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Il campanello suonò puntuale; era lei, era schiava M.
Mi piace la puntualità in una schiava, di certo ci sono altre priorità ma il non fare aspettare il padrone è certamente un segno di grande rispetto.

Le aprii e, mentre saliva, mi sorpresi al fatto che avevo avuto carta bianca per la sua educazione.
Ci eravamo conosciuti su Internet, grazie ad un newsgroup, e dopo un’approfondita analisi virtuale delle nostre tendenze mi aveva svelato che non era lì per volontà propria, ma per una precisa richiesta del suo fidanzato.
Luigi, questo era il nome di lui, dopo 3 anni di fidanzamento, le aveva dato una specie di ultimatum: “Il sesso non mi basta, da te vorrei di più, voglio tutto. O accetti di farti educare da qualcuno per diventare schiava, oppure tra noi finisce qua. Se invece accetti, ci sposiamo entro tre mesi”.
Lei era carina ma povera, lui bruttino ma di famiglia ricca: non le restava che accettare.
M. aveva 19 anni, Luigi 28, come me.

Ci eravamo incontrati di persona tutti e tre, era carina da morire, con un’aria da ragazza tutta “acqua e sapone”, piccolina ma ben fatta, castana chiara, indossava un cappottino che le arrivava fino a metà coscia da cui spuntavano due pregevoli gambe. L’opposto di una Manuela Arcuri, certo: ma un mix esplosivo di innocenza e perfezione fisica, benché in miniatura.

A lui ero andato bene subito; lei aveva detto a testa china che accettava il ricatto del suo ragazzo anche perché, almeno, ero carino.
Ci eravamo accordati per la prima lezione: sarebbe stata mia per un paio d’ore il sabato successivo.
Eravamo in settembre, le nozze erano previste per i primi di dicembre: avevo neanche tre mesi per renderla ubbidiente, sarebbe stata dura. Ma era carina e volevo sottometterla o almeno farmela una volta.
Accettai con la condizione che il primo incontro sarebbe stato un test: se fossi stato soddisfatto l’avrei comunicato a Luigi per farla tornare ad un’altra lezione, il sabato successivo. Altrimenti finiva lì.

Grazie a quel primo incontro, dove avevamo parlato piuttosto apertamente, c’era già una certa confidenza anche se, entrando in casa, era rossa in viso, visibilmente imbarazzata e teneva gli occhi bassi. Quando le aprii notai che aveva lo stesso cappottino della prima volta, e le sue splendide gambe erano avvolte in calze nere e due stivali neri con il tacco alto.
In preda alla vergogna disse solo quello che avevamo concordato perché la volevo consenziente: “Ciao. Sono qua per venire educata”.

“Ciao, benarrivata, accomodati e attendi in sala, in piedi”.
Avevo chiuso tutte le finestre e puntato due faretti verso il centro della stanza, per poterla esaminare meglio, mentre io mi misi in ombra.

“Comincio subito insegnandoti la posizione da esposizione, che ti prego di assumere: gambe larghe come le spalle, petto in fuori, mani dietro la schiena”
Dopo un momento di esitazione, lei eseguì così potei continuare.

“Ti spiego brevemente le regole, non sono molte: in privato devi darmi del lei e chiamarmi sempre padrone o signore mentre in pubblico dovrai capire tu: se ti presento come una mia amica o come la mia ragazza puoi darmi del tu e chiamarmi mt, se invece ti presento, ad esempio, come la mia segretaria o cameriera vale il discorso del privato.
In pubblico non ti darò ordini diretti ma ti chiederò di fare delle cose, naturalmente per te avranno la valenza di ordini.
Puoi parlare liberamente se vuoi, per il momento non devi chiedere il permesso, almeno finché non perderai questo privilegio a causa di una punizione.
Per il resto obbedisci semplicemente ai miei ordini e fallo senza esitazioni, questo vale soprattutto quando ti mostro ad altri che devono vedere che brava ed ubbidiente ragazza sei”.

Sgranava gli occhi stupefatta, ma non osava replicare. Continuai.
“Da questo momento, valgono le regole di cui sopra. Ti ricordo che se molli e te ne vai, il tuo ragazzo lo verrà a sapere in pochi secondi e il matrimonio a cui tieni tanto sarà solo un sogno. Hai capito tutto?”.
“Sì”.

