornò dal suo stato di beatitudine, mi guardò serio.
“Sei stata grande, Rosa. Sei proprio come ho sempre sognato che tu fossi.”
“Intendi dire che mi hai sempre sognato come una porca?”
Gli dissi ridendo, facendolo arrossire come un peperone.
“È così che avrei voluto che fossi, ma non l’avrei mai sperato e non credevo che lo saresti mai stata. Anzi, ho sempre pensato che realizzare ciò che tu hai realizzato, non sarebbe mai stato in sintonia con la nostra vita. A dire il vero pensavo al nostro modo di fare sesso come ad una cosa calma e normale, con una certa monotonia, ma tu mi hai davvero sbalordito. Tu sei proprio travolgente.”
“E se vuoi puoi chiamarmi Bocca di Rosa anziché solo Rosa.”
Ci facemmo una risata insieme, tenendoci stretti per la mano.
“Senti, se io mi prendessi la giornata di ferie, tu potresti chiamare la signora Elisabetta a che ti sostituisca in negozio?”
Lo guardai con gli occhi che mi brillavano. Presi il cellulare, la chiamai e per fortuna la trovai disponibile. Sentii lui telefonare in ufficio nell’altra stanza. E quando lo vidi ritornare sorridente capii che era fatta. Lo baciai con ancora la bocca che sapeva della sua sborra e mentre lo facevo, con la mano mi ero già impadronita del suo scettro che ora aveva la consistenza di una grossa polpetta, ma sapevo bene come fare per riportarlo al suo splendore. Lui mi guardò felice e con un fazzolettino cominciò a togliermi i grumi di sborra che avevo ancora fra i capelli e sul viso.
“Forse è meglio se ti fai una doccia. Non è molto efficace il fazzoletto per togliertela bene. Non capisco perché l’abbiamo fatto solo ora. In effetti non è cambiato niente, ma sapessi come mi sento felice oggi con te.” Come potevo dirgli che era tutto merito di Luana.
“Vieni ho voglia di caffè. Non abbiamo ancora fatto colazione e per la doccia c’è ancora tempo.”
E tutti nudi ci dirigemmo verso la cucina.
Facemmo colazione seduti uno di fronte all’altra, ma senza alcuna vergogna e mi fu normale allungare il piede e solleticargli il cazzo con le dita dei piedi. Ci ritrovammo nudi, sul letto come se fosse stata la cosa più normale di questo mondo, uno accanto all’altra, tenendoci per mano a chiacchierare su quegli ultimi grandiosi avvenimenti. Era da qualche giorno che avevo la sensazione di qualcosa di diverso; come se tutto fosse tornato a posto, ma avevo un timore scaramantico a provare. Poi cominciai a palpargli il cazzo con delicatezza e lo sentii pian piano lievitare nelle mie mani. Avvertimmo tutti e due che l’atmosfera stava nuovamente cambiando. Lo guardai crescere e gonfiarsi pian piano. Il confronto con quello di Johnny mi ritornò nuovamente istintivo e devo dire che mentre lo stavo gioiosamente manipolando, quel confronto che intimamente sapevo a favore di Francesco, mi rendeva felice.
“Sai? Il mio desiderio più grande era avere una donna accanto come te, ma ne avevo una paura matta perché le donne così pensavo fossero pericolose. Io ti conosco bene e oggi mi hai fatto l’uomo più felice di quanto tu possa immaginare.”
Fu allora che mi ripetei e azzardando usai con lui un vocabolario che non ci era usuale:
“Tu mi vuoi davvero puttana?”
Lo vidi nuovamente arrossire.
“Sì. Volevo una puttana, ma solo per i miei sogni, ma sapevo bene che se mia moglie fosse stata così davvero, avrei probabilmente avuto una vita piena di pene. Quando ho conosciuto te, ho subito capito che saresti diventata mia moglie perché sono felice quando sono con te e non ho bisogno di parlarti per farti capire i miei pensieri. Sono certo che tu sarai la madre dei miei figli, anche se mai avrei pensato a te come una da dover condividere con altri e oggi sei stata una meravigliosa sorpresa.