Ripresi: “Fai ancora a tirarti indietro. Sei sicura di voler andare avanti”.
“Sì”.

“Bene. Ora, ti avevo chiesto di presentarti con una tenuta che potesse convincermi ad accettarti come allieva: togliti ogni capo e spiegami perché l’hai scelto.”
“Mi devo spogliare davanti a te e spiegare?”, chiese lei con un filo di voce.

Alzai volutamente la voce facendo una faccia severa: “Devi darmi del lei! E l’alternativa la conosci: non ho tempo da perdere, non sai quante ragazze potrebbero essere al tuo posto”.

Si scosse e cominciò a togliersi il cappotto: “Si, scusi: ho scelto il cappottino lungo, e non quello corto, perché nessuno sa cosa indosso sotto e, se ho capito bene dai vostri discorsi quella volta, potrei anche essere nuda”.

Più imbarazzata sollevò la maglietta.
“Ho scelto una maglietta aderente ma non troppo scollata in quanto,
purtroppo, non ho molto seno e preferisco attirare l’attenzione su
altre parti del corpo”.

Abbassò lo sguardo e slacciò il reggiseno.
“Ho scelto un reggiseno push – up per migliorarmi il più possibile”.
Mentre parlava mi porgeva i vari indumenti, ora era nuda dalla vita in su.
Aveva un seno piccolo, la prima misura, ma sodo. Le aureole rosa si combinavano dolcemente con la carnagione chiara.

Era la volta degli stivali.
“Ho scelto gli stivali perché, anche se sexy quanto le scarpe normali, sono più adatti per il giorno”.

Si fermò. Era bloccata.
La incoraggiai: “Dai su, stai andando benissimo, coraggio!”.

Lentamente, prese i bordi della mini.
“Ho scelto una minigonna elasticizzata in quanto può essere alzata, tolta e rimessa, con facilità”.
Quando la tolse notai che aveva due gambe davvero splendide: dritte come un fuso, non magre, carnose il giusto.

Mise mano all’orlo delle calze.
“Ho scelto le calze autoreggenti perché Luigi le trova molto sexy, se lei preferisce ho comunque portato in borsetta anche il reggicalze; collant non ne indosso più da quando ce lo ha detto quella volta che ci siamo conosciuti”.

Restava una sola cosa. Ma vedevo che non ce la faceva. Fissava il tappetto come se lo trovasse interessantissimo.
Capii che dovevo andarle incontro.
“M. hai superato ogni mia aspettativa, calmati adesso. Vuoi qualcosa da bere?”

Restò zitta.
Accessi lo stereo, scelsi una radio con musica italiana: doveva essere un tipetto romantico.
Aprii il mobile bar e le versai una generosa dose di scotch.
“Coraggio, dai non fare così adesso. Sei stata bravissima. Bevi questo, facciamo con calma”.

I suoi occhioni grigio-marron si alzarono timidamente fino a incrociare i miei.
“Grazie”.
Prese il bicchiere, più serena.

“Non ti faccio sedere, lo capisci che devi stare in piedi quando ci sono io, vero?”
Le feci un sorriso più dolce che potei.
“E poi sei proprio carina da guardare così… io però son stanco e mi siedo”.
Avevo fatto centro: a tutte le ragazze piacciono i complimenti.
Si stava rilassando, ero sulla strada giusta, non la volevo perdere alla prima seduta.

Notai con soddisfazione che cercava di nascondere un sorriso.
Ma stava sorridendo.
“Ci tieni tanto a Luigi… e alle nozze, vero?”
“Sì”

“Fai bene, è giusto. Si vede subito che sei una brava ragazza. Ma l’amore ha il suo prezzo, lo capisci?”
“Sì”
Continuai, ascoltava con moltissima attenzione.
“Sono contento che lui abbia scelto me e tu abbia ammesso che ti sembro carino. Vedrai che andrà tutto bene, diventerai bravissima e sarai tanto felice di essere la più brava schiava del mondo. Abbi fiducia in me, lasciati guidare”.

Aveva finito lo scotch.
“Mi sembra che vada meglio adesso”.
“Sì”.

Parlava a monosillabi, ma era evidente che stava meglio.
“Riprendi da dove eri rimasta, su, fai la brava”.

Fece un sospirone e abbassò le mutandine.
“Ho scelto uno string nero, trasparente, perché Luigi dice che senza in triangolino di cotone dietro, solo con i fili, è il più sexy; Se il signore desidera ho portato anche un perizoma di quelli col triangolino”

Mi aveva chiamato signore.
Spontaneamente.
Si stava davvero impegnando… o stava pian piano entrando nel suo ruolo.
Ora era completamente nuda, scalza ed attendeva, tremante e nervosa, gli ordini provenienti da una persona che non vedeva.
“Sei stata brava a chiamarmi signore. Puoi anche chiamarmi padrone, per ora sceglierai tu in base a cosa ti porta il tuo cuore. Gira su te stessa, fatti ammirare”.

Aveva un bel corpicino, minuto ma c’era tutto, e cambiandole il modo di vestire, avrebbe certo fatto girare la testa a molti.
Il culetto, però, era un portento: carnoso (una 42, forse una 44), ma senza un filo di cellulite: alto e sodo.
Glielo disi: “Hai un culo brasiliano”.
“Grazie. Me lo han detto tutti i fidanzati che ho avuto”.

Si stava sciogliendo. Merito solo dello Scotch? Non potevo esserne sicuro, ma cercavo di capire tutte le sue sensazioni.
Per sicurezza, le versai un altro bicchiere e glielo porsi, restando in ombra.
“Bevi con calma, è vecchio di dieci anni. Descrivimi come ti senti adesso: sei eccitata?”

Tornando ad abbassare il visino rispose: “In questo momento sono nervosa, Padrone, e provo vergogna mista ad eccitazione; da una parte vorrei andarmene, dall’altra sto ripensando a tutte le raccomandazioni che mi ha fatto Luigi… e… insomma… se vuole potremmo continuare”

Restai in silenzio nella parte buia, per darle il tempo di abituarsi e aspettai che finisse anche il secondo bicchiere.
“Bene, ora sdraiati sulla scrivania, voglio esaminarti.”

Spensi i faretti e ne accesi un altro sopra la scrivania, questo obbligò M. a chiudere gli occhi, in modo almeno da non farle subito vedere che era esaminata da me, fino a pochi giorni prima un perfetto estraneo.
“A letto cosa sai fare bene e cosa male? Rispondi sinceramente perché se dici di sapere fare bene una cosa e poi non è vero ti punirò.”

Mentre pensava a cosa rispondere cominciai ad esaminarla e accarezzarla dolcissimamente in tutto il corpo: il collo, il viso, il seno, le gambe; mi piace conoscere ogni parte delle mie schiave, ogni loro odore, ogni loro neo.
Parlò, dapprima quasi un sussurro.
“Con la bocca ritengo di essere abbastanza brava… ma sicuramente potrei migliorare, riesco ad ingoiare fino a 15cm. Lo so perché, anche se Luigi non arriva a quella misura, ho avuto fidanzati con un pene molto più grande del suo.
Trovo un gesto d’amore leccare a lungo il pene del partner e se il fidanzato me lo chiede mando giù il suo seme: però ho paura delle malattie e non vorrei farlo con altre persone”

Non le anticipai niente.
Prendeva confidenza, la voce era quasi normale.
“Sono abbastanza brava anche a fare l’amore ma siccome ho paura di far qualcosa che dispiace al partner non ho molta iniziativa: preferisco che sia lui a decidere cosa e come farlo. Essere insicura non vuol dire essere frigida: sono molto sensibile durante l’amore e non ho mai avuto problemi di orgasmo”.

Mentre la accarezzavo vedevo che le mie coccole facevano effetto.
“Nel sederino l’ho fatto con tutti i fidanzati, ma a volte è stato doloroso. Credo che dipenda dall’esperienza del ragazzo. Io non sono molto esperta ma penso di poter migliorare. Sono però stata intimorita dai vostri discorsi sulla doppia penetrazione.”

Non insistetti… sarebbe venuto il tempo giusto per tutto.
“Bene, mettiti alla pecorina ora, e raccontami che esperienze hai avuto finora e qual è stata la tua scopata migliore”.