“Perché? Vorresti davvero condividermi con altri?”
Gli dissi sorridendo e lui, di rimando e sorridendo:
“Non fare la gnorri che hai capito benissimo. Oggi in te io ho scoperto la donna ideale che non sapevo neppure io di aver sposato.”
E ci sciogliemmo in un bacio che casto non era, ma romantico a tal punto da far accelerare il battito dei nostri cuori che ci risuonavano come un rombo nelle orecchie. Mi allungai aprendo il cassetto del comodino e presi il tubetto di crema. Lo avevo messo lì ancora prima di sposarmi, ma non mi era mai servito. Me ne spalmai una buona dose, per quanto potevo anche dentro la fica che già trasudava umori in quantità. Non so perché, ma ero fiduciosa che quegli spasmi che mi avevano avvelenato la luna di miele e quegli ultimi tre mesi, fossero scomparsi per sempre, ma se non era vero sarebbe stato troppo atroce.
Il suo cazzo era bello, duro e arcuato verso l’alto: un vero spettacolo degno di Priapo. Spalmai anche lui, mentre Francesco mi guardava. Il momento era giunto e mi sentivo tesissima. Mi stavo domandando sa sarei riuscita a farlo stare tutto dentro, ma soprattutto se quei dolori mi avessero ancora aggredito mi dissi che sarebbe stato meglio morire. Mi sollevai e mi misi a cavalcioni su di lui guardandolo. Ci trovammo a guardarci senza dire una parola per un tempo infinito, col rimbombo assordante del cuore che mi martellava le tempie. Poi guardai il suo cazzo che ora mi faceva vedere tutte le sue vene come scolpite e in rilievo; lo presi con una mano, ma era troppo grande allora aggiunsi anche l’altra, mi sollevai sulle ginocchia e lo posizionai sulla mia fica. Trovò subito da solo l’ingresso e pian piano cominciai a farlo entrare, abbassandomi. Ancora niente. Quando avvertii come delle punture di spilli, mi fermai risollevandomi lo feci quasi uscire. Mi parve però che ne fosse già entrato più di quello che supponessi e non avevo provato nessun spasmo come in passato. Riprovai ancora a scendere e questa volta affondai di più e allora ripetei ancora e ancora e quelle punture di spillo pian piano cominciarono a scemare, lasciandomi la sensazione di un’intima felicità. Quando mi alzavo sulle ginocchia per farlo uscire ora lo vedevo tutto intriso dalle mie secrezioni che lo avvolgevano; lucido e biancastro, ma anche striato di rosso: ecco non ero più vergine. Mi esplose il cuore e allora ruppi ogni indugio e mi lasciai scendere su di lui facendo entrare tutta quella lunga spada in profondità a forzarmi. Non sentii il dolore lancinante che credevo, ma rimasi senza fiato dalla sorpresa di essere finalmente arrivata in fondo. Avevo la percezione anche visiva che ora era tutto dentro. L’effetto era solo un leggero bruciore, ma una sensazione di pienezza nella mia carne che sentivo tesa e piena e che mi faceva sentire, insieme a Francesco, come un’unica entità. Ora eravamo davvero uniti in un corpo solo. Senza rendermene conto, ora davo colpi poderosi perché mi entrasse dentro sempre di più. Non me lo aspettavo quando arrivò, ma riconobbi subito il lampo ed ogni mia cellula esplose di gioia in quell’attimo. Avevo perso, come le altre volte, il senso dell’equilibrio e non sapevo definire se ero o meno capovolta. Sentii l’aria mancarmi e mi ritrovai impaurita al rumore del mio rantolo per inspirare più aria perché i miei polmoni ne richiedevano ancora di più. Sentii la mia risata rimbombarmi nelle orecchie e udii la mia voce che gridando mi penetrava nelle orecchie:
“Ancora, ancora. Non ti fermare. Ti prometto che sarò sempre la tua puttana.”