Mentre parlava le esaminai accuratamente il culo e la figa: il primo era in effetti strettino ma molto sexy, sembrava un fiorellino.
Mi spiegò che Luigi era il suo tredicesimo fidanzato e che non era stata molto fortunata in amore, perché nessuno le aveva chiesto di diventare sua moglie, eccetto Luigi, il fidanzato attuale.
Cominciai a leccarle il fiorellino e sussultò. Cercai di insinuare la lingua il più possibile all’interno, ed apprezzai la grande pulizia e la completa depilazione.
Mi raccontò che era depilata da tre fidanzati prima: aveva avuto un ragazzo calabrese che l’aveva voluta pulita tutta come una bambina: ascelle, gambe, davanti e dietro. Al fidanzato dopo e a Luigi era piaciuta e la avevano fatta continuare a depilarsi tutta.

Allargò involontariamente le gambe. La mia lingua faceva effetto.
Avrei continuato per ore ma non avremmo avuto il tempo necessario quella sera, e così mi dedicai alla figa.
Averla completamente depilata, sarebbe stato ottimo per quelli che amano leccare, e provai ad assaggiarla trovandola già bagnata e dal sapore dolce e dissetante.

Mentre lavoravo di lingua, M. continuava a raccontare dei suoi ragazzi ma sentii che la voce cambiava, cominciava ad ansimare ed a perdere il filo logico del discorso, che era proprio quello che volevo.
Altri cinque minuti ed era fradicia: era una brava ragazza, ma da come reagiva, doveva essere una bomba a letto.
“Bene, sei ancora un po’ nervosa ma ti stai sciogliendo vero? Scommetto che quando parti sei una vera troietta. Ora prendi le mutandine e siediti sulla scrivania”

Io mi sedetti sulla poltrona e posizionai lei di fronte a me, con le gambe larghe, uno su ogni bracciolo.
“Ora voglio che ti masturbi davanti a me con esse… poi le metterò nel mio fazzoletto; ogni volta che mi vedrai soffiare il naso starò in realtà assaporando i tuoi umori.”

Infilò la mano nelle mutandine e cominciò a passarsele sulla figa; inizialmente si capiva che era imbarazzata dalla situazione ma poi tutto cambiò, evidentemente stava cominciando ad estraniarsi e pensava solo a godere.
Con una mano si teneva aperta la figa mentre con l’altra strisciava le mutandine sul clitoride, eseguiva tutti i movimenti: orizzontali, verticali, veloci rotazioni, poi si ricordò della mia richiesta di inzupparle per bene così si dedicò a tutta la figa, arrivò fino ad
infilarci dentro tre dita ricoperte dall’indumento intimo.

Era uno spettacolo incredibile, la osservavo in silenzio perché non volevo disturbare ma avevo una voglia tremenda di prenderla… pensai che però fosse meglio prolungare l’eccitazione ed aspettare.
La feci avanzare fino a che misi la testa tra le sue gambe.
In breve venne con un orgasmo sconquassante, mi strinse tra le gambe poi si abbandonò in avanti, sentivo il suo respiro affannato.

“Sei stata bravissima” dissi applaudendo, poi le concessi un po’ di relax succhiandole le dita, dalle unghie non lunghe ma curatissime,
per assaporare anch’io un po’ di quel nettare divino.

Se lo lasciò fare. Le alzai leggermente il viso: aveva uno sguardo sognante.
“Faremo tante cose belle, proverai sensazioni anche più forti di questa, lo sai?”.
Sorrise e le scappò un “Mamma mia!”

“Prima di passare all’esercizio successivo ti dò però un attimo di fiato. Staremo ancora insieme un’oretta in casa, non ti farò niente, ma tu devi rilassarti e pensare che sei stata bene. Capisci cosa intendo? Voglio che tu accetti razionalmente quello che hai fatto
sinora”.
“Ho capito, signore”.
Stava entrando sempre più nel suo ruolo, era il momento della seconda mossa che le avevo astutamente nascosto con il giochetto sessuale.

“Ora rimetti le autoreggenti e gli stivali. Ma nient’altro. La cucina è di là… e io avrei proprio bisogno di un caffè”.
Si rialzò ed ubbidì, non faceva resistenza, almeno non si vedeva.