Ma non potevo essere io quella che gridava.
Non capivo più niente, avevo perso qualsiasi appiglio con la realtà e quando pensavo che tutto si stesse attenuando, la gioia mi accarezzò un’altra volta, col suo lampo abbagliante che mi ricacciò in quel labirinto dal quale non ero più capace ad uscire. Ogni volta che finiva, quel sole bianco abbagliante mi tornava a ghermire, sconvolgendomi e ricacciandomi in cima al precipizio per poi scagliarmi nuovamente giù con violenza in quel turbine.
Mi ritrovai stesa su Francesco che sembrava dormire, tutta bagnata di sudore; o forse non era solo sudore? Sentivo le gambe tremare, ma non riuscivo ancora a governarle. La spossatezza che mi aveva presa d’assalto mi permetteva appena di aprire gli occhi con fatica. Vidi Francesco aprire gli occhi e guardarmi; feci uno sforzo per sorridergli e con un filo di voce gli mormorai:
“Che te ne pare? Credo di aver superato la prova, vero?”
“Sei incredibile. Mi sento uno straccio.”
Poi cercò di farmi muovere da sopra di lui e capii che, anche se ora ero tutto finito, il suo scettro, per quanto si fosse ridotto, era ancora dentro di me. Quel pensiero mi fece ridere.
“Ora puoi anche riprendertelo.”
Con una mano lo feci uscire del tutto e fu come togliere il tappo ad una bottiglia perché mi resi conto di essere immersa in un’incredibile profusione di umori.
Che pasticcio avevo combinato. Mi era successo un’altra volta.
“Presto Francesco alziamoci che abbiamo quasi allagato il letto. Dobbiamo pulire tutto. Speriamo che le traverse abbiano salvato almeno i materassi; li abbiamo appena comprati e pagati un occhio.”
Con fatica dopo circa mezzora eravamo seduti in salotto ancora tutti nudi ed esausti.
“Meno male. I materassi erano appena umidi. Speriamo che una volta asciutti non restino aloni. Accidenti, non sapevo di aver perso anche tutto quel sangue.”
“E già carina. La colpa è tua. Dovevi deciderti prima a perdere la tua verginità.”
“Ah, è vero. Ora non sono più vergine.”
Ci guardammo e scoppiammo a ridere a crepapelle.
“Te l’avevo detto che ci avremmo riso su. Vedi? Sei stata incredibile. Quando ho capito che stavolta tutto era a posto, devo dire che avevo paura di non essere all’altezza di farti felice.”
Ero felice e sapevo che lui era come me: ora però dovevo sbozzarlo.
“Con farmi felice intendi dire farmi godere?”
“Sì, ma quando ti ho visto godere, ho continuato a …. a …..”
“A chiavarmi?”
“Sì, a chiavarti e ho continuato ancora per dieci minuti, mentre tu straparlavi e ….. Non so cosa sia successo. Sembrava che tu te la stessi facendo addosso, ma non era pipì, sembrava acqua e non aveva neppure odore, ma tu non la smettevi di urlare e godere. Poi è toccato anche a me di godere e poi l’emozione e la paura mi hanno tolto ogni forza.”
Allora mi aveva sborrato dentro.
Senza che me ne rendessi conto, mentre lui mi guardava mi passai l’indice e il medio sulla fessura della mia fica e poi le portai alla mia bocca.
Lui mi guardò e aggrottando gli occhi si mise a ridere.
“Ma non ti fa schifo?”
Risi anch’io ed esclamai:
“Sai di buono.”
E rincominciammo a baciarci.
Quel giorno non mangiammo né a pranzo né a cena, ma ogni tanto, per prendere respiro ci ritrovavamo davanti al frigorifero o alla dispensa a sgranocchiare biscotti, Kinder e grissini.
E fu quel giorno che realizzammo anche il nostro record rimasto ancora oggi insuperato e raggiunta l’ottava chiavata, gettammo la spugna sconvolti.