Tornò con la tazzina e lo zucchero: era bella, davvero bella, vestita così.
Si chinò verso di me per offrirmi la tazzina, ma le feci segno di “no” col dito.
“M. non sei una cameriera, sei una schiava. Come si serve il caffè?”.

Capì.
Piegò prima un ginocchio e poi l’altro e tornò a porgermi la tazzina: “Il suo caffè è pronto, signore”.
“Bravissima”
Mentre presi la tazzina la gratificai con una carezza sulla guancia.
Rispose con un silenzioso sorriso.

“Per piacere cambia stazione, puoi scegliere la musica che più ti piace. Poi torna qui”.
Si alzò e fece quanto ordinatole, ma ancheggiando.
Mi stava provocando?

Scelse un’altra radio, ma era sempre di musica italiana: avevo intuito bene.
Tornò da me e si rimise spontaneamente in ginocchio.
“Più vicina e metti il visino sul tappeto”.

Lo fece e senza dirle altro, appoggiai i miei piedi sulla sua schiena.
“Che bella musica. Ascoltiamo un po'”.

Le feci fare da poggiapiedi per un paio di canzoni, in silenzio: lo accettava.
La cosa mi eccitò pazzescamente, ma pensai di controllarmi per farle fare gradualmente ogni passo.
“Come va messa così?”
“Bene, signore”.

“Lo vedo. Sai che mi sembri portata per essere schiava? Puoi parlare, pensa bene e dimmi cosa ne pensi”.
Passò un minuto buono e poi…
“Non ho mai avuto un carattere forte e sono abbastanza insicura… ho paura di sbagliare ogni cosa che faccio… ho sempre avuto fidanzati con un carattere forte… mi danno sicurezza e mi fanno sentire protetta. Ma non so se questo vuol dire qualcosa”.

“Vuol dire tantissimo. Continua. Allora non pensi di essere una ragazza aperta e disinibita?”
“Signore, sono timida. Divento rossa con niente. Anche in ufficio quando entra un fornitore nuovo arrossisco”.

“Sei molto carina quando arrossisci. Dai, parla ancora, sciogliti.
Qualcosa di tuo, spontaneamente, qualcosa che vuoi chiarire”
Altra pausa di silenzio.
“Ecco, signore, come ho già detto, essere insicura non vuol dire essere frigida. Non ho mai avuto problemi di orgasmo. Non avere iniziativa non vuol dire non sentire quello che i fidanzati fanno, non vuol dire non partecipare”.

“Ah, davvero?” feci io.
E poi a sorpresa: “Verifichiamo un po'” e le sentii la figa.
Soprese persino me: era fradicia.

“Cosa ti sta succedendo? Come mai sei così bagnata?”.
“Non lo so, signore”
“Non ti ho neanche toccata, come spieghi che sei in questo stato?”
“Giuro che non lo so”.
“Pensaci. Secondo me una spiegazione c’è, ma voglio sentirla da te”.
Altro silenzio.

Tolsi i piedi.
“Ti aiuterò a capirti e vedremo se ho visto giusto. Ripeti quello che ti dirò, ma non meccanicamente, voglio che pensi intensamente a quello che ripeterai. Hai capito?”.
“Si, signore”
“E’ giusto che M. stia in ginocchio davanti ai suoi padroni”
E lei: “E’ giusto che M. stia in ginocchio davanti ai suoi padroni”.
“E’ giusto che M. faccia loro da poggiapiedi”
E lei: “E’ giusto che M. faccia loro da poggiapiedi”
“E’ giusto che M. stia in ginocchio davanti a chiunque”
E lei: “E’ giusto che M. stia in ginocchio davanti a chiunque”

Era seria.
Si stava davvero applicando a pensare quello che diceva, non sorrideva più.
Sembrava di natura davvero docile.
“Cosa hai provato?”
Silenzio.
Era diventata rossissima.

“Ho capito cosa hai provato. E credo che l’abbia capito anche tu”.
Abbassò lo sguardo di nuovo.
Era visibilmente in lotta con se stessa.
Non voleva accettare quello che stava intuendo.
Non voleva accettarsi.

“Comincio a pensare che Luigi abbia saputo capire più cose di te che tutti quelli a cui sei stata fidanzata in questi anni”.
Restava zitta, ma i capezzoli le erano diventati durissimi.

“Tu lo capisci adesso perché ti ha chiesto di venire da me?”.
Silenzio ancora.
Non volevo infierire, dovevo andarci piano.
Forse mi era capitato un fiore raro e delicatissimo: bastava niente a sciuparla.

“Sii sincera adesso: ti sei mai sentita inferiore?”.
Silenzio.
“Adesso basta – alzai volutamente la voce – rispondi!”
“Sì”.
“Sì cosa?”
“Sì, mi sono sempre sentita inferiore a tutti, signore”.
“Perché?”
“Non lo so… Penso di non essere abbastanza carina, di non essere molto intelligente, di non essere mai all’altezza di nulla… io… sono tanto insicura”.

Forse avevo di fronte una schiava nata.
Bastava che lo accettasse razionalmente.
Sembrava sensibilissima, sarebbe bastato un nulla a farla scappare.
Capii che avevo fatto bene a non prenderla.
Ci sarei andato pianissimo, forse ci avrei messo dei mesi, ma questa doveva essere il mio capolavoro.

“Sei stanca?”
“Sono piuttosto sconvolta, signore”.
“Lo vedo. Ma devo dirti che sei stata proprio brava. Sei una discreta aspirante schiava e perciò ti meriti una carezza, vieni”.
Avvicinandosi si rasserenò.
La accarezzai.
Sorrise di nuovo.

“Mi hai fatto sudare… sei davvero desiderabile, ma non faremo niente di sessuale che tu non voglia, almeno non oggi. Intanto che mi faccio una doccia vai nella camera degli ospiti a riposare una mezz’oretta. Spegnerai la luce e riposerai in ginocchio per terra, sul tappetino scendiletto però. Al buio, per tutto il tempo, devi ripensare a quello che hai fatto fino ad ora e alle sensazioni che hai provato”.
“Ho capito, signore”
“E hai capito lo scopo di questo nuovo esercizio?”
“Non lo capisco, signore”.
“Ok, ti spiego meglio, ochetta che non sei altro. – Le sorrisi.
Ricambiò il sorriso. – Lo scopo è di farti accettare razionalmente le cose che hai scoperto di te stessa, oggi. Non devi avere vergogna di esserti eccitata a servirmi in ginocchio, ne’ di aver provato piacere a fare da poggiapiedi. Lo so che non è facile ma devi sforzarti di accettare razionalmente che sei nata per fare queste cose e non provare imbarazzo”.
“Ci provo, signore”.
“Brava. E quando vedi che non ce la fai ad accettarle, ricomincia a pensare daccapo a tutto quello che hai provato e hai sentito, senza demoralizzarti. Vedrai che ce la farai, ne sono sicuro. Vai adesso”.

Serena, si alzò e andò a fare come le era stato detto.
Sculettava di nuovo, però.
“Stai calmo” mi ripetei mentalmente.

Andai ad ascoltare da dietro la porta dopo un quarto d’ora.
Era buio e tutto in silenzio.
Alla mezz’ora la chiamai dal bagno, dopo poco era da me, che stavo apposta ancora nudo, nel box doccia, tutto bagnato.
Si inginocchiò spontaneamente.
Era splendido vedere come imparava in fretta e docilmente.

“Come è andata? Sei riuscita?”
Silenzio.
“Dai, coraggio, sii sincera, non ti punirò”.
“Non credo che sia andata tanto bene, signore”.
“Perché?”
“Non ce la faccio ad accettare che… insomma… che sono nata così. Ho fatto come ha detto, ho ricominciato tante volte, ma non ce la faccio a pensare che è come ha detto lei”.
“Sei stata sincera. Brava. Non sono arrabbiato perché è normale ed è giusto che tu non sia riuscita. Non perderai anni di educazione in un pomeriggio”.

Mi fece un bellissimo sorriso: “Grazie, signore”.
Giocai la mia ultima carta, volevo capire, ma volevo lasciarla libera di decidere almeno come prima volta.
“Se vuoi puoi tornare a casa con tua mamma, ora”.
Assunse uno sguardo sorpreso: sicuramente si aspettava che l’avrei usata sessualmente.

“Non… non devo… non vuole… non dobbiamo…?”
“Cosa dovremmo, cara schiavetta?”
Mi guardava il corpo nudo, distoglieva gli occhi e poi, quando credeva non la vedessi, tornava a guardare il mio corpo.

“Ecco… siccome ha detto che le piacevo… insomma… credevo che…”
“Che avremmo fatto l’amore?”, la interruppi.
“Sì”.
Voleva? Non voleva? Non volevo forzarla.

“M. ti ho detto prima che come prima volta non avremmo fatto niente che tu non voglia. Puoi fidarti di me. Mantengo la parola”
Ma con la mano le indicai il mio uccello, per farle vedere che ero in erezione.

Abbassò lo sguardo, ma solo aver dato una significativa guardata al mio cazzo.
“Luigi non mi sgriderà?”, chiese.
“Luigi ti ha affidata a me, e io decido cosa è bene che tu impari e in quanto tempo. Però capisci da sola cosa mi ispiri, vero?”

“Sì”.
“M., anche se non lo ammetti sono convinto che oggi ti sia piaciuto tutto. Hai superato ogni attesa, ti ho promosso, potrai tornare sabato prossimo. Se vuoi che succeda qualcosa in più, per oggi, puoi deciderlo tu”.

“Ho capito”.
Ma non aveva il coraggio di chiedere niente.

“Vieni qua”. Le diedi una carezza e un bacio sulla fronte.
“Facciamo così: io finisco di asciugarmi per qualche minuto. Hai il tempo di rivestirti e uscire. Se invece, resterai vestita così e ti troverò in sala, qualcosa faremo.
Fece di sì con la testa.

Quando tornai di là, la trovai in ginocchio ad aspettarmi, eretta, il capo chinato.
Non dissi niente, le passai davanti e le accarezzai il viso mentre mi portavo dietro di lei.
Delicatamente le spinsi il visino sul tappeto, mettendola a pecorina.
La tastai in figa: non c’era bisogno di alcuna preparazione, era ancora fradicia!
Istintivamente le accarezzai le calze, mentre appoggiavo la cappella alla sua fessurina depilata.
Sospirò.
Spinsi.
Il cazzo entrò subito, come nell’olio.
Mugolò.

Cominciai a muovermi dentro di lei… Le misi le mani sui fianchi, la accarezzai per prenderglieli in modo fermo dopo poco.
“Oh… ooohhh… siiiii!”.
Era venuta.
Di nuovo.
Era una ragazza timida, ma a letto sensibilissima.
Non capii più niente.

Iniziai a sbatterla forte, cercando di spingere per farlo entrare tutto: se lo meritava.
“Brava… bravaaa… bravaaaaa!”
I colpi la facevano sussultare.
Si teneva aggrappata al tappeto, mentre sentiva il mio respiro farsi sempre più affannoso.
E mugolava.
Piano, piano, quasi sottovoce, ma in continuazione.

No, non fingeva, sembrava che fosse stata creata per questo.
“Oh… ooohhh… siiiii!”.
Aveva avuto un altro orgasmo, il terzo di quel pomeriggio.
Non capivo più niente: portai le mani a strizzarle le tettine, mentre i colpi dietro andavano ad aumentare.

Poi ad un tratto, M. si sentì prendere e voltare da me.
Capì subito cosa dovesse fare.
S’inginocchiò ed aprì la bocca, pronta ad accogliere la sborrata.
Il getto caldo la colpì in pieno viso, e sentì le grosse gocce appiccicaticce coprirle le guance e gli occhi.
Ero venuto un mare.

“Come si dice?”, chiesi sorridendole.
“Grazie”, rispose spontaneamente.
“Brava, sei proprio una brava bambina”, e presi un fazzolettino perché si pulisse.
Con la mano tentò una prima pulitura, poi aprì gli occhi ed osservò me, che ero crollato sul divano.

“Vai adesso, farai tardi. Dico tutto io a Luigi, Ci vediamo sabato alla stessa ora. Vieni vestita esattamente come oggi”.
Quando ebbe finito si alzò traballando.
Era un po’ intontita, ma avrebbe imparato.
Non la accompagnai alla porta.

Autore Pubblicato il: 29 Marzo 2020Categorie: Racconti di Dominazione, Trio0 Commenti

